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IL DOVERE DI MORIRE

Ontario: spinta all'eutanasia che cresce del 33%

In un anno i decessi on demand sono cresciuti da 1.789 a 2.378 (33%), nel periodo 2017-2020 la crescita è addirittura del 183%; altri tre anni così e i decessi saranno oltre 4.000 annui (più di 10 al giorno). Dai dati emerge che più che situazioni di accanimento terapeutico ce ne fossero di abbandono, mentre il «periodo di riflessione» fino a 10 giorni non viene rispettato.

Vita e bioetica 21_01_2021

Tra i pochi, privilegiati settori che non conoscono crisi neppure durante la pandemia, anzi che proprio da questo drammatico periodo sembrano trarre benefici, c’è quello della cosiddetta morte assistita.

Si tratta di una constatazione comune, ormai, in un Paese che ha ricevuto in questi giorni una sconvolgente conferma dalla provincia canadese dell’Ontario dove, in sostanza, è in corso un vero e proprio boom eutanasico. Sì, perché secondo il report recentemente rilasciato dall’Office of the Chief Coroner, in Ontario - dal 2019 al 2020, in appena un anno - i decessi on demand sono cresciuti da 1.789 a 2.378, facendo registrare un balzo del 33%. Si tratta di un aumento notevole e che diventa ancora più ampio, se si considera il periodo 2017-2020, con la crescita dei casi di eutanasia che risulta essere stata addirittura del 183%; altri tre anni così, insomma, e i decessi saranno oltre 4.000 annui, più di 10 al giorno.

Ma non è finita. A destare inquietudine, infatti, ci sono ulteriori dati relativi sempre a questa provincia canadese. Per esempio, quelli dell’età delle vittime della «dolce morte», che vanno da soggetti assai avanti con gli anni - il più anziano aveva 106 anni -, a persone decisamente giovani, tanto che si ha notizia di un ventenne che è ricorso all’eutanasia. In ogni caso, l’età media di quanti hanno intrapreso la letale via del Maid, acronimo che sta per Medical Assistance in Dying, è di 75 anni; significa che per un novantenne ucciso, c’è stato un sessantenne che ha fatto la stessa fine.

Un altro dato che colpisce è rappresentato dal fatto che, se da un lato il 63% dei casi di morte on demand ha riguardato persone con una condizione «correlata al cancro», dall’altro solo il 2% degli oncologi ha somministrato l’iniezione letale, cosa lasciata per lo più ai medici di famiglia; un aspetto, quest’ultimo, che alimenta il sospetto che dietro tanti di questi casi di eutanasia, più che situazioni di accanimento terapeutico, ce ne fossero di abbandono terapeutico. Ma andiamo avanti.

Un ulteriore elemento che colpisce riguarda il «periodo di riflessione», che può arrivare fino a 10 giorni, che per legge è concesso ad un cittadino che richieda la morte medicalizzata e che, chi lo sa, potrebbe pure ripensarci. Ebbene, in più di un caso su quattro – precisamente, nel 26% del totale – tale opzione, secondo i dati raccolti dallo scorso anno, non è stata attivata. Per abbandono terapeutico, per solitudine o per disperazione? Non è chiaro, ma certo la cosa fa pensare e alimenta il sospetto, indicato già da altri numeri, che nell’Ontario stia soffiando un vento di morte più che di autodeterminazione del paziente.

Viene in proposito in mente il caso, raccontato un paio di anni fa anche da alcune testate italiane, di Roger Foley, canadese affetto da atassia cerebellare, il quale, ad un certo punto, si è trovato davanti ad un tragico bivio: pagare più di 1.500 dollari al giorno per le cure di cui aveva bisogno - e che non poteva permettersi - oppure l’eutanasia. Foley decise di denunciare l’ospedale ed il governo dell’Ontario, producendo ben due registrazioni audio, una risalente al settembre 2017 e una al gennaio 2018, nelle quali il personale dell’ospedale cercava ripetutamente di spingerlo a farsi eliminare. Ma quello era un caso specifico, ribatterà magari qualcuno.

Peccato che il boom eutanasico che in Ontario si sta osservando dica però altro, alimentando l’impressione che il «pendio scivoloso» - concetto che i bioeticisti usano per illustrare come una determinata pratica, una volta legale, possa diffondersi poi a macchia d’olio ispirando altre, drammatiche «aperture» legislative - in casi come questi somigli in realtà più ad un precipizio: quello in cui il presunto «diritto di morire» assume sempre più le sembianze di un «dovere»; il «dovere», se si è malati o semplicemente non più giovanissimi, di togliere il disturbo. E pensare che c’è ancora chi, indifferente ad un simile orrore, continua a parlare di progresso.