Olimpiadi 2026? Era meglio perderle che ospitarle
Finita la festa per l'assegnazione delle Olimpiadi 2026 a Milano e Cortina, è bene iniziare a fare anche qualche conto. Salvo l'eccezione di Barcellona, tutte le Olimpiadi recenti sono state un grande costo per il pubblico a fronte di benefici molto inferiori. Sarebbe meglio un evento interamente a carico dei soggetti privati
Come d’abitudine, la notizia dell’assegnazione all’Italia delle Olimpiadi invernali del 2026 è stata accolta con giubilo pressoché unanime da politici, imprenditori e sindacalisti. Anche i pentastellati che avevano avversato le Olimpiadi di Roma, pur a mezza bocca, sembrano essersi riallineati al pensiero unico sul tema.
Eppure, forse, un atteggiamento un po’ più composto e prudente non sarebbe guastato. Quindici anni fa quando a fronteggiarsi per l’evento erano la capitale britannica e quella francese, l’Economist titolò con sottile humor inglese: “Fate un favore a Londra. Assegnate le Olimpiadi a Parigi”. Solo una battuta? Niente affatto. Piuttosto, un’efficace sintesi di quanto emerge dalla letteratura economica di settore che giunge a conclusioni piuttosto univoche. Ospitare un evento olimpico, di solito, non conviene. Si tratta di un cattivo investimento. I costi (quelli veri, a consuntivo) superano i benefici attesi.
Come ogni regola, anche questa ha le sue eccezioni. La più nota è quella di Barcellona, città che, anche grazie all’evento olimpico ha saputo dare una svolta alla propria economia. Nel corso degli anni, lentamente, qualche dubbio ha cominciato a serpeggiare. E qualche politico con qualche decennio di ritardo ha iniziato a far sue le valutazioni di qualche economista, se non ancora defunto, come insegnava Keynes, magari già al termine della propria carriera accademica. E così le competizioni per l’ambitissimo trofeo hanno visto diradarsi il numero di soggetti in gara. Più d’uno ha declinato: no, grazie, non siamo interessati. Chissà se la scorsa settimana qualcuno a Stoccolma non abbia sobriamente festeggiato per lo scampato pericolo.
A cascata, lo stesso CIO, il Comitato Olimpico Internazionale, sembra aver compreso l’antifona proponendo di superare l’epoca, diciamo così, faraonica aprendo una nuova fase più sobria e, ça va sans dire, sostenibile. Possiamo scordarci il passato e guardare fiduciosamente al futuro? Al momento sembra assai difficile poter sciogliere la riserva. Non è infatti sinora stata resa disponibile un’analisi costi-benefici dell’evento. Vi sono alcune valutazioni ma sono del tipo che, in gergo economico, va sotto il nome di analisi di valore aggiunto. Una tipologia di analisi utile per confrontare diverse ipotesi di investimento ma del tutto inadeguata per esprimere un giudizio su un singolo impiego. Il motivo? Il risultato è sempre positivo. Trattandosi di giochi olimpici verrebbe da dire: vi piace vincere facile, eh?
In assenza di numeri ufficiali proviamo noi a fornire qualche cifra che possa quantomeno darci un’idea della posta in gioco. La stima a preventivo dei costi è pari a circa 1,8 miliardi: 1,4 per l’organizzazione e 0,4 per la sicurezza. Sappiamo anche che, in media, nelle passate edizioni lo scostamento tra preventivo e consuntivo è risultato pari al 156%. Se saremo allineati alla media, alla fine il conto da pagare sarà vicino ai 4,6 miliardi. E i benefici? Una stima, piuttosto generosa relativa alle Olimpiadi di Torino li quantifica in 2,5 miliardi. Impossibile, in assenza di una stima analitica, dire a quanto ammonteranno quelli dell'edizione del 2026. Sembra però abbastanza evidente che si tratti di una scommessa piuttosto rischiosa. Scommessa, e qui è il punto centrale della questione, fatta con le risorse dei contribuenti italiani e degli altri Paesi (una parte significativa dei costi è coperta dallo stesso CIO). Contribuenti che, come evidente, non possono scegliere se sottoscrivere un investimento che, come abbiamo visto, sembra avere un elevato profilo di rischio. E che, per di più, in larghissima maggioranza trarranno al più benefici assai modesti dall’evento olimpico.
Non vi è dubbio che le ricadute maggiori, sia in termini di miglioramento delle infrastrutture che di incremento dei flussi turistici siano a vantaggio delle regioni che ospitano l’evento (in parte sottratti ad altre località). Quale che sia dunque il bilancio finale, in rosso oppure in nero, vi saranno senza dubbio vincitori e perdenti. Per tale motivo sarebbe buona norma che, come accaduto a Los Angeles nel 1984, l’organizzazione dei Giochi fosse interamente a carico di soggetti privati. Vi sono pochi dubbi che in questo caso l’attenzione a non sforare (troppo) i costi sarebbe assai maggiore. In alternativa, come ha suggerito due giorni fa sul Fatto Quotidiano l’economista Fabio Scacciavillani, tutti coloro che sono coinvolti nella promozione e organizzazione, dai politici ai dirigenti del CONI senza tralasciare sponsor e costruttori, dovrebbero essere obbligati a “garantire che qualsiasi sforamento dei costi stimati lo pagheranno di tasca propria impegnando fino all’ultimo euro del loro patrimonio personale.”
Purtroppo, temiamo che la modesta proposta abbia poche possibilità di essere messa in pratica. Rimarrà quasi certamente un vero sogno olimpico.