Papa Francesco: grazie alla Polonia per questo dono
Giovanni Paolo II, afferma Papa Francesco, è stato «un dono» della Polonia alla Chiesa e al mondo. Prima del suo pontificato il processo di secolarizzazione pareva inarrestabile e la religione pareva destinata all'estinzione. Con Giovanni Paolo II si è verificato quel "ritorno di Dio" (come lo chiama il sociologo Rodney Stark) che nessuno si aspettava.
Il videomessaggio di Papa Francesco alla nazione polacca, trasmesso nella serata del 24 aprile, contiene spunti di grande interesse per situare storicamente il prossimo santo Giovanni Paolo II (1920-2005), anche in una chiave squisitamente sociologica.
Giovanni Paolo II, afferma Papa Francesco, è stato «un dono» della Polonia alla Chiesa e al mondo. Lo è stato, certo, anzitutto per la sua vita spirituale, per la testimonianza di fede e di santità che è poi l'elemento decisivo di cui la Chiesa tiene conto nelle canonizzazioni. «Sono grato a Giovanni Paolo II - continua Francesco - come tutti i membri del Popolo di Dio, per il suo instancabile servizio, la sua guida spirituale, per aver introdotto la Chiesa nel terzo millennio della fede e per la sua straordinaria testimonianza di santità».
Il Pontefice ha detto di «identificarsi pienamente» con l'analisi del pontificato di Giovanni Paolo II proposta il 1° maggio 2001 da Benedetto XVI in occasione della beatificazione, che ha in parte citato e in parte riassunto. Giovanni Paolo II chiedeva ai cattolici «di non avere paura e di spalancare le porte a Cristo», e lo ha «fatto per primo». «Ha aperto a Cristo la società, la cultura, i sistemi politici ed economici invertendo con la forza di un gigante – forza che gli veniva da Dio – una tendenza che poteva sembrare irreversibile».
Non si tratta solo di un'azione che ha favorito la caduta dell'impero comunista sovietico. Dopo la caduta del Muro di Berlino, Giovanni Paolo II è stato Papa per altri sedici anni. Quando fu eletto, la sociologia delle religioni era dominata dalla teoria classica della secolarizzazione, secondo cui la religione in genere e la Chiesa Cattolica in particolare erano destinate a diventare sempre meno presenti e rilevanti nella società e nella storia. Come qualcuno diceva, il loro futuro evolutivo era l'estinzione. Alla fine del pontificato di Papa Wojtyla le cose erano completamente cambiate: non era la Chiesa ma la sociologia della secolarizzazione a trovarsi a rischio di estinzione. Sociologi come Peter Berger - di cui curiosamente in Italia molti continuano a citare i primi lavori, ignorando la sua successiva e radicale autocritica - ammettevano di essersi semplicemente sbagliati, e che il Papa polacco aveva innescato un processo di «desecolarizazzione» e di ritorno alla rilevanza della religione su scala mondiale. Rodney Stark, un grande sociologo che non aveva mai creduto alle teorie «crude» della secolarizzazione, parlava del «ritorno di Dio». Giovanni Paolo II mostrava che, mentre gli imperi ideologici avevano pensato di far crollare la religione, era la religione a far crollare gli imperi.
Valeva per l'Unione Sovietica, ma con la caduta del Muro di Berlino la battaglia per rovesciare «la tendenza che poteva sembrare irreversibile» non era finita. Nuove ideologie si presentavano sulla scena della storia, non meno anticristiane delle precedenti. Se sarebbe spettato a Benedetto XVI proporre una mappa accurata di queste ideologie - riassunta nella formula della «dittatura del relativismo», assunta e fatta sua da Papa Francesco nel primo incontro con il Corpo Diplomatico -, già Giovanni Paolo II aveva indicato la strada per resistere con la formula della nuova evangelizzazione e con l'invito a non avere paura di proclamare apertamente la propria fede e il legame costitutivo, contro ogni deriva relativistica, tra verità e libertà. Lo mostra, in modo sistematico, Marco Invernizzi nel suo libro «San Giovanni Paolo II. Un'introduzione al suo Magistero» (Sugarco, Milano 2014), e lo riassume così Papa Francesco, citando Benedetto XVI: «Con la sua testimonianza di fede, di amore e di coraggio apostolico, accompagnata da una grande carica umana, questo esemplare figlio della Nazione polacca ha aiutato i cristiani di tutto il mondo a non avere paura di dirsi cristiani, di appartenere alla Chiesa, di parlare del Vangelo. In una parola: ci ha aiutato a non avere paura della verità, perché la verità è garanzia della libertà».
Il segreto di Giovanni Paolo II, ha detto Papa Francesco, sta nell'avere vissuto personalmente il dramma delle ideologie nel suo ministero pastorale ed episcopale in Polonia. Non aveva bisogno di farsi raccontare come stavano le cose: ne aveva fatto esperienza in prima persona, così come aveva fatto esperienza del Concilio Vaticano II e della sua applicazione in terra polacca in chiave di evangelizzazione, lontano dalle polemiche occidentali. Ma, a un livello più profondo, ha concluso Francesco, il suo segreto era la santità. «Giovanni Paolo II continua ad ispirarci. Ci ispirano le sue parole, i suoi scritti, i suoi gesti, il suo stile di servizio. Ci ispira la sua sofferenza vissuta con speranza eroica. Ci ispira il suo totale affidarsi a Cristo, Redentore dell’uomo, e alla Madre di Dio». Sono queste, non gli ideologi, le figure che davvero cambiano la storia.