Nuove norme anti-pedofilia, modifiche non "svolta storica"
Un Rescritto di papa Francesco toglie il "segreto pontificio" su denunce e processi riguardanti i casi di abuso sessuale e pedopornografia perpetrati da consacrati. Salutato dai media come una "svolta storica", in realtà si tratta di modifiche apportate alla normativa sul solco tracciato già dall'allora cardinale Ratzinger.
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Le ultime modifiche al "Sacramentorum sanctitatis tutela", il Motu Proprio con cui San Giovanni Paolo II nel 2001 assegnò all’ex Sant’Uffizio le competenze per una serie di reati particolarmente gravi, togliendole agli altri Dicasteri, risalivano al 2010. Nove anni dopo, ancora una volta, vengono introdotte delle novità alle “Normae de gravioribus delictis” con un Rescritto di Francesco pubblicato ieri dalla Sala Stampa della Santa Sede, seppur firmato dal cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin, e dal prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, il cardinal Luis Francisco Ladaria, lo scorso 3 dicembre.
Si tratta di un intervento diretto a rendere ancora più restrittiva la norma che già include “l’acquisizione o la detenzione o la divulgazione, a fine di libidine, di immagini pornografiche (…) da parte di un chierico” nei delitti più gravi, quelli giudicati dall’ex Sant’Uffizio: viene, infatti, alzato il limite d’età dei soggetti ripresi per la configurazione del reato di pedopornografia da quattordici a diciotto anni. Viene ritoccato anche l’articolo 13 del “Sacramentorum Sanctitatis”, quello che limitava ai soli sacerdoti i ruoli di giudice, promotore di giustizia e notaio in questi tipi di casi: con il Rescritto, Francesco ha stabilito che “funge da avvocato e procuratore un fedele, provvisto di dottorato in diritto canonico, che viene approvato dal presidente del collegio”.
Il documento più importante, però, è un altro Rescritto che porta la firma del cardinal Parolin e nel quale si annuncia che Francesco “il giorno 4 dicembre 2019, ha stabilito di emanare l’Istruzione Sulla riservatezza delle cause” disponendo con essa che “non sono coperti dal segreto pontificio le denunce, i processi e le decisioni riguardanti” i casi di abusi sessuali mediante minaccia o abuso di autorità, di atti sessuali compiuti con un minore o con una persona vulnerabile, di detenzione, esibizione o distribuzione di materiale pedopornografico, di omissioni e coperture di un chierico di fronte alle indagini canoniche.
Si tratta di quei delitti menzionati nell’articolo 1 del “Vos estis lux mundi”, il motu proprio promulgato il 9 maggio 2019 sull’onda del summit sulla protezione dei minori tenuto in Vaticano lo scorso febbraio. La decisione del pontefice si pone in continuità con la linea della tolleranza zero adottata dal suo predecessore: il delitto canonico dell’acquisto, detenzione o divulgazione di materiale pedopornografico venne infatti sancito nelle modifiche del 2010 al “Sacramentorum sanctitatis tutela“ volute da Benedetto XVI. Il ritocco di nove anni fa alle norme sui “gravioribus delictis”, inoltre, già prevedeva la partecipazione di laici nel personale dei tribunali, velocizzava le pratiche con la possibilità di procedere per decreto extragiudiziale e permetteva la riduzione allo stato laicale senza processo decisa dal pontefice in casi particolari.
Quella circolare della Congregazione della Dottrina della fede, datata 15 luglio 2010, dava seguito alla “Guida alla comprensione delle procedure di base della CDF riguardo alle accuse di abusi sessuali” con cui la Santa Sede aveva voluto dare un segnale preciso di chiarezza e trasparenza nell’annus horribilis caratterizzato da scandali continui. I Rescritti di Francesco sono in piena continuità con quel documento - che all’epoca qualcuno accusò di “retrodatazione” – anche per ciò che riguarda la collaborazione con le autorità civili: nella Guida, infatti, veniva sgombrato il campo da qualsiasi sospetto di omissione e copertura, affermando che “va sempre dato seguito alle disposizioni della legge civile per quanto riguarda il deferimento di crimini alle autorità preposte”.
Quella contro la “sporcizia nella Chiesa” è una battaglia di cui Ratzinger, già dai tempi del suo incarico a capo dell’ex Sant’Uffizio, è stato capofila ed ha condotto anche da pontefice: monsignor Juan Ignacio Arrieta, segretario del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, proprio nel 2010 scrisse su “La Civiltà Cattolica” un articolo che rendeva omaggio all’”influsso del cardinal Ratzinger nella revisione del sistema penale canonico”. Una ricostruzione storica, quella del prelato spagnolo, nella quale veniva evidenziata l’importanza della richiesta fatta dall’allora prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede per far sì che a quest’ultima spettasse la giurisdizione penale esclusiva dei delitti più gravi commessi contro la morale.
Le novità rese pubbliche ieri vanno inquadrate proprio all’interno di quel non scontato percorso inaugurato alla fine degli anni Ottanta dall’attuale papa emerito: non a caso, nel suo articolo per la rivista dei gesuiti, Arrieta scriveva che la decisa azione del cardinal Ratzinger nel “processo più che ventennale di rinnovamento della disciplina penale” rappresentava “una delle costanti che sin dall’inizio hanno caratterizzato i suoi anni romani”.
Ieri il segretario del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi ha scritto un commento alle novità introdotte da papa Francesco nel quale chiarisce anche l’aspetto dell’abolizione del cosiddetto “segreto pontificio” nei casi di abusi commessi da religiosi ai danni di minori e persone vulnerabili: “(…) questo è un particolare importante – precisa il prelato - il fatto che la conoscenza di queste azioni delittuose non sia più vincolata al ‘segreto pontificio’ non vuole dire che venga sdoganata la libera pubblicità da parte di chi ne è in possesso, il che oltre ad essere immorale, lederebbe il diritto alla buona fama delle persone”. Questo significa – continua Arrieta nel suo commento - che “le persone informate della situazione o in qualche modo coinvolte nelle inchieste o istruzione della causa sono tenute a ‘garantire la sicurezza, l’integrità e la riservatezza’, e a non condividere informazioni di alcun genere con soggetti terzi, estranei alla causa”.
La lettera del 15 luglio 2010 firmata dal cardinal Levada all’articolo 30 disponeva che “le cause di questo genere sono soggette al segreto pontificio” e che “chiunque viola il segreto o, per dolo o negligenza grave, reca altro danno all’accusato o ai testimoni, su istanza della parte lesa o anche d’ufficio sia punito dal Turno superiore con congrue pene”. L’abolizione disposta da Francesco, in base alla spiegazione di Arrieta, non sdoganerà la diffusione delle informazioni relative a questi particolari casi a soggetti terzi e non intaccherà quella riservatezza dei procedimenti che giustificava la presenza di quel passaggio anche nelle norme più stringenti volute da Benedetto XVI nove anni fa, senza che questa pregiudicasse l’atteggiamento richiesto di piena collaborazione con le autorità civili.
Dunque, le modifiche introdotte da Francesco nella lotta contro la piaga degli abusi su minori commessi da membri del clero, comunicate nel giorno del suo 83esimo compleanno, sembrano porsi nel solco della trasparenza e della responsabilità inaugurato con decisione dal suo predecessore ancor prima di essere eletto nel 2005.