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VITE CALPESTATE

Obbligati a donare organi. Anche da vivi

L'Inghilterra modifica la legge sui trapianti: il maggiorenne che non rifiuta di essere donatore lo diventa, suo malgrado. Ma la stessa linea guida c'è anche in Italia. Col silenzio assenso c’è l’elevatissimo rischio di consegnare allo Stato persone vive, ma il cui stato di salute è così compromesso che si preferisce ucciderle per salvare altre persone che, dal punto di vista della qualità della vita, valgono di più.

Editoriali 27_05_2020 English Español

Chi tace acconsente. In buona sintesi questo è il principio della neo legge inglese del 20 maggio scorso che ha modificato la disciplina normativa sul trapianto di organi. E dunque il maggiorenne che espressamente non rifiuta di essere donatore lo diventa, magari suo malgrado. I parenti non potranno opporsi. In tal modo tutti coloro che formalmente non hanno dichiarato che non vogliono essere donatori di organi diventano potenziali magazzini di organi per il trapianto.

Il criterio del silenzio assenso è anche quello seguito dalla nostra disciplina normativa. Nel settembre scorso l’allora Ministro della Salute Giulia Grillo firmò il decreto ministeriale che contiene le norme del regolamento sul Sistema Informativo Trapianti (Sit), previsto dalla legge n. 91 del primo aprile 1999. La riforma dovrà diventare operativa entro settembre 2020.

Questa disciplina normativa, sposata sia dal Regno Unito che dall’Italia e da altri Paesi, presenta almeno due importanti criticità. La prima: il consenso tramite un atto omissivo. Lo strumento del silenzio assenso si usa in ambito amministrativo e non certo per diritti personalissimi, quali il diritto all’integrità fisica e il relativo diritto alla donazione degli organi. Il silenzio assenso è strumento che assegna all’inerzia della pubblica amministrazione il valore di provvedimento di accoglimento dell'istanza presentata dal privato (art. 20 della legge 241/90). Insomma una modalità assai pratica per far fronte alle lungaggini della pubblica amministrazione, ma è modalità inadeguata se applicata ai diritti della persona.

E quindi uno strumento pensato per interessi legittimi in ambito amministrativo, viene usato per depredare organi alle persone in modo illegittimo. Infatti quando in gioco ci sono diritti personalissimi – come quelli che attengono al nostro corpo – non si può far affidamento all’inerzia del privato cittadino per assegnare alla stessa il valore di un consenso, ma è necessario un consenso esplicito e formale, che confermi in modo chiaro che c’è una volontà consapevole e libera alla donazione degli organi. Così come avviene per qualsiasi altra questione sanitaria. Infatti non si comprende il motivo per cui per fare un Tac occorre firmare il modulo del consenso, e quindi esplicitare formalmente il proprio assenso, e invece per vedersi espiantare i propri organi sia sufficiente un atto omissivo. La nostra vita civica è strapiena di firme da apporre: i rogiti, le compravendite di beni immobili e mobili di valore, i contratti di assicurazione, quelli di servizi come luce, gas e telefonia etc.

E stiamo parlando di beni patrimoniali. A maggior ragione quando si parla di beni senza il cartellino del prezzo attaccato, come i nostri organi. In questi casi sarebbe necessario una bella firma per certificare la volontà di una persona di diventare donatore. Senza poi tenere in conto che la maggior parte dei cittadini non si registrerà come non donatore, non perché vorrà donare i propri organi, ma semplicemente per dimenticanza, trascuratezza, superficialità. Ovviamente si è scelta la strada furba ed iniqua del silenzio assenso perché in tal modo – facendo leva proprio sulla ben nota pigrizia e indolenza del cittadino medio (anche in parte giustificata dato che lo stesso è schiacciato dal peso elefantiaco della burocrazia) – si allargherà a dismisura il bacino di corpi utili al prelievo.

Come accennato vi è un secondo inciampo relativo a tale nuova disciplina sul trapianto di organi. Per poter procedere al trapianto di organi occorre che la persona sia dichiarata cerebralmente morta. Un paio di mesi fa ci eravamo già soffermati sul problema del criterio della morte cerebrale, criterio non sicuro per accertare l’effettiva morte di una persona.  Riportiamo qui in sintesi le riflessioni appuntate nell’articolo del marzo scorso (per un approfondimento cfr. R. de Mattei [ed.], Finis vitae. La morte cerebrale è ancora vita?, Rubbettino). Un organismo è vivente quando siamo in presenza di un ente operativamente integrato, un tutt’uno funzionalmente connesso. La morte è dunque la dis-integrazione di quello che era un organismo.

Una tesi sostiene che è il cervello ad essere l’organo che permette agli organi e apparati di funzionare in modo integrato. La tesi, sfornata guarda caso proprio all’indomani del primo trapianto di cuore, è assai fragile. Infatti, su un piano clinico-osservazionale, si è avuta ampia evidenza che in molti casi, nonostante l’asserita morte cerebrale, questo ente operativamente integrato persisteva, ossia si era ancora in presenza di un organismo vivente seppur con un cervello “spento”. E dunque non si prelevavano degli organi ex cadavere ­– così come richiesto anche dalla Chiesa – ma da persona vivente. In altri seppur crudi termini, si uccidevano persone per donare i loro organi.

Come avevamo già avuto modo di scrivere, in molte occasioni, le operazioni fisiologiche di un organismo sussistono anche se il cervello è stato dichiarato morto. Ad esempio continua lo scambio gassoso nei polmoni con la respirazione seppur assistita (se applichiamo ad un cadavere un ventilatore non c’è scambio gassoso), il battito cardiaco è presente, il sistema termoregolatorio e immunitario funzionano (c’è risposta alle infezioni), l’omeostasi biologica è presente così come sono presenti le funzioni endocrina, digerente ed escretiva, il metabolismo generale si conserva, se il paziente è bambino il corpo cresce, le ferite guariscono, sono presenti le risposte autonome agli stress (a seguito ad esempio della incisione della cute), così come la secrezione dell’ormone antidiuretico, etc. il tutto per giorni se non per settimane. Si sono poi registrati casi in cui donne incinte, dichiarate cerebralmente morte, hanno partorito: e un cadavere non può partorire.

Inoltre c’è il dubbio che in alcuni casi l’attività cerebrale sia presente, ma le apparecchiature mediche non siano adeguate per rilevarla. In secondo luogo un cervello spento, non è necessariamente un cervello morto, perché le sue cellule, seppur inattive, non sono in necrosi. In terzo luogo, in alcuni casi, è assai imprudente dal punto di vista scientifico affermare che l’attività cerebrale non possa più essere recuperata. Si aggiunge che alcuni protocolli prevedono di immobilizzare il donatore o sottoporlo ad anestesia: ma un cadavere non ha bisogno di essere immobilizzato, né può sentire dolore.

In sintesi, con il silenzio assenso c’è l’elevatissimo rischio di consegnare allo Stato persone vive, ma il cui stato di salute è così compromesso che si preferisce ucciderle per salvare altre persone che, dal punto di vista della qualità della vita, valgono di più.