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IL LIBRO

Paradiso dantesco, ecco perché è bello (ma tutti scelgono l'inferno)

«Perché la cantica dell’Inferno avvince e appassiona, mentre l’interesse per il viaggio di Dante scema nel secondo Regno e poi nei Cieli del Paradiso dantesco? L’Inferno è il luogo dell’individualismo mentre il Paradiso è davvero bello e merita di essere apprezzato perché il bene è più attraente del male, i santi sono più affascinanti dei cattivi». Il nuovo libro di Giovanni Fighera sul Paradiso dantesco (edizioni Sugarco). 

Cultura 27_11_2019

Per gentile concessione dell'editore Sugarco e dell'autore, pubblichiamo il Capitolo VI del libro di Giovanni Fighera Paradiso. In viaggio con Dante verso le stelle. 

Perché la cantica dell’Inferno avvince e appassiona, mentre l’interesse per il viaggio di Dante e per i versi del Sommo poeta scema progressivamente man mano che il lettore si trasferisce nel secondo Regno e poi nei Cieli del Paradiso dantesco?

Nell’Ottocento il critico della letteratura italiana Francesco De Sanctis (1817-1883) espresse una netta propensione per l’Inferno (che pullula di eroi ed eroine come Francesca, Farinata degli Uberti, Pier della Vigna, Ulisse, etc.) dichiarando la sua antipatia per il Paradiso, pesante e stancante, a suo dire, per la monotonia. L’opinione del de Sanctis risentiva indubbiamente del suo sguardo romantico propenso ad apprezzare le grandi passioni, i personaggi tragici e gli eroi romantici ante litteram, che avevano dato la vita per i loro ideali, anche nel caso in cui questi li portassero alla dannazione.

Ma perché l’epoca contemporanea predilige l’Inferno e le passioni tragiche, forse perché condivide gli stessi ideali romantici ed è attraversata da personaggi che vivono lo Streben (la tensione per l’assoluto) e soffrono per il fatto che non lo raggiungano (Sehnsucht)? Scrive Zygmunt Bauman:
Non è la pressione soverchia di un ideale irraggiungibile che tormenta gli uomini e le donne del nostro tempo, quanto l’assenza di ideali: la penuria […] di punti di riferimento fissi e stabili, di una destinazione prevedibile per l’itinerario della vita.

L’epoca contemporanea è l’esito di una concezione della libertà personale svincolata dalla verità, come sorgente del bene e del male, con la conseguenza di una totale svalutazione della libertà stessa, di una separazione tra ordine etico e salvezza. L’eccesso di libertà distrugge la libertà stessa e si rovescia nel suo contrario.

La nostra è anche l’epoca dell’imperversare del relativismo, che è alla base della diffusione delle ideologie, perché ha spazzato via ogni barlume di certezza del passato e si è tradotto nel tempo, a sua volta, in una vera e propria ideologia. Ma il relativismo non è se non la forma più diffusa del nichilismo, perché considera tutte le idee di uguale valore, per il fatto che nessuna esprime verità, ma ciascuna di esse corrisponde a qualcosa che non vale nulla, ossia a qualcosa che vale «zero». A questo si giunge, se si nega la verità e la sua funzione determinante nella vita e nelle ricerche dell’uomo.

Con atteggiamento prometeico l’uomo contemporaneo si è contrapposto al Cielo, di cui ha pensato ormai di poter fare a meno. Dopo aver abbandonato la fede nell’al di là, l’uomo ha perso anche la fiducia nel progresso nell’al di qua e si trova, quindi, in una situazione drammatica, in quanto non sa più in che cosa credere.

Le vite degli uomini si sono spesso ridotte a «consorzi di egoismi», l’uomo come individuo in senso estremo diventa un «solitario», che sa vivere solo per sé e non per gli altri. Per queste ragioni l’uomo contemporaneo si identifica maggiormente nell’Inferno dantesco con le sue intense passioni, i suoi personaggi immortali e dannati, le sue grandi tragedie. La nostra epoca, amante dell’idolatria e scevra di maestri, ama gli idoli dell’Inferno, si sente distante dallo spirito di appartenenza e di comunità del Purgatorio e del Paradiso danteschi.

Indubbiamente, la distanza tra la concezione della vita sottesa al poema dantesco e quella della cultura contemporanea è il primo grande ostacolo alla comprensione e al godimento del Paradiso dantesco.

L’Inferno è, infatti, il luogo dell’individualismo, mentre il Purgatorio è il regno in cui l’uomo si scopre «persona» (l’etimo della parola dice che l’io risuona nel rapporto con l’altro) e l’anima vive la dimensione della liberazione dal peccato nell’appartenenza ad un popolo che cammina insieme. Il Paradiso sarà, infine, il luogo della comunione universale, della letizia dei santi, della carità (amore incondizionato che previene e anticipa la domanda portando soccorso e aiuto), del «sorriso di Dio» (Charles Moeller), della carità.

Il lettore contemporaneo si sente più vicino all’Inferno dantesco anche per la difficoltà della lingua di cui si avvale il Sommo poeta. L’altezza e la bellezza del linguaggio, grande pregio della terza cantica, è oggi anche uno degli ostacoli maggiori e quasi insormontabili per un pubblico di lettori che ama sempre meno far fatica.

Il viaggio nel Paradiso richiede un impegno e una fatica che solo la coscienza del pregio e del valore dell’opera permette di affrontare.

Perché il Paradiso è davvero bello e merita di essere apprezzato? Perché il bene è più attraente del male, i santi sono più affascinanti dei cattivi. Questa consapevolezza attraversava il Medioevo cristiano tanto è vero che in quell’epoca uno dei generi più diffusi e amati era quello agiografico che raccontava le vicende di piccoli o di grandi uomini presi e cambiati dall’amore di Gesù. I grandi personaggi non si trovano solo all’Inferno, ma anche in Paradiso, ove potremo incontrare grandissime figure, che hanno segnato la storia dell’Occidente e della cristianità: san Francesco, san Domenico, san Benedetto, san Bernardo, san Tommaso, san Bonaventura da Bagnoregio, san Pietro, san Giacomo, san Giovanni, tutti personaggi non lasciati nella vaghezza della dimensione eterea e indistinta, ma caratterizzati nella loro specificità e storicità terrena.

Perché Dante si cimenta nel tentativo di creare una nuova lingua che permette di esprimere l’inesprimibile. Il poeta deve coniare molti hapax legomena (parole di cui è documentato un solo caso nella tradizione letteraria), perché il lessico esistente è insufficiente a raccontare e a descrivere. Non sono sufficienti le parole per documentare un’esperienza che non è di questa Terra. Per la stessa ragione Dante si avvale dell’explanatio per argumenta exemplorum (spiegazione attraverso gli esempi), espediente tipico della mistica.

Perché il Paradiso è il luogo in cui il desiderio di felicità e di salvezza di ogni uomo si compie, i drammi e i problemi appaiono nella luce definitiva di Dio, che è amore e verità insieme. Tutto in definitiva si ricompone e si risana. Nulla andrà perduto, tutto sarà redento. Il grido cosmico della sofferenza innocente, che così tanto ferisce e scandalizza l’uomo, finalmente verrà placato nell’abbraccio amorevole di un Padre che ci ha voluto salvi e, nel contempo, liberi. Libertà e salvezza, che appaiono troppo spesso in contraddizione, troveranno in Paradiso il loro compimento.

Nel Paradiso non mancherà certo l’avventura. Anche in quel terzo regno Dante incontrerà difficoltà, conoscerà storie belle e drammatiche, dovrà addirittura superare tre prove che costituiscono un vero e proprio esame di baccalaureato. Solo a quel punto il poeta potrà procedere nel viaggio fino a giungere alla visione dei cori angelici, dell’Empireo, della Candida Rosa e, infine, di Dio, ma non senza alcune difficoltà e l’intervento di mediatori celesti.