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ANNIVERSARIO

Paradosso 11 settembre, Usa e al Qaeda sono alleati

A dodici anni dalla tragedia delle Torri Gemelle, gli Stati Uniti continuano a puntare sulla propria smisurata superiorità militare, utile durante la Guerra Fredda ma totalmente inadeguata alle nuove minacce.

Editoriali 11_09_2013
11 settembre 2001

La paradossale alleanza obiettiva -- che nel caso della crisi siriana si sta prospettando tra la Casa Bianca e al Qaeda --  richiama ulteriore attenzione sull’odierno anniversario dell’11 settembre 2001, quando aerei di linea americani sequestrati insieme ai loro passeggeri vennero condotti da piloti suicidi terroristi (per appunto di al Qaeda) a schiantarsi  contro le Torri Gemelle a New York e contro il Pentagono nei pressi di Washington. Solo l’eroica rivolta dei passeggeri dell’aereo destinato a colpire la Casa Bianca evitò allora lo sfregio e l’incendio pure del maggior simbolo e segno della potenza degli Usa. Non è – osserviamo per inciso --  il decimo anniversario, cui noi moderni così legati al sistema decimale attribuiamo inevitabilmente specifico rilievo, ma è ciononostante un numero simbolo di pienezza per chi conservi memoria del ben più antico sistema dodecimale.

La ricorrenza suggerisce riflessioni in primo luogo con riguardo all’efficacia e al ruolo della pur smisurata superiorità militare degli Usa, che nel 2001 era ancora sostanzialmente pensata per fronteggiare un nemico sconfitto e anzi disfatto dieci anni prima, ossia l’Unione Sovietica; e che invece si dimostrò del tutto inutile di fronte all’attacco di un nemico sostanzialmente nuovo come Osama Bin Laden. Un nemico perfido ma intelligente che, senza affatto puntare a dotarsi di un proprio arsenale, colpì gli Stati Uniti trasformando in armi degli aerei di linea, ossia delle macchine per uso civile di produzione americana, nonché avvalendosi di una profonda conoscenza della cultura americana nonché dei limiti della sicurezza interna degli Usa che egli aveva maturato studiando e vivendo nel paese. Seguì una reazione scomposta: non sapendo come fare a colpire il cavaliere, Washington si precipitò a colpire il presunto cavallo, ossia l’Afghanistan, con tutto quello che ne è poi derivato.

A dodici anni da allora, seppur in altro contesto, l’attuale gestione della crisi siriana dimostra purtroppo che gli Stati Uniti continuano a puntare innanzitutto su questa superiorità militare tanto smisurata quanto obsoleta che ancora una volta si sta dimostrando più d’impaccio che di aiuto. Solo gli Stati Uniti dispongono di portaerei da 100 mila tonnellate (ne hanno ben dieci in linea più alcune altre di riserva) in grado di portare la guerra in qualsiasi parte del mondo. Nessun altro Paese ne ha nemmeno una. La seconda Marina militare del mondo, quella britannica, ha un decimo della forza di quella americana, e appunto nessuna portaerei d’attacco.

Gli Usa possono dunque bombardare impunemente dappertutto, e quindi anche in Siria, ma a che cosa servirebbe? Pretendere di intervenire a colpi di bombardamenti aerei in una convulsa guerra civile come quella che si sta combattendo città per città e quartiere per quartiere tra il regime di Assad e i suoi oppositori sarebbe davvero demenziale. Molto probabilmente si riuscirà ad evitarlo grazie alla resistenza generale di tutto il resto del mondo. Per gli Usa resterà però aperto il problema del ruolo e della proporzione del loro smisurato dispositivo militare. A dodici anni dall’11 settembre 2001, quando per la prima volta tale problema drammaticamente si pose, c’è da augurarsi che infine gli Stati Uniti comincino a pensarci davvero.

Oltre all’inutilità di una forza militare tanto smisurata (la cui spesa è pari al 50% di tutto quanto si spende nel mondo per gli armamenti), che tra l’altro con la sua stessa esistenza spinge Washington a puntare sempre troppo e troppo spesso sulla minaccia delle armi, dal tragico attacco dell’11 settembre 2001 viene un’altra lezione pure finora non abbastanza considerata quantomeno dell’America ufficiale. Negli Stati Uniti si è per lo più convinti che non ci sia niente di meglio al mondo dell’American way of life, del modo di vivere americano e dei valori su cui si fonda; e che quindi chi va negli Usa non può che esserne conquistato.

La biografia di Osama Bin Laden e della massima parte degli altri leader del terrorismo islamista dimostra che non è affatto così. Vivendo e studiando negli Usa si può anche maturare un odio irrefrenabile per la cultura e la civiltà occidentali. Il problema della reciproca comprensione tra culture e civiltà diverse è qualcosa di complesso per risolvere il quale una pura e semplice… “full immersion” non basta. Anzi può anche fare più male che bene. C’è per questo tutto un lavoro da fare, che finora nessuno sta adeguatamente facendo né negli Stati Uniti né altrove.