Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Giovanni da Kety a cura di Ermes Dovico
ISLAM

Pakistan nel caos, dopo l'impossibile vittoria di Imran Khan

Ascolta la versione audio dell'articolo

In Pakistan ha vinto chi doveva perdere: il partito di Imran Khan, in galera, pur non presentando il simbolo, ha la maggioranza. Ma non può governare.

Esteri 20_02_2024
Sostenitori del partito di Khan (La Presse)

Da due settimane il Pakistan è nel caos. L’unica potenza nucleare musulmana, 240 milioni di abitanti, non ha un governo perché le elezioni sono state vinte da chi non doveva e non poteva vincere: Imran Khan, che è tuttora in carcere. Nawaz Sharif, leader della Lega Musulmana è intento a formare una coalizione di partiti di minoranza, per poter dare un esecutivo al paese. La situazione è drammatica, soprattutto considerando che il caos politico non farà che peggiorare una crisi economica devastante. E a pagare il prezzo dei periodi caotici sono le minoranze, soprattutto i cristiani.

Le fortune e le sfortune politiche del Pakistan, in questo periodo, come altre volte in passato, sono determinate dalle scelte dei militari. L’esercito gioca un ruolo non ufficiale, ma in tre occasioni, nel 1958-71, nel 1977-88 e poi ancora nel 1999-2008, ha esercitato il potere direttamente, nel primo caso con la dittatura del generale Mohammed Ayub Khan, nel secondo con Zia ul-Haq, nel terzo con quella di Pervez Musharraf. Sharif appare oggi come il favorito dei militari, ma è stato loro vittima in un passato recentissimo. Dopo essere stato premier per due volte, nel corso degli anni Novanta e aver fatto diventare il Pakistan una potenza nucleare, è stato rovesciato nel colpo di Stato del 1999 da Pervez Musharraf ed esiliato, oltre ad essere condannato per corruzione ed evasione fiscale in patria.

Tornato nel 2007 e poi riabilitato dalla giustizia, dopo le prime elezioni libere del 2008 è stato ancora all’opposizione del governo formato dal vedovo di Benazir Bhutto (assassinata in un attentato), Asif Alì Zardari, poi nel 2013, vinte le elezioni, è tornato per la terza volta al governo. Ma nel 2016 è caduto di nuovo in disgrazia quando il suo nome è comparso nei famosi Panama Papers, l’inchiesta giornalistica internazionale sui patrimoni segreti. Esposto all’accusa di corruzione, costretto di nuovo alle dimissioni e all’esilio, gli è subentrato il nuovo rivale, Imran Khan, ex campione di cricket, popolarissimo nel paese, con un partito nuovo (il Pakistan Tareek-e-Insaf, Pti) e un programma molto populista.

Khan è stato deposto nel 2022, anch’egli per corruzione. Ma dietro al cambio di maggioranza parlamentare si celava una manovra dei militari. Le parti si invertono facilmente e i militari, i più filo-americani, non gradivano la politica estera di Khan, troppo vicina alla Cina. Però in Pakistan è difficile tracciare confini netti. E a riprendere il sopravvento, come nei corsi e ricorsi storici, è ancora Sharif, che pure fu il primo ad allacciare stretti rapporti commerciali e militari con la Cina ed era inviso ai militari anche per questo motivo.

Qualcosa è però andato storto. Nonostante il processo e il carcere di Imran Khan, nonostante le autorità giudiziarie abbiano vietato al suo partito di presentare il simbolo nelle schede e molti suoi dirigenti siano stati arrestati, il Pti ha vinto la maggioranza relativa.

Oltre all'esclusione del partito di maggioranza, non sono mancate altre anomalie e pesanti derive autoritarie nel voto, come l’oscuramento di gran parte della rete cellulare l’8 febbraio, il giorno delle elezioni. Il risultato è comunque caotico. Perché il Pti, non solo non ha più il simbolo (i suoi membri si sono candidati come indipendenti), ma non ha neppure i numeri per governare. E la coalizione che Sharif si appresta a formare è fragile dalla nascita.

Il primo problema che si è aperto è quello delle minoranze. Il Belucistan, la più grande regione del Pakistan, al confine con l’Iran, è sempre più indipendentista. Prima del voto, in un gravissimo incidente militare, gli iraniani hanno colpito posizioni dei separatisti beluci con un lancio di missili. Il governo provvisorio del Pakistan, il giorno successivo, aveva risposto con altrettanta durezza, colpendo posizioni dei beluci in territorio iraniano. Nel giorno del voto, due agenti di polizia sono stati uccisi nel Belucistan. Problemi di terrorismo ancora peggiori si sono registrati nella regione del Khyber, infestata da sempre dai Talebani. Nei seggi di quella circoscrizione, una serie di attacchi non rivendicati ha provocato la morte di altri cinque agenti di polizia e di un militare.  

Quale futuro per la minoranza cristiana? Negli ultimi tempi è stata di nuovo colpita nel pogrom di Jaranwala, il 16 agosto 2023, causato dall’ennesima accusa di blasfemia rivolta a due cristiani. Qualcosa però sta cambiando nella scena politica. Già dopo il pogrom i cristiani hanno ricevuto più assistenza del solito dal governo del Punjab. Prima della sua deposizione, anche Imran Khan aveva consentito la scarcerazione e fuga di Asia Bibi (dopo alcuni mesi di temporeggiamento), nel 2018, affrontando la rivolta dei fondamentalisti islamici. In queste elezioni, tutti i maggiori partiti, fra cui la Lega Musulmana, hanno promesso di proteggere le minoranze. Certo è che la stessa Lega Musulmana, prima sotto Zia ul-Haq, poi la sua corrente scissionista, sotto Nawaz Sharif, è stata protagonista dell’islamizzazione. È il generale Zia ad aver introdotto la legge nera sulla blasfemia, che è la maggior causa di repressione dei cristiani. E nessun leader successivo l’ha mai voluta ritirare: solo a parlarne, si rischia la vita.