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BIOETICA

Papa Francesco, difesa del vero diritto alla vita

Nel discorso che Papa Francesco ha tenuto ai medici cattolici (20 settembre) il diritto alla vita è in primo piano, contrapposto a presunti "diritti" che lo minano alla radice. La vita va difesa, fin dal concepimento, contro quella "cultura dello scarto" che giustifica l'eliminazione dei deboli.

Editoriali 27_09_2013
Papa Francesco

Torniamo sul discorso che lo scorso 20 settembre Papa Francesco ha rivolto ai partecipanti all'incontro promosso dalla Federazione internazionale delle associazioni dei medici cattolici. Isoliamo due passaggi. Nel primo il Santo Padre mette in evidenza un paradosso dei nostri tempi: «La situazione paradossale si vede nel fatto che, mentre si attribuiscono alla persona nuovi diritti, a volte anche presunti diritti, non sempre si tutela la vita come valore primario e diritto primordiale di ogni uomo».

Il Papa ci sta dicendo in filigrana che la categoria "diritti" mostra ormai la corda. È una categoria concettuale che in realtà non fa parte del patrimonio culturale della Chiesa (la quale invece parla di beni o valori come fa il Papa stesso nel suo discorso) bensì è un retaggio dell’Illuminismo: un’astrazione non sempre amica dell’uomo in carne ed ossa. Il diritto, di suo, è la pretesa giuridicamente tutelata dallo Stato di assumere una condotta (esempio il diritto di proprietà) oppure vivere una condizione (il diritto di coniugio). Questa è una concezione, sì buona, che però rimanda sempre ad un agere (agire) più che ad un esse (essere), più ad una funzione che al valore intrinseco della persona che tende con gli atti ad esprimere questa sua dignità intrinseca. Quando si parla di diritto quasi sempre si fa riferimento al suo esercizio, alla sua applicazione nella vita concreta, ma a furia di insistere sui diritti così intesi sembra che valgano più i diritti che la persona.

Proviamo a spiegarci meglio. Se a Tizio tolgo ingiustamente la libertà, nonostante ciò non riesco ad intaccare la sua dignità. Tizio rimarrà sempre una persona, conserverà sempre la sua preziosità intrinseca di persona, anche se recluso ingiustamente, seviziato e torturato. Certo, rimane un fatto gravissimo togliergli la libertà e torturarlo, quindi non riconoscergli il diritto alla libertà e alla salute, ma questi atti non possono ledere la natura umana, cioè la sua dignità. Gli toglierò – ed è cosa terribile – la possibilità di manifestare con gli atti il suo valore intrinseco, ma non appannerò questo valore intrinseco, non intaccherò l’integrità della sua umanità. Per esemplificare ancora: anche se nessuno avesse riconosciuto il talento di Mozart, questi sarebbe comunque rimasto un genio, nulla avremmo tolto alla sua genialità.

In una certa prospettiva però pare che queste argomentazioni non possano valere per il diritto alla vita: se ammazzo Tizio dove va a finire la sua dignità intrinseca dato che Tizio non c’è più? In realtà Tizio esiste ancora, sebbene la sua anima si sia staccata dal corpo, e quindi la dignità di Tizio perdura altrettanto. Tizio vive ancora, per dirla in breve, seppur non più biologicamente.

Questo ci porta a dire che è un po’ falsa la dicotomia tra persona e diritto alla vita. A guardar bene esiste solo la persona vivente. Rosmini parlava giustamente dell’uomo come “diritto sussistente”. Non c’è l’uomo e al di fuori di questi il bene “vita”: se così fosse, il diritto alla vita assomiglierebbe tanto al diritto di proprietà dove il proprietario è un qualcuno di differente e distinto dall’oggetto posseduto. Ma in realtà la vita informa la persona, sono la stessa cosa si potrebbe dire. Dunque bene parlare di “diritto alla vita” perché utile in tanti contesti soprattutto giuridici, ma evitando il pericolo di reificare la vita come se fosse una cosa che si può possedere e perciò vendere (vedi maternità surrogata), regalare, distruggere (vedi aborto, eutanasia, fecondazione artificiale e sperimentazioni sugli embrioni).

Secondo passaggio da mettere sotto la lente di ingrandimento, ma che è legato al primo. «Una diffusa mentalità dell’utile – afferma il Papa - la “cultura dello scarto”, che oggi schiavizza i cuori e le intelligenze di tanti, ha un altissimo costo: richiede di eliminare esseri umani, soprattutto se fisicamente o socialmente più deboli».

L'espressione "cultura dello scarto" è una buona cartina tornasole per comprendere i tempi moderni. L’espressione non rimanda solo agli scarti alimentari di cibi che invece possono essere ancora commestibili. Ma anche al divorzio, che è lo scarto del coniuge "andato a male"; alla selezione embrionale nella fecondazione artificiale (e così a tutta l'eugenetica); alla sperimentazione sugli embrioni soprannumerari ritenuti preziosi “scarti” su cui far ricerca; alla contraccezione per scartare la possibilità di un figlio; all'eutanasia intesa come lo scarto dell'inefficiente o del malato; alla rincorsa al giovanilismo per non essere scartati dalla società; alla pretesa di un riconoscimento sociale e giuridico dell'omosessualità: in caso contrario l'omosessuale si sentirebbe "uno scarto della società".

Ma la “cultura dello scarto” è così ben radicata nel tessuto sociale proprio perché – come annotavamo prima – se iniziamo ad intendere la vita come un qualcosa di “staccato” dalla persona, la vita assume le sembianze di un oggetto – seppur di assai pregio – che arreda la nostra esistenza. E quando questo oggetto diventa ingombrante per il nostro benessere – una maternità inaspettata, un parente anziano da assistere, un bambino non perfetto – si apre il cestino e non ci pensa più. Una bioetica ideologicamente sostenibile, ma insostenibile per il bene dell’uomo.