Nuovi sviluppi sul caso della dottoressa dalit trovata morta il 22 maggio a Mumbai
L’Ufficio per i dalit e le caste svantaggiate della Conferenza episcopale indiana denuncia la crescita in India anche nelle città e tra le classi alte della mentalità castale
Quando il 22 maggio è stato rinvenuto il cadavere della dottoressa Payal Salman Tadvi, 26 anni, specializzanda in ostetricia e ginecologia presso l’ospedale BYL Nair di Mumbai, India, dapprima si è pensato a un suicidio. La giovane dottoressa – si è detto – aveva deciso di togliersi la vita non riuscendo più a sopportare gli insulti e i tormenti dei suoi colleghi, in particolare di tre dottoresse che continuamente le facevano pesare il fatto di essere un dalit, un fuori casta. Le indagini post mortem hanno però rilevato segni di bruciature e di strangolamento sul corpo della dottoressa facendo formulare l’ipotesi che in realtà la giovane donna sia stata uccisa. Pertanto il 29 maggio la polizia ha arrestato le tre dottoresse che la direzione dell’ospedale aveva già sospeso. Il sistema delle caste indù emargina chi nasce dalit e lo relega alle occupazioni più umili e degradanti. Ad AsiaNews padre Z. Devasagayaraj, segretario nazionale dell’Ufficio per i dalit e le caste svantaggiate della Conferenza episcopale indiana, aveva condannato il persistere di questa forma di razzismo estremo che tuttora persiste anche nelle classi alte e colte nonostante che la costituzione indiana nel 1050 abbia abolito la divisione in caste, deplorando allarmato la “mentalità castale diffusa sia nelle città che nelle aree rurali che sta creando una nuova forma di pensiero fondamentalista, inteso non solo come intolleranza religiosa, ma anche come idea castale di gerarchia”. L’impegno dei cristiani in difesa dei dalit, a partire dal fatto di ammetterli nelle loro scuole, è uno dei motivi per cui gli induisti li perseguitano, tanto più che l’atteggiamento dei cristiani induce molti dalit a convertirsi al cristianesimo.