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IMMIGRATI

Nuova strage, ma ad affondare è sempre più l'Europa

Il dramma dell’immigrazione (l’altra notte un’altra tragedia con 34 morti) non è un’emergenza seppur grave e multiforme, ma è la crisi di un sistema. Ciò si deve a una classe dirigente politica europea, ma non solo, che cerca di nasconderla perché si accorge di non avere alcuna adeguata risposta alle urgenze del presente.

Politica 06_01_2016
Migranti al confine con la Serbia

Nel naufragio di un natante carico di migranti che aveva lasciato le antistanti coste della Turchia diretto all'isola greca di Lesbo, sono morte l’altra notte almeno 34 persone tra cui tre bambini. Tanti mentre scriviamo sono, secondo la gendarmeria di Ankara, i cadaveri raccolti sulle spiagge delle località di Ayvalik e Dikili. Proprio mentre anche Svezia e Danimarca e Germania hanno sospeso l’applicazione del trattato di Schengen, il tragico episodio ha richiamato l’attenzione sull’odissea di coloro che puntano a entrare illegalmente nell’Unione Europea dalla Turchia raggiungendo alcune isole greche prossime alle coste turche. 

La cosiddetta “area di Schengen” sta insomma andando a pezzi da un estremo all’altro; e con essa il presuntuoso progetto, sancito dal trattato di Maastricht e dai suoi sviluppi, di costruire un’Unione Europea senza anima, né cuore né testa, ma fondandosi soltanto sulle ragioni dell’economia e sulla morsa della tecnocrazia. Quella che abbiamo di fronte non è un’emergenza seppur grave e multiforme, ma è la crisi di un sistema. E non c’è la minima speranza di venirne fuori fino a quando non ci si rende conto e non la si riconosce come tale. Se questo ovvio sviluppo appare ancora lontano ciò si deve a una classe dirigente politica, ma non solo, che cerca di nasconderselo e di nasconderlo perché si accorge di non avere alcuna adeguata risposta alle urgenze del presente.  

Il relativismo e il nichilismo, ovvero i tratti dominanti dell’ attuale ordine costituito in Europa, sono (si fa per dire) un lusso che ci si può permettere quando si è così forti e stabili da non avere alcun nuovo grande problema da affrontare; e niente da temere niente da nessuno. Oggi non è più così, il che tra l’altro è in fin dei conti provvidenziale. Urge pertanto un cambio di marcia a livello profondo, a un livello che viene prima della politica e prima dell’economia. Finché ciò non avviene tutto si riduce a nient’altro che un grande annaspare.  Come bene si spiega nel libro-dossier di Anna Bono, numero 2 della nostra collana “I libri della Bussola”, alla radice della questione dei migranti c’è l’enorme squilibrio tra il Nord e il Sud del mondo nonché il continuo riaccendersi di conflitti nei Paesi e nelle aree meno sviluppate. É lì che si deve intervenire perché vengano meno le ragioni di questi esodi disperati. 

Frattanto si deve fare una politica europea per la gestione di coloro che sono già in diaspora, anche se questo non significa necessariamente accogliere in forma stabile nell’Unione Europea chiunque riesce a varcarne in qualche modo i confini. Non si può però fare una politica europea se non c’è l’Europa. Le urgenze del momento possono anche diventare un catalizzatore della nascita della nuova Europa della quale abbiamo bisogno, ma anche questo non avviene da sé. Avviene soltanto se lo si vuole, e dopo avere preso atto che la vecchia Europa di Maastricht non funziona più. Prendere atto che l’Europa di Maastricht non funziona più, e che bisogna pensarne un’altra è la conditio sine qua non. 

Viceversa per tutto il ceto politico che l’ha voluta e costruita, e che ancora ne tiene strette le leve, essa è un intangibile tabù. Tuttavia questa svolta è indispensabile. La questione dei migranti poi non si identifica, ma comunque ha dei punti di contatto con quella del terrorismo. E ciò per un motivo che non ha nulla a che vedere con le ragioni del fenomeno in sé. Quello dei migranti è un flusso non governato e illegale, che porta con sé dei flussi di denaro altrettanto non governati e illegali. Sarebbe davvero strano che le organizzazioni terroristiche non se ne avvalessero per i loro traffici sia di uomini sia di fondi. Fermo restando l’impegno a lavorare per rimuovere alla radice le cause di questi esodi, nell’immediato occorre da un lato contenerli e dall’altro filtrarli in tutta la misura del possibile. 

In tale prospettiva la questione del ricollocamento dei migranti fra i 28 Stati dell’Unione Europea è semplicemente una perdita di tempo. Questa gente ha già in testa verso quale Stato dirigersi in cerca di accoglienza definitiva: o là dove ci sono dei parenti o amici o là dove è più facile trovare lavoro. Non è dunque affatto disponibile ad andare ovunque, e ed essendo già stata capace di raggiungere l’Europa al termine di un’ardua odissea ancora più saprà come spostarsi all’interno dell’Ue anche se qualcuno glielo volesse impedire. Occorre una politica comune consistente in un insieme molto flessibile di misure tra loro coordinate nei più diversi ambiti sia all’interno di ogni singolo Stato e sia all’interno dell’Unione nel suo insieme che al suo esterno. Una politica caratterizzata dalla definizione degli obiettivi più che da quella degli strumenti. Una politica accompagnata da un comune impegno al controllo delle frontiere esterne dell’Unione finanziato da tutti gli Stati membri ma da affidare ai Paesi che hanno tali frontiere.