Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Galdino a cura di Ermes Dovico
L'INCENDIO E LE RADICI CRISTIANE

Notre Dame, non tutto è perduto se usciamo dal torpore

Notre-Dame di Parigi, dopo l'incendio. Tutto non sarà perduto se questo fuoco ci farà uscire dal nostro torpore. Ma bisogna fare in fretta: non basterà ricostruire questa cattedrale bruciata. Va salvata una civiltà millenaria che merita di essere tramandata, come questo magnifico gioiello che ci ha svegliati con la sua grandezza e fragilità.

Editoriali 20_04_2019
L'incendio di Notre Dame

Sono felice di aver partecipato al numero speciale che Le Figaro pubblica oggi, con Régis Debray, Fabrice Luchini, Franck Ferrand, mons. Rougé e molti altri ...

Aveva attraversato otto secoli, tutti i conflitti dal Medioevo, le guerre di religione, l’eccitazione rivoluzionaria e l’occupazione nazista: aveva resistito a tutte le epoche della violenza. È bruciata oggi per la prima volta. Abbiamo visto lunedì, esterrefatti, crollare sotto i nostri occhi queste travi del XIII secolo, queste antiche querce, che le mani di tanti anonimi artigiani avevano trasformato nella struttura di una delle più grandi cattedrali d’Europa.

Notre-Dame di Parigi non è solo un ammasso di pietre; questo posto ha un significato, e questo significato non appartiene solo ai cristiani. Siamo stati tutti toccati, sconvolti da questo dramma, l’angoscia si è impadronita della nostra anima per la perdita di una parte intima di noi stessi. È bello che noi si sia legati l’uno all’altro, senza saperlo a volte, da una storia che ci precede e che ci impegna. Credenti o no, noi siamo i figli di quell’atto di fede che lanciò verso il cielo la freccia che è crollata ieri.

È questa aspirazione che crea un popolo. Notre-Dame di Parigi, come il più umile campanile nel cuore di ogni villaggio, è il segno visibile dell’impulso spirituale che ha fondato la nostra civiltà. Nulla è mai fatto di materia: tutto è spirito e carne, persino le pietre, che sanno parlare quando diventano cattedrale. E ciò che l’alta sagoma di Notre Dame dice sempre, nel cuore della nostra capitale, è questa aspirazione a ciò che ci solleva.

Il miracolo di una cattedrale è lì: è possibile superare la condanna della gravità, che riduce tutto all’altezza dell’orizzonte. È possibile sconfiggere la maledizione dell’effimero e costruire per le generazioni future. È possibile tenere insieme enormi pietre pesanti sollevate a lungo nel cielo.

Tutta questa vittoria si basa su una scoperta meravigliosamente sottile e meravigliosamente semplice: basta una chiave di volta. Senza dubbio è quello che ci manca oggi. Dove sono le chiavi di volta che potrebbero tenerci insieme? Non sappiamo più chi siamo. Abbiamo preferito non nominare le nostre radici. Fatichiamo a trasmettere gli elementi più fondamentali della nostra lingua, delle nostre conoscenze, della nostra cultura.

Invece di investire per le generazioni a venire, consumiamo attraverso un debito multiforme i beni che prendiamo in prestito da loro. Il nostro Paese, le nostre società occidentali sembrano avere come prospettiva solo la solitudine dell’individuo abbandonato all’effimero. La frammentazione della comunità e la violenza islamista prosperano sul vuoto lasciato dai nostri crolli interni.

Una cattedrale può resistere solo alla chiave di volta che sfida la gravità; un Paese può reggere solo se ci affidiamo a ciò che ci innalza e che ci lega gli uni agli altri. Dove sono oggi le nostre chiavi di volta? Nel lutto che viviamo in questa singolare vigilia di Pasqua c’è un segno di speranza. Dopo tutto, il cristianesimo che ha plasmato l’Europa ci ha insegnato a guardare alla morte come a un passaggio verso la vita...

Eccoci almeno richiamati, dalla brutalità del disastro, all’evidenza dimenticata della storia che ci lega, della nostra comune eredità. Nessuno può negare che il cuore di Parigi batta intorno a Notre-Dame, da cui partono tutte le strade della Francia. Potremmo ancora essere in grado di sfuggire alla negazione della realtà, alla rottura della ereditarietà, alla cancellazione della nostra cultura. Se sappiamo dire il nome delle nostre radici, esse saranno il percorso da cui attingere la linfa per proiettarci nel futuro.

È tempo di proteggere, di amare umilmente questa cultura che ci rende ciò che siamo – non perché sia potente, ma perché è fragile e vulnerabile nella misura esatta della sua fragilità. Sapere ridire chi siamo non è tagliarsi fuori dagli altri, ma al contrario è essere in grado di accogliere, di aprirsi all’alterità, significa integrare colui che vuole unirsi a una storia che è da continuare. Dobbiamo trovare la chiave di volta che ci terrà insieme e trovare quell’altezza alla quale siamo stati destinati da coloro che ci hanno preceduto.

Tutto non sarà perduto se questo fuoco ci farà uscire dal nostro torpore. Ma bisogna fare in fretta: non basterà ricostruire questa cattedrale bruciata. In tutta la Francia vi sono tesori del nostro patrimonio che rischiano di scomparire nel silenzio; e al di là di questi tesori di pietra, nei cuori e nelle menti, abbiamo un linguaggio da salvare, un sapere e un saper fare, un certo modo di vivere, costumi, una civiltà – tutto ciò che è la chiave di volta di una civiltà millenaria che merita di essere tramandata, come questo magnifico gioiello che ci ha svegliati con la sua grandezza e fragilità.

In questo incendio si sono concentrate la nostra angoscia e la nostra speranza – la speranza che Notre-Dame di Parigi possa riunirci e stupirci ancora per lungo tempo.

*Le Figaro, 17 aprile 2019

Traduzione a cura di Gerardo Larghi, pubblicato per gentile concessione di Le Figaro.