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PRO LIFE DIVISI

Nuovi muri, la fatwa del Movimento per la vita

La durissima fatwa del Presidente del Movimento per la Vita che invita a non partecipare alla Marcia per la vita prende di mira alcuni movimenti pro life giudicati troppo "integralisti". In realtà sorge il sospetto che il vero motivo sia il tentativo di stoppare chi chiede l'abrogazione della legge 194. 

Vita e bioetica 08_01_2018

Appare quanto meno paradossale che il Presidente del Movimento per la Vita (MpV) inviti le proprie associazioni locali a non partecipare alla Marcia per la vita che si tiene annualmente a Roma nel mese di maggio. E’ un po’ come se il Papa invitasse i cattolici a non partecipare alla Messa di Pasqua. Ma andiamo con ordine. Il 19 dicembre scorso l’on. Gian Luigi Gigli, presidente del MpV invia una missiva ai membri del direttivo e ai presidenti delle Federazioni, dei Movimenti e dei Cav locali chiedendo di prendere le distanze dai firmatari di un documento indicato con il titolo “Non seguiremo i pastori che sbagliano”, che in realtà si chiama “Promessa di fedeltà all’insegnamento autentico della Chiesa” diffuso con il titolo “Fedeli alla vera dottrina, non ai pastori che sbagliano”, documento assai critico nei confronti di Papa Francesco. Tra i firmatari anche alcune sigle dell’associazionismo italiano che Gigli indica esplicitamente: Associazione Famiglia Domani, Fondazione Lepanto, Federvita Piemonte, Il Cammino dei Tre Sentieri, Ora et labora in difesa della vita, Famiglie Numerose Cattoliche, Voglio Vivere e SOS ragazzi.

Secondo il Presidente del MpV “questo documento […] divide i cattolici e macchia la causa della vita, contribuendo a indebolirla. Invito pertanto tutte le nostre associazioni a prendere le distanze dal testo e ad evitare ogni rapporto e ogni collaborazione con le organizzazioni firmatarie”. Dato che, come ricorda espressamente Gigli, dietro all’organizzazione della Marcia per la vita ci sono anche persone che sono a capo di alcune associazione prima indicate è assai opportuno, seguendo una certa logica osmotica, tenersi alla larga pure dalla Marcia stessa: “Per il 2018 invito tutte le associazioni locali a non partecipare alla marcia per evitare qualunque confusione tra la nostra realtà e queste organizzazioni estremiste e malamente tradizionaliste”. E dato che repetita iuvant  “invito anche a non dare alcun sostegno o adesione alle iniziative di organizzazioni come ora et labora in difesa della vita, voglio vivere, SOS ragazzi che continuamente cercano di coinvolgerci nella loro attività caratterizzata da fanatismo e ideologia”.

Un prodromo della lettera del 19 dicembre lo abbiamo in una nota del Mpv di qualche giorno prima dove diffidava i suoi membri dal partecipare ad una manifestazione contro la legge sulle Dat perché il Movimento non condivideva “lo stile con cui alcune delle organizzazioni indicate sono presenti sulla scena pubblica e, soprattutto, perché profondamente in disaccordo con gli attacchi che alcune di esse rivolgono quasi quotidianamente al Papa e ai Vescovi italiani”.

Ora qui non vogliamo entrare nel merito del giudizio sul documento “Fedeli alla vera dottrina” o sull’opportunità o meno di sottoscrivere tale dichiarazione. Non vogliamo nemmeno soffermarci sui retroscena, assai complessi, che legano le vicende storiche del MpV con altre realtà pro-life o culturali di matrice cattolica. Nemmeno vogliamo indagare sulla veridicità dello scenario, dipinto da molti, in cui Gigli ha tenuto in mano il lapis per scrivere questa lettera e Mons Galantino dettava il contenuto. Infine non desideriamo analizzare neppure il legame a filo doppio che lega, o strozza, il Mpv alla Conferenza episcopale. 

Ciò che invece ci preme mettere sotto alla lente di ingrandimento è la fatwa lanciata da Gigli ai suoi membri relativamente alla partecipazione alla Marcia per la vita. E’ giustificata? Pare proprio di no. In prima battuta occorre ricordare che il MpV, al cui interno militano moltissimi pro-life doc che si spendono in modo generosissimo per la causa della vita, per statuto è una realtà associativa non solo apartitica (curioso però che gli ultimi due presidenti abbiano militato in partiti politici) ma anche aconfessionale, seppur – si specifica – lo stesso Mpv s’ispiri per il proprio operato alla sacralità della vita e al portato culturale del cristianesimo. Però se il Mpv è de iure, ma non de facto, aconfessionale perché inalberarsi tanto per uno scritto con contenuto squisitamente confessionale? 

Seconda riserva. La Marcia per la vita, per volontà dei suoi organizzatori, chiama a raccolta tutti coloro che hanno a cuore il tema della vita, senza distinzioni di credo religioso, di appartenenza politica, di orientamento culturale. Pure gli atei sono invitati a marciare. Quindi, volendo utilizzare una categoria concettuale un po’ rozza e abbastanza erronea, ma che viene implicitamente usata dall’on. Gigli, la Marcia spalanca le braccia sia ai bergogliani che ai non bergogliani. Se i responsabili della Marcia sono i primi a non discriminare chi accoglie ciecamente ogni sillaba del Pontefice attuale, perché dovrebbe farlo il Presidente Gigli?

Terza riserva. Una cifra del Magistero attuale e di quanti lo sostengono senza riserva è lo spirito di accoglienza. Niente muri, ma solo ponti da gettare verso i lontani: i non credenti, i credenti di altre religiosi, gli emarginati, i poveri, etc. Il dovere assoluto è diventato “dialogare con tutti”. Eppure proprio nei confronti dei vicini – ossia cattolici che si battono per il medesimo scopo, cioè la tutela della vita – ecco innalzare il muro della discriminazione. Con quei cattolici vetero tradizionalisti, fanatici e malamente estremisti non si deve dialogare, ma vale solo lo sdegnoso silenzio, il veto di intrattenere rapporti di qualsiasi specie perché ecclesiasticamente sono dei paria. Strana contraddizione che si acuisce ancor di più se pensiamo a tutta la retorica profusa recentemente in merito al dovere di incensare il luteranesimo. Ma come, verrebbe da chiedere, ponti e autostrade a favore di chi nega valore al papato in sè e filo spinato per tenere lontano chi, come cattolico, muove delle critiche al Papa secondo quanto permesso dal Codice di diritto canonico (cann. 212, § 3; 218) e dai documenti del Concilio Vaticano II Lumen gentium (n. 37) e Gaudium et spes (n. 62)? Ma la storia insegna che per alcuni i veri nemici non sono mai i lontani, bensì i vicini.

Quarta riserva. Perché la Marcia per la vita, secondo lo spirito di accoglienza su cui insiste così tanto Papa Francesco, invita tutti a partecipare? Perché sa che su certi temi solo uniti si vince. Il dramma dell’aborto è così grave, diffuso ed urgente che è folle perdersi in vani distinguo tra bergogliani e non bergogliani. Dividere le forze è controproducente. Per paradosso è lo stesso Gigli a ricordarcelo in più di un’occasione. Nell’inserto mensile di Avvenire “Noi genitori & figli” di ottobre Gigli scriveva: “Non è auspicabile che, nonostante le diverse sensibilità, i cattolici si dividano in ‘cattolici della morale’ e in ‘cattolici del sociale’”. In occasione di un convegno promosso dal Centro aiuto alla vita di Milano del novembre scorso il Presidente del Mpv dichiarava: “Occorre che restiamo uniti e sintonizzati sulla lunghezza d’onda indicata dal Presidente della CEI: promuovere e difendere a 360° il valore e la dignità della vita umana, di ogni vita e in ogni fase della sua esistenza, aiutando a ‘rammendare’ il tessuto dell’Italia e superando l’artificiosa dicotomia tra impegno per la giustizia sociale e proclamazione della verità antropologica. Ne va della credibilità della nostra proposta. […] Chiediamoci se siamo immuni dal rischio dell’autoreferenzialità, se ci vogliamo bene o sparliamo gli uni degli altri, se siamo disposti a riconoscere e valorizzare al massimo la proposta dell’altro, rinunciando a dare valore assoluto solo alle nostre idee, al ‘Vangelo’ secondo noi stessi. […] Occorre insieme sentire l’urgenza di annodare la rete tra di noi e con gli altri per rendere ascoltabile il nostro messaggio”. Dunque marciare compatti insieme a tutti, ma non marciare a maggio a Roma in difesa della vita? 

Una noticina all’indirizzo degli intoccabili di cui sopra. Dopo l’invio della lettera di Gigli, che oggettivamente ha carattere divisivo e non inclusivo, è bene che i destinatari della stessa non seguano l’errante nel suo errore e quindi si astengano dalla tentazione di lanciare anch’essi scomuniche all’indirizzo di Gigli e del Mpv. Bene difendere ragionevolmente e pacatamente le proprie posizioni, meno bene trascendere nell’attacco personale. Anche perché – e qui sta il nocciolo della questione – mentre i pro-life si accapigliano tra loro i bambini in Italia continuano a morire a centinaia di migliaia. E il Signore di questo mondo, il grande divisore, ne gode.

Infine viene da chiedersi perché l’on. Gigli abbia scritto questa lettera. Una prima risposta, sicuramente accettabile, sta nel fatto che l’obbedienza incondizionata ad ogni gesto e parola del Papa professata da Gigli rende insopportabili coloro che invece criticano alcune sue posizioni. Ma forse c’è dell’altro. Nel convegno a Milano accennato più sopra, Gigli così si è espresso sulla legge 194: “Insieme alla società è mutata anche la rappresentanza politica, rispetto alla quale solo persone fuori dal contesto possono pensare di invocare battaglie per riaprire il dossier della 194, che nella sua iniquità è rimasta, paradossalmente, l’ultimo baluardo rispetto all’aborto libero da esercitare come diritto civile”.

Qui è espressa senza veli un difesa della 194 che seppur legge ingiusta è da apprezzare perché avrebbe posto dei paletti all’aborto libero. Un paio di rapide riflessioni. Solo chi pensa che mai una legge ingiusta potrà essere abrogata non riuscirà mai ad abrogarla, proprio perché non vuole abrogarla. Secondo: che il presidente del movimento pro-life più conosciuto in Italia difenda una legge abortista segna un punto di non ritorno perché chiude un cerchio: il credo abortista ha da sempre insegnato che occorre una legge per legittimare l’aborto e parimenti che occorre combattere solo le cause che provocano l’aborto. Tale insegnamento dal fronte abortista è stato fatto proprio dalle più alte sfere del mondo culturale cattolico che, al più, aggiungono l’impegno nel limare gli effetti perniciosi della legge, ma mai si deve porre la scure alla base dell’albero della 194. Terza riflessione: l’art. 4 della 194 permette l’aborto entro i 90 giorni sempre e comunque, ossia in qualsiasi condizione e per qualsiasi motivo. Gli artt. 6 e 7 lo legittimano dopo i 90 giorni anche in questo caso sempre e comunque con tenuissimi limiti che nella pratica sono sempre valicabili. Detto ciò come si fa a dire che la 194 è “l’ultimo baluardo rispetto all’aborto libero” se lo ha liberalizzato in toto? Come si fa poi ad ignorare l’evidenza data dal fatto che se una legge depenalizza una condotta questa si diffonde sempre più? La 194 ha incrementato il numero di aborti – come ebbe a sottolineare più volte lo stesso on. Gigli -  non è strumento di deterrenza all’aborto. Terza riflessione, forse la più rilevante. La Marcia per la vita è indetta sia per lanciare un messaggio a favore della vita sia contro la 194. Non è che si vuole ostacolare la marcia perché si vuole difendere la 194?