Oltre che per le europee si voterà per le regioni. Ed è qui il problema
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Per tutto l'anno si rinnoveranno 5 regioni e 3700 comuni. Ed è su queste elezioni locali che gli schieramenti si stanno scontrando al loro interno.
L’anno appena iniziato sarà molto denso di appuntamenti elettorali. Il 9 giugno si vota per le elezioni europee, ma già a partire dal mese prossimo e fino a ottobre ci saranno importanti test in ben cinque regioni: Abruzzo, Basilicata, Piemonte, Umbria, Sardegna. Inoltre verranno rinnovate 3.700 amministrazioni comunali. Alle urne anche 27 capoluoghi di provincia e sei capoluoghi di regione (Cagliari, Campobasso, Firenze, Perugia, Bari, Potenza).
Si tratta di battaglie molto diverse tra loro. Quella per le europee si gioca con il sistema proporzionale e quindi ogni partito correrà per conto suo e cercherà di massimizzare il suo bottino elettorale puntando sulle battaglie identitarie e sugli elementi di differenziazione con i partiti alleati. Invece le sfide sui territori regionali e comunali dovrebbero, almeno in teoria, alimentare lo spirito di coesione tra i partiti delle due coalizioni e quindi favorire la convergenza tra forze politiche della stessa area.
I primi movimenti di campagna elettorale consegnano però un quadro molto frammentato, litigioso e quasi esplosivo. Prevalgono, infatti, le spinte centrifughe, anziché i tentativi di aggregazione dentro le coalizioni. In altre parole, per i partiti appare decisamente più importante il proprio risultato rispetto a quello dell’intero schieramento al quale appartengono.
Per quanto riguarda il voto per il rinnovo dell’assemblea di Strasburgo, la questione centrale rimane la candidatura dei leader. Scenderanno in campo personalmente? Sembra proprio di no, salvo eccezioni. Nel centrodestra Matteo Salvini ha già fatto sapere che non correrà. Antonio Tajani non si sbilancia e Giorgia Meloni è tentata dalla corsa ma non ha ancora deciso. Il rischio concreto per lei, paradossalmente, è quello di stravincere, cioè di incrementare il vantaggio su Forza Italia e Lega, con la probabile conseguenza di sfasciare la coalizione.
Sull’altro fronte Giuseppe Conte si è già chiamato fuori, mentre Elly Schlein sta valutando di candidarsi ma pensa anche all’ipotesi flop, cioè di un Pd sotto il 20%, il che la esporrebbe a una resa dei conti interna. Chi invece ha già annunciato la sua candidatura è Matteo Renzi, anche perché Italia Viva è abbondantemente al di sotto della soglia del 4% e solo con un miracolo potrà portare qualche parlamentare a Strasburgo. Carlo Calenda, dal canto suo, auspica che nessun segretario di partito si candidi, lasciando chiaramente intendere che lui ha già deciso di non farlo. Il disimpegno pressochè generalizzato dei leader potrebbe anche essere letto come una sottovalutazione del voto europeo. In realtà serve a impedire che il voto europeo possa produrre ricadute destabilizzanti sul quadro politico nazionale.
Sul versante della definizione dei candidati governatori, chi ha da perdere è solo il centrodestra, che governa in tutte e 5 le regioni chiamate alle urne. La situazione meno rischiosa per la coalizione appare quella dell’Abruzzo, dove i giochi sembrano fatti. Il presidente uscente Marco Marsilio, di Fratelli d’Italia, verrà ripresentato e potrà contare sull’appoggio convinto di tutto il centrodestra, centristi compresi. Contro di lui ci sarà quasi sicuramente Luciano D’Amico, ex Rettore dell’Università di Teramo, che dovrebbe aggregare l’intero campo largo, dai dem ai Cinque Stelle, passando per i civici e i renziani. Nelle altre 4 regioni, invece, la situazione è ancora molto fluida sia nel centrodestra che nel centrosinistra. La Lega preme per la riconferma degli uscenti, Fratelli d’Italia chiede un riequilibrio e rivendica la candidatura in Sardegna e Basilicata. Secondo i bene informati il partito della Meloni si preparerebbe addirittura a chiedere la testa di Luca Zaia, che punterebbe al terzo mandato e che invece l’anno prossimo, alle regionali in Veneto, potrebbe essere scalzato come candidato del centrodestra da Luca De Carlo, senatore e coordinatore veneto di Fratelli d’Italia.
Ma restando alle sfide di quest’anno, possiamo dire che sono ancora in bilico le trattative, sia sul versante del centrodestra che su quello del centrosinistra, in Basilicata, Umbria, Piemonte e Sardegna. In Basilicata Forza Italia invoca la riconferma del governatore uscente Vito Bardi. I meloniani vorrebbero quella poltrona per un loro fedelissimo e anche la Lega si fa avanti. Nel centrosinistra spaccatura totale tra Pd e Cinque Stelle. Scenario identico, anzi ancora più frammentato in Sardegna, dove la Lega chiede la riconferma del governatore uscente Christian Solinas, mentre il premier punta sul sindaco di Cagliari, Paolo Truzzu. Il braccio di ferro è ancora agli inizi, così come lo è tra Renato Soru, che si candida come indipendente di sinistra, e Alessandra Todde, deputata pentastellata che sembra mettere d’accordo Pd e Cinque Stelle ma non le altre anime della sinistra.
Caos anche in Piemonte, dove la sinistra è spaccata e non ci sono prospettive di accordo su chi dovrà sfidare l’uscente Alberto Cirio, di Forza Italia, intenzionato a ricandidarsi, Meloni permettendo. Infine l’Umbria, che voterà per ultima (a ottobre). Il centrodestra potrebbe riproporre la leghista Donatella Tesei, attuale presidente. La sinistra è spaccata in due tra Riccardo Corridori, esponente di Alternativa Popolare, il partito del sindaco di Terni, Stefano Bandecchi, e il resto della coalizione, che peraltro non ha ancora un candidato unitario (grillini e dem devono ancora avviare le trattative).
In queste condizioni, se nel centrodestra persisteranno i contrasti e i veti incrociati, non è detto che la sinistra non riesca a spuntarla in almeno due di quelle cinque regioni. Quelle più in bilico al momento sono Sardegna e Basilicata. Riflettano i leader delle forze di maggioranza prima che sia troppo tardi.