Pena capitale in Bangladesh per fermare gli stupri
Di fronte all’aumento dei casi di violenza sessuale, da settimane si organizzano manifestazioni di protesta. Gli islamici chiedono la pena di morte. I cristiani vogliono che sia fatta giustizia
Il governo del Bangladesh sta pensando di introdurre la pena di morte per chi compie stupro, in risposta alle richieste pressanti di gruppi di cittadini preoccupati per il numero crescente di casi di violenza sessuale nel paese. Secondo alcune organizzazioni che difendono i diritti umani – l’agenzia di stampa AsiaNews ne cita due: Ain e Salish Kendra – da gennaio a settembre sono stati denunciati 975 strupri in seguito ai quali 43 vittime sono morte e 12 si sono suicidate. Nel 2019 i casi sono stati almeno 1.351. 66 delle donne violentate sono state assassinate. Il 15 ottobre più di cento donne hanno partecipato a una manifestazione di protesta in bicicletta. L’amministratrice del profilo FB creato per pubblicizzare l’iniziativa, Mahrab Hossian, ha spiegato che il gruppo rivendica il diritto delle donne a salvaguardare il loro onore, che secondo la mentalità prevalente è compromesso in caso di stupro, e chiede pertanto l’introduzione della pena capitale: “se una persona non può vivere con onore nella società, la sua vita non ha valore”. Il 16 ottobre migliaia di musulmani (la maggioranza della popolazione in Bangladesh è di fede islamica) hanno indetto una protesta davanti a Baitul Mukarram, la moschea nazionale situata nella capitale Dhaka, per chiedere giustizia per le vittime di violenza sessuale. Il leader del gruppo islamista Hefazat-e-Islam, Nur Hossian, è intervenuto e ha preso la parola: “la popolazione del Paese sta soffrendo per il coronavirus – ha detto – e in più le donne divengono vittime di persecuzione sessuale. Ciò avviene perché non si segue la legge islamica. Nella nostra società occorre ristabilire la giustizia. Solo la legge islamica può stabilirla. Per il suo crimine, lo stupratore deve essere ucciso in pubblico”. La posizione della minoranza cattolica è diversa. Facendosene portavoce, padre Albert Rozario, segretario della Commissione episcopale per la giustizia e la pace, chiede non la condanna a morte, ma giustizia: “nel nostro Paese gli stupratori non vengono mai puniti e per questo il numero delle violenze sessuali aumenta. Se le donne stuprate ricevono giustizia, gli incidenti di questo tipo diminuiranno. Io chiedo al governo che si approntino processi veloci per le violenze sessuali”.