Organi da eutanasia, cresce la pressione sulla vita fragile
Nei primi 11 mesi del 2019, in Ontario, 18 donatori di organi e 95 di tessuti legati a eutanasia e suicidio assistito: +109% rispetto al 2017. L’eutanasia è ormai presentata come un “bene”, e ora nell’intero Canada si può essere uccisi senza essere terminali. Risultato? Più pressioni sui vulnerabili. Intanto, pubblicazioni specialistiche chiedono l’eutanasia con espianto del cuore battente, e i bioeticisti ammoniscono sul rischio dell’eutanasia forzata per “salvare vite”
Lo scenario da horror era già stato ipotizzato parecchi anni fa dai bioeticisti più avveduti e si sta gradualmente concretizzando. Parliamo del passaggio dell’eutanasia da male assoluto a bene socialmente desiderabile, in quanto mezzo per ottenere organi funzionanti.
Tra i Paesi in prima linea nel portare avanti questo ribaltamento morale c’è il Canada del liberal Justin Trudeau, dove il 6 gennaio il quotidiano Ottawa Citizen ha riportato con toni entusiastici la tendenza in atto nella provincia dell’Ontario. Qui, nei primi 11 mesi del 2019, tra le persone sottoposte a eutanasia e suicidio assistito ci sono stati 18 donatori di organi e 95 di tessuti, con un aumento del 14% rispetto al 2018 e del 109% rispetto al 2017. In termini assoluti sono numeri ancora relativamente contenuti per una provincia con oltre 13 milioni di abitanti, ma l’andazzo è chiaro. Anche perché, sulla spinta delle solite élite e sentenze creative, va ricordato che è recente (giugno 2016) la legalizzazione in Canada di eutanasia e suicidio assistito. «Morti medicalmente assistite» (Maid, nell’acronimo inglese) è il termine, molto eufemistico, adoperato dal legislatore.
L’ente governativo che si occupa delle donazioni di organi nell’Ontario, il Trillium Gift of Life Network, ha riferito che le 113 donazioni da Maid avute nel 2019 costituiscono il 5% del totale. Nel 2018 contavano per il 3.6% e nel 2017 per il 2.1%. Il trend è quindi in ascesa anche per la quota percentuale sul complesso delle donazioni. Su Ottawa Citizen tutto questo è celebrato fin dall’inizio dell’articolo: «Gli abitanti dell’Ontario che optano per le morti medicalmente assistite (Maid) stanno salvando o migliorando sempre di più la vita di altre persone, includendo anche la donazione di organi e tessuti come parte dei loro desideri finali».
Il momento della decisione di farsi uccidere è per ora separato dal momento in cui si decide di donare gli organi. Ma la giurisdizione dell’Ontario è la prima al mondo ad aver consentito di rivolgersi attivamente ai pazienti ammessi alla procedura di “morte assistita” per discutere con loro di donazione di organi. In questo ha superato perfino le ultra-radicali legislazioni di Belgio e Olanda, dove la donazione degli organi da parte di pazienti sottoposti a eutanasia è legale, ma solo su iniziativa dello stesso paziente. In Ontario, insomma, è stato accantonato anche questo scrupolo. Per legge, bisogna informare Trillium ogni volta che viene stabilita l’eutanasia di una persona; e tale protocollo viene difeso da Ronnie Gavsie, amministratore delegato di Trillium, come «la cosa giusta da fare per quelli in lista d’attesa» per un organo.
Insieme all’utilitarismo implicito in una tale concezione dell’essere umano, risulta evidente che così si aumenta la pressione sul potenziale donatore. Entrano qui in gioco vari motivi concomitanti. Attraverso l’eutanasia può divenire più facile procurarsi degli organi di buona qualità, come ammettono gli stessi attivisti della “dolce morte”, tra cui il dottor James Downar. Le donazioni da pazienti che scelgono l’eutanasia danno generalmente più tempo per verificare lo stato degli organi e trovare il destinatario potenzialmente più idoneo. Già nel 2017 il National Post riassumeva alcune delle domande emergenti: «Che succede se le persone accettano di donare, ma poi cambiano idea riguardo all’affrettare la morte? Si sentirebbero obbligate a procedere con l’atto [l’eutanasia], sapendo che i beneficiari scelti stanno aspettando i loro organi?».
Se a queste domande aggiungiamo il fatto che già da tempo, nei Paesi in cui si sono diffuse norme e mentalità eutanasiche, l’eutanasia viene praticata anche su chi non la richiede (dementi, disabili, ecc.), si ha la conferma di quanto sia ingannevole ed effimera la pretesa dell’autodeterminazione, frutto dell’uomo che si fa dio di sé stesso.
In Canada, dove basta ormai una frattura dell’anca per ottenere l’eutanasia, il cosiddetto “piano inclinato” va inclinandosi sempre di più. La legge del 2016 prevede che l’autorizzazione a eutanasia e suicidio assistito venga data a persone con una «malattia seria e incurabile», che si trovino in una «sofferenza fisica o psicologica che è intollerabile» (si noti la “o” disgiuntiva, come nella recente sentenza della nostra Corte Costituzionale) e la cui morte sia divenuta «ragionevolmente prevedibile». Questi già debolissimi “paletti” sono stati ulteriormente indeboliti da una sentenza della Corte Superiore del Quebec del settembre 2019, che ha cassato il requisito della morte «ragionevolmente prevedibile», ritenendo che si possa accedere alla “morte assistita” anche se la fine della vita non appare vicina. E lunedì scorso il governo Trudeau ha annunciato di accettare la sentenza e che modificherà la legge entro la scadenza (11 marzo) fissata dalla Corte.
Come ha avvertito il canadese Alex Schadenberg, direttore di Euthanasia Prevention Coalition, tutto questo accrescerà inevitabilmente gli attacchi alla vita umana. Infatti, ha spiegato l’attivista pro vita a Life Site News, il collegare la donazione degli organi all’eutanasia - e in particolare all’eutanasia attraverso iniezione letale - è suscettibile di cambiare la percezione della stessa in un «bene», veicolando l’idea che «le persone che sono malate possono stare meglio perché tu hai posto fine alla tua vita». Deriva che avviene, si può aggiungere, quando si smette di considerare l’uomo quale unione di un corpo e un’anima immortale, finendo invece per considerarlo quale un mezzo.
Se inoltre l’eutanasia viene consentita addirittura senza la prospettiva di una morte imminente, si capisce a quale maggior pericolo vadano incontro le persone più vulnerabili, come coloro che sono soggetti a declino psico-fisico, ai malati psichiatrici, ai depressi, ecc., e che potrebbero farsi abbagliare dal pensiero di “farla finita” per giovare fisicamente a qualcun altro. «Ci sono un sacco di persone che non sono nemmeno malate» e «i loro organi sono perfetti», dice ancora Schadenberg a Life Site, aggiungendo che con l’apertura dell’eutanasia per motivi psichici si avranno «donatori ancora migliori perché non hanno problemi di natura fisica». Ma non sarebbe questo il punto più basso dell’abisso, che pare senza fine.
La morte attraverso iniezione letale può infatti, da un lato, essere funzionale al prelievo di organi sani (dipende anche entro quanti minuti avviene, un tempo di solito ‘breve’ eppure soggetto a più variabili), ma dall’altro, collassando il cuore, «nega la capacità di un trapianto di cuore»: ecco perché, ammonisce Schadenberg e non solo lui, c’è la concreta possibilità che si arrivi all’eutanasia per mezzo della donazione di organi, ossia con la morte procurata direttamente con l’espianto di organi vitali. In primis il cuore, non essendo possibile estrarre un cuore funzionante da un cadavere (vedi l’approfondimento della Nuova Bussola).
Non si tratta, ahinoi, di uno scenario irrealistico, bensì di un’idea avanzata da pubblicazioni di specialisti che promuovono i trapianti, come il Journal of Heart and Lung Transplantation, che in un articolo firmato da vari autori, e pubblicato sul numero di febbraio 2019, proponeva l’eutanasia attraverso la «living organ donation», cioè appunto la «donazione di organi da [persona] vivente», intendendo «specialmente il cuore» (vedi qui).
Per quanto detto, è serissimo il rischio che si faccia strada l’eutanasia coercitiva per ottenere organi. «Ci sono prove crescenti che la coercizione, riguardo alla cosiddetta morte assistita, svolga un ruolo sostanziale per molte persone vulnerabili. Confondere questa decisione con la donazione di organi complica ulteriormente la questione della coercizione», afferma John Smeaton, leader della britannica Spuc. È inammissibile cioè associare l’eutanasia, un male in sé, e la donazione degli organi, che è lecita solo a determinate condizioni, come sintetizza Smeaton: «È vero che la donazione di organi è buona, ma solo nella misura in cui non provoca danni, vale a dire la morte del donatore, e, peggio ancora, dove ciò è associato alla mancanza di esplicito consenso».
Una volta che si acconsente alla menzogna che certe vite non siano degne di essere vissute, perché ritenute “inutili”, non c’è più nulla che impedisce di considerare l’essere umano come un insieme di pezzi di ricambio e perfino di arrivare all’espianto forzato dei suoi organi. La realtà della Cina non è tanto lontana.