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INTERVISTA/FESER

«Pena di morte? Può essere immorale, non inammissibile»

«Rifiutare la pena di morte in quanto intrinsecamente cattiva significa implicitamente rifiutare qualsiasi punizione e sostituirla con qualcos’altro, per esempio, con un approccio terapeutico verso i criminali. Ma se nessuno merita la punizione, allora è piuttosto difficile vedere come qualcuno possa meritare il castigo eterno dell’Inferno. E se ciò è vero, allora diventa difficile capire lo scopo del sacrificio della Croce». È quanto sostiene in questa intervista il professor Edward Feser, autore di un recente libro su Chiesa e pena di morte.

Vita e bioetica 05_09_2018
Il professor Edward Feser

«Rifiutare la pena di morte come intrinsecamente cattiva alla lunga rende incomprensibile il sacrificio della Croce». È quanto sostiene il professor Edward Feser, classe 1968, docente di filosofia al Pasadena City College (California), autore di un recente libro dedicato proprio alla pena di morte:  By Man Shall His Blood Be Shed: A Catholic Defense of the Death Penalty (Ignatius Press). E’ perciò intervenuto pubblicamente nel dibattito che ha seguito la recente decisione di Papa Francesco di cambiare il paragrafo 2267 del Catechismo, relativo alla pena di morte. Gli abbiamo rivolto alcune domande proprio su questo tema.

Professor Feser, il nuovo § 2267 del Catechismo afferma che «la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che “la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona”». Ci troviamo di fronte ad un dilemma: sembra che la Chiesa non possa difendere nel contempo la pena di morte e la dignità della persona…
Sì, il nuovo linguaggio introdotto nel Catechismo sembra in effetti mettere la Chiesa dentro un dilemma. Da un lato, descrivendo la pena di morte come un attacco “all’inviolabilità e dignità della persona”, il testo sembrerebbe comportare che questa pratica sia sempre e intrinsecamente cattiva, e non semplicemente immorale nel contesto della situazione attuale. Ma dall’altro lato, la Scrittura e l’insegnamento tradizionale della Chiesa, incluso l’insegnamento di tutti i papi precedenti, sostengono che la pena capitale può essere legittima, almeno in linea di principio. Quindi ci troviamo di fronte quantomeno ad una apparenza di contraddizione con l’insegnamento precedente. E’ vero che la lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede, che accompagna la modifica, asserisce che non c’è contraddizione. Ma non spiega esattamente come l’insegnamento tradizionale e la nuova formulazione possano essere conciliati.

Nella Lettera che lei ha appena richiamato, al n. 7, si legge che «la nuova redazione del n. 2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica, approvata da Papa Francesco, si situa in continuità con il Magistero precedente, portando avanti uno sviluppo coerente della dottrina cattolica». Sia quanti sostengono questo cambiamento che molti di quelli che invece lo disapprovano sembrano concordare con questa affermazione, nel senso che il nuovo testo sarebbe la logica conseguenza dell’insegnamento di Giovanni Paolo II, particolarmente di Evangelium Vitae. Che ne pensa?
Se la nuova formulazione è pensata per sottintendere che la pena di morte è sempre e intrinsecamente cattiva, allora non si tratta affatto di uno sviluppo, ma si tratterebbe di una contraddizione rispetto all’insegnamento di San Giovanni Paolo II. In fondo, Giovani Paolo II, nonostante la sua opposizione all’effettivo utilizzo della pena di morte nella maggior parte dei casi, ha insegnato esplicitamente che essa non è intrinsecamente cattiva e che vi si può ricorrere quando non esistono altri mezzi per difendere la società dagli aggressori. Ha anche esplicitamente insegnato che il comandamento che condanna l’omicidio va considerato in modo assoluto nei confronti delle vite delle persone innocenti, specificamente. Insegnare che la pena capitale è sempre e intrinsecamente sbagliata non “sviluppa” nulla di questi insegnamenti, ma li rovescia. Se invece la nuova formulazione non intende affermare ciò, allora non siamo di fronte ad una contraddizione. Il problema è che, in questo caso, non è chiaro che cosa il nuovo paragrafo intenda significare.

La Congregazione ha cercato di spiegare che l’assenza di contraddizione sta nel fatto che gli insegnamenti precedenti «possono spiegarsi alla luce della responsabilità primaria dell’autorità pubblica di tutelare il bene comune, in un contesto sociale in cui le sanzioni penali si comprendevano diversamente e avvenivano in un ambiente in cui era più difficile garantire che il criminale non potesse reiterare il suo crimine». Ma sembra esserci un grave malinteso: la pena di morte non è giustificata dal solo fatto di proteggere il bene comune…
Esatto. La Chiesa ha sempre insegnato e ancora insegna che la prima finalità di una punizione è la giustizia retributiva – il che significa infliggere al colpevole una pena che merita. L’attuale Catechismo insegna ancora questo principio. Ci sono anche altre finalità della punizione e, a volte, possono esserci delle buone ragioni per dare al colpevole meno di quanto meriti. Nondimeno, il fatto che un criminale meriti una punizione deve sempre rientrare nelle ragioni che portano a punirlo, altrimenti noi staremmo commettendo un’ingiustizia contro il colpevole.
Ora, siccome questo è vero per ogni punizione, lo è anche per la pena di morte, in particolare. Non sarebbe perciò corretto dire che nel passato le sanzioni penali erano intese in modo diverso dalla Chiesa rispetto ad oggi. Allora, come nel passato, la Chiesa insegna che le punizioni perseguono diversi fini, inclusi la retribuzione e la deterrenza, e non semplicemente la riabilitazione del colpevole e la difesa della società. Infatti Pio XII ha espressamente insegnato che sarebbe un errore ritenere che la giustizia retributiva non costituirebbe più un elemento della punizione, ma che sarebbe stato sostituito da altre finalità.
Perciò, se la nuova formulazione presente nel Catechismo è fatta per esprimere una diversa comprensione delle finalità della punizione, allora ciò implicherebbe un altro aspetto in cui l’insegnamento precedente è stato contraddetto. Comunque, il problema è ancora una volta il fatto che la nuova formulazione semplicemente non è chiara. Ci troviamo di fronte all’apparenza di una rottura con il passato, ma senza un’affermazione chiara ed esplicita in tal senso.

Non è un mistero che il mondo cattolico abbia smarrito il senso integrale del sacrificio di Cristo; non abbiamo difficoltà ad affermare che sia stato un atto d’amore, ma non accettiamo che la Croce sia anche un atto rimunerativo. Secondo lei, c’è una connessione tra la percezione negativa, tra i cattolici, della pena di morte, e la perdita della dimensione retributiva del sacrificio della Croce?
Assolutamente sì. Come Joseph Bessette ed io sosteniamo nel nostro libro, la difesa della pena capitale e la difesa della punizione in generale stanno o cadono insieme. Per questo motivo, rifiutare la pena di morte in quanto intrinsecamente cattiva significa implicitamente rifiutare qualsiasi punizione e sostituirla con qualcos’altro, per esempio, con un approccio terapeutico verso i criminali. Ma se nessuno merita la punizione, allora è piuttosto difficile vedere come qualcuno possa meritare il castigo eterno dell’Inferno. E se ciò è vero, allora diventa difficile capire lo scopo del sacrificio della Croce. Questa è un’altra ragione per cui questo argomento è così importante e perché prendere una posizione radicale contro la pena di morte è teologicamente pericoloso. Se perdiamo di vista il fatto che le azioni cattive meritano una punizione proporzionata, allora viene meno ogni comprensione del vero motivo del sacrificio della Croce e quindi dell’intero senso del Cristianesimo.

Papa Innocenzo III pose, come condizione di riconciliazione dei Valdesi con la Chiesa cattolica, che essi affermassero che lo stato «possa esercitare la pena capitale senza commettere peccato mortale». Nel 1954, Pio XII insegnava che «è riservato alla pubblica autorità privare il criminale del beneficio della vita quando, con il suo crimine, egli stesso si è privato del diritto di vivere». C’è un’eresia nel Catechismo?
Quel che posso dire è che c’è un linguaggio che è altamente fuorviante e come minimo ambiguo. La nuova formulazione non dice effettivamente che la pena di morte è intrinsecamente cattiva – una proposizione che papa Innocenzo III considerava sostanzialmente eretica e che san Roberto Bellarmino affermava esplicitamente come tale. Ancora una volta, il nuovo paragrafo del Catechismo non arriva esplicitamente a questo punto, ma purtroppo afferma qualcosa che dà l’apparenza di implicare ciò.

Che tipo di ripercussioni potrà avere questo cambiamento dottrinale e cosa si dovrebbe fare?
L’impressione di un cambiamento danneggia seriamente la credibilità della Chiesa, perché dà la sensazione che la Scrittura e la tradizione abbiano insegnato per secoli un grave errore morale. Se ciò fosse vero, allora si potrebbe mettere in discussione l’attuale magistero, come quello passato. Quel che si dovrebbe fare è chiedere che la nuova formulazione venga ritrattata. E’ questo quanto richiesto da 45 studiosi e sacerdoti, che si sono appellati ai cardinali della Chiesa affinché informino il Papa che la revisione del Catechismo sta causando scandalo e dovrebbe essere revocata.