Palamara candidato, una scelta controproducente
Palamara, dopo aver denunciato le malefatte della magistratura nel suo Il Sistema, si candida, a Roma, da indipendente per le suppletive alla Camera. Ma lo attende un processo per corruzione. Non è la miglior persona che possa condurre una battaglia per la riforma della magistratura.
La decisione di Luca Palamara, ormai ex magistrato, di scendere nell’agone politico si presta a molteplici chiavi di lettura. Un po’ era nell’aria, visto che l’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati (Anm) da tempo piccona il sistema di cui è stato il garante. Come si sa, ha scritto un libro intervista con Alessandro Sallusti, direttore di Libero, nel quale racconta i meccanismi perversi che muovono il mondo della magistratura e smaschera trame e disegni di potere che molti intuivano ma nessuno conosceva così bene nei dettagli.
Due giorni fa Palamara ha rotto gli indugi e, nella sede storica del Partito Radicale, a Roma, ha annunciato la sua candidatura alla Camera per le elezioni suppletive nel collegio uninominale di Roma Monte Mario-Prima Valle, rimasto libero dopo la nomina nel giugno scorso dell'attuale deputata dei 5 Stelle Emanuela Del Re a rappresentante speciale dell’Ue per il Sahel.
Lo scopo dichiarato di questa sua discesa in campo è portare avanti con altre armi, quelle della politica, la sua battaglia per riformare/rifondare la giustizia, assumendo una posizione di equidistanza dagli attuali schieramenti. "Dando seguito al mio percorso intendo dare una continuità al mio racconto. Oggi voglio rilanciare il mio impegno, e senza coinvolgere gli altri, come cittadino libero decido di candidarmi per dare ancora più forza al mio racconto. Mi candido con il mio simbolo a Roma Primavalle". Sul simbolo presentato campeggiano la dea Giustizia, che regge la bilancia, e vicino un hashtag tricolore. "Non c’è preclusione né per la destra né per la sinistra – ha chiarito il neocandidato - Cerco di rivolgermi a tutti coloro i quali mi fermano per strada, con mia sorpresa, e mi dicono 'racconta perché i processi durano così tanto, perché sono stato carcerato ingiustamente'. Voglio sposare le istanze del territorio, della mia città, della città in cui sono cresciuto. Mi sento di poterlo fare partendo dal basso questa volta".
E’ chiaro che Palamara vuole continuare a togliersi i sassolini dalle scarpe, anzitutto appellandosi alla Corte europea contro la sentenza della Cassazione che ha respinto definitivamente il suo ricorso contro la radiazione inflittagli nell’ottobre scorso dal Consiglio superiore della magistratura con l’accusa di aver commesso illeciti disciplinari “di elevatissima gravità”. Il procuratore generale della Cassazione, durante la requisitoria, ha definito Palamara “regista e organizzatore della strategia sulle nomine” dei vertici delle più importanti procure italiane. Peraltro l’ex presidente dell’Anm è anche stato appena rinviato a giudizio per corruzione dalla Procura di Perugia.
Alcune riflessioni s’impongono per evitare che questa sua candidatura, anziché contribuire a fare chiarezza sul funzionamento del sistema giudiziario, in funzione di una sua auspicabile rifondazione, finisca soltanto per avvelenare ancora di più i pozzi.
Siamo davvero sicuri che un personaggio così chiacchierato, che ha avuto sì il merito di denunciare nefandezze e storture del sistema giudiziario ma che dovrà ritrovarsi nelle aule giudiziarie da imputato, sia il più indicato per portare avanti battaglie di rinnovamento della giustizia italiana? Il rischio è che si passi da un eccesso all’altro, cioè da una magistratura onnipotente e in grado di condizionare l’evoluzione delle vicende politiche, orientandone il corso, a una magistratura screditata nel suo complesso e indebolita nella sua funzione.
Come ha commentato il direttore del Giornale, Augusto Minzolini, "un tempo si candidavano i magistrati giustizialisti, ora si candidano i giustiziati". In realtà, per ristabilire un sano equilibrio tra poteri, imperniato sulla piena rappresentatività della classe politica e sulla terzietà dei giudici, sarebbe meglio che a riformare la giustizia fossero persone non compromesse, senza scheletri nell’armadio e senza desiderio di rivalsa. Dunque, se erano pericolosi i giustizialisti, rischiano di essere non meno letali i giustiziati.
Significativa l’opinione stroncatoria di Maurizio Gasparri, senatore di Forza Italia, partito che da sempre combatte per riformare il pianeta giustizia, anche in ragione delle vicissitudini del suo fondatore: "Palamara ha veramente una concezione distorta della vita, della società e della politica. Infatti concepisce la politica come una discarica. Lo cacciano dalla magistratura in maniera definitiva, perché certamente per quanto pentito non è che abbia meritato, ed allora propone la sua candidatura, come se il Parlamento fosse il ricettacolo di tutti gli errori del Paese. Ovviamente non sarà eletto. Cerca solo protagonismo, venderà qualche libro, apparirà grazie alla par condicio qui e là. E' diseducativo, temerario e irritante. Si chiuda nel silenzio, racconti al massimo le malefatte che ha compiuto ed eviti di ergersi a maestrino del popolo o addirittura a suo rappresentante. Quelli come Palamara per narrare le proprie colpe ed errori hanno come unico luogo le aule di giustizia, dove devono essere processati. Non le aule del Parlamento, dove peraltro non arriveranno mai".
Chi è chiamato a difendersi da accuse così gravi non può servire in modo disinteressato le istituzioni e dovrebbe prima chiarire la sua posizione. Altrimenti il cortocircuito politico-giudiziario continuerà a ipotecare il futuro della nostra democrazia. Il sistema Palamara va riformato, sono tutti d’accordo, ma il contributo di chi ne è stato protagonista indiscusso per anni non può che risultare un intralcio sulla strada di un rinnovamento vero e non di facciata.