Nozze gay, così i giudici ordinano la legalizzazione
Il Tar del Lazio stronca la bocciatura, fatta dal ministro degli Interni e dai prefetti, dei matrimoni gay trascritti da alcuni sindaci. Perché, dicono i giudici, la cancellazione può farla solo l’autorità giudiziaria e non i prefetti. Un escamotage per spingere il Parlamento a legalizzare le nozze omossessuali.
A Roma hanno trovato il modo per tamponare il calo dei matrimoni. Basta allargare il bacino di utenza. Ingresso libero quindi anche alle coppie omosessuali che vogliono “sposarsi”. Questo è in sostanza l’orientamento – è proprio il caso di dirlo - sposato, seppur non esplicitamente, dal Tar del Lazio. Ma ricostruiamo dall’inizio la vicenda dalle tinte arcobaleno.
Il 18 ottobre scorso il sindaco di Roma Ignazio Marino trascrive nei registri comunali 16 “nozze” di coppie omosessuali celebrate all’estero. Dopo pochi giorni il prefetto Pecoraro intima al primo cittadino di cancellare le trascrizioni, altrimenti provvederà lui in persona. Cosa che puntualmente avviene. Pecoraro non aveva fatto altro che applicare una circolare del ministro dell’Interno Angelino Alfano del 7 ottobre la quale, a fronte di iniziative simili attuate dai colleghi di Marino in altre città italiane, invitava i prefetti a «rivolgere ai sindaci formale invito al ritiro di tali disposizioni ed alla cancellazione delle conseguenti trascrizioni» procedendo «all'annullamento d'ufficio degli atti illegittimamente adottati». La puntata successiva di questa nuova edizione dei promessi sposi vedeva sia il Campidoglio che una coppia omosessuale far ricorso al Tar del Lazio. I giudici hanno dato loro ragione. «L’annullamento di trascrizioni di matrimoni di questo genere celebrati all’estero», spiegano i giudici, «può essere disposto solo dall’autorità giudiziaria ordinaria. Il ministero dell’Interno e le Prefetture, quindi, non hanno il potere di intervenire direttamente. Allo stato, non è consentito celebrare matrimoni tra persone dello stesso sesso e, conseguentemente, matrimoni del genere non sono trascrivibili nei Registri di stato civile».
Quindi con un carpiato doppio il Tar del Lazio ci dice che il sindaco non poteva trascrivere questi “matrimoni”, ma intanto rimangono trascritti fino a quando alcuni giudici civili li annulleranno. Ciò significa che fino a quel momento produrranno effetti giuridici. E dunque fino a quel giorno due persone dello stesso sesso potranno essere considerate legittimamente coniugi, sebbene per il nostro ordinamento non esista il “matrimonio” omosessuale. Davvero un bell’ossimoro giuridico. Ma facciamoci questa domanda: prefetto e ministero dell’Interno sono incompetenti nel predisporre l’annullamento di simili trascrizioni? No. L’ordine pubblico – inteso come l’insieme di principi ordinamentali su cui si fonda la nostra convivenza civile - è un limite alla ricezione nel nostro Paese di norme e sentenze straniere che contrastano con i principi fondamentali dello Stato, in primis con quelli della Costituzione. Tradotto, significa che trascrivere un “matrimonio” omosessuale confligge con l’art. 29 della Costituzione, il quale dichiara che esiste un solo matrimonio: quello tra un uomo e una donna. Ciò mina l’ordine pubblico del nostro paese che è fondato sulla famiglia.
Per “lesione dell’ordine pubblico” non dobbiamo pensare per forze di cose alla guerra civile o agli atti di terrorismo. L’ordine di una società è fondata su valori comuni cristallizzati dalla nostra Costituzione. Ora, anche se l’italiano comune potrebbe sbadigliare davanti a quel che sta accadendo a Roma, dato che a lui le “nozze” gay importano assai meno che l’andamento del campionato, così non la pensavano i nostri Padri costituenti. Permettere a due persone dello stesso sesso di “sposarsi” equivale ispirarsi ai principi costituzionali vigenti a Disneyland dove un topo può votare e dove puoi fare una donazione al tuo amico alieno. Dunque acconsentire alle “nozze” arcobaleno è una faccenda che riguarda l’ordine pubblico e questo è di competenza a livello locale del prefetto e a livello nazionale del ministero Interno. La questione dei “matrimoni” gay non si può liquidare come un fatterello di diritto privato da demandare ad un qualsiasi tribunale civile, come se fosse una bega di condominio.
Tutta questa manovra che si muove tra le aule consiliari e quelle di tribunale mira ovviamente e come sempre a spingere il Parlamento a legiferare in materia, cioè ad accelerare il varo del disegno di legge sulle Unioni civili fermo in Parlamento. Le scuse sono le solite: c’è un vuoto normativo e dobbiamo dare una risposta chiara a tutti questi contenziosi. Non possiamo lasciare una materia così delicata all’arbitrio dei giudici. Tutto falso. Il vuoto normativo non esiste, se non nella testa di qualcuno. Infatti di matrimonio nel nostro ordinamento c’è solo quello tra uomo e donna. Le altre forme di convivenza la legge proibisce di chiamarle “matrimonio”. Che i giudici applichino quindi la legge e gli amministratori locali rispettino questa legge. Perché altrimenti anche noi popolino potremmo iniziare in massa a non pagare le tasse dicendo che c’è un vuoto normativo e chiedendo a fronte di tanti contenziosi giuridici di carattere tributario una bella legge che ci permetta di non pagarle più. Ad ognuno le sue voglie.