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mercoledì delle ceneri

Non viviamo invano, valutiamo la prospettiva dell'eternità

L’austero ed efficace simbolo della cenere invita a riflettere sull’inconsistenza della vita e dei suoi progetti facendo riferimento al tema del peccato, che non soltanto si configura come disobbedienza alla legge di Dio, ma più e prima ancora come fallimento dell’umana attività e dei più profondi desideri del cuore. Il richiamo al passaggio della morte evoca anche l’appuntamento del giudizio invitando a valutare tutto nella prospettiva dell’eternità e del definitivo.

Documenti 26_02_2020

Con questa riflessione sul Mercoledì delle Ceneri, Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia-Sanremo, inizia una collaborazione con la Nuova Bussola Quotidiana che lo porterà a commentare per noi tutte le domeniche di Quaresima.
 

Per quanto lo si trovi segnato in agenda o lo si programmi con largo anticipo il giorno delle Ceneri, inizio solenne della Quaresima, sembra giungere sempre improvviso quasi a sorprenderci indaffarati e distratti. Non c’è da stupirsi, ciò accade non soltanto per dimenticanza o abitudine, ma per il messaggio stesso che in questo giorno risuona al cuore della sua sobria e incisiva liturgia: “Memento, homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris”.

Ricordati che devi morire. E non basta rispondere, un po’ scanzonati: “mo’ me lo segno”, secondo la famosa battuta del film “Non ci resta che piangere”, per attutire il richiamo fragoroso di un simile pro memoria.

Il segno della cenere è assai eloquente nel richiamare che l’uomo è stato tratto dal fango ed è quindi impastato di limite e di fragilità. Tale consapevolezza può condurre ad un’adeguata considerazione di se stessi come anche ad una profonda disperazione; cito, ad esempio, la angosciosa affermazione di Ettore Petrolini: “l’uomo è un pacco postale che la levatrice spedisce al becchino”.

La tradizione liturgica della Chiesa accompagna con la salutare considerazione della morte la sollecitudine con cui invita al pentimento e alla conversione, in quanto se è già tragicamente ridicola un’esistenza umana che si concepisca nell’autosufficienza rispetto alla propria origine e al mistero, è ancor più assurdo considerare il dramma del peccato come ribellione e disobbedienza da parte di chi è soltanto polvere e fango. Il richiamo al passaggio della morte evoca poi anche l’appuntamento del giudizio invitando a valutare tutto nella prospettiva dell’eternità e del definitivo.

In modo particolare l’austero ed efficace simbolo della cenere invita a riflettere sull’inconsistenza della vita e dei suoi progetti facendo riferimento al tema del peccato, che non soltanto si configura come disobbedienza alla legge di Dio, ma più e prima ancora come fallimento dell’umana attività e dei più profondi desideri del cuore. Nella sua più tipica accezione biblica infatti il termine peccato esprime l’idea di un bersaglio mancato ed è molto chiara la correlazione con l’idea che ogni uomo, esprimendo scelte e decidendo parole ed opere, tenda al conseguimento di un fine, genericamente riconosciuto come la felicità. Il peccato racconta di come l’uomo possa tristemente illudersi di realizzare la propria vita o di costruire un mondo pacificato e giusto nella pretesa di escludere il riferimento al Creatore dal proprio orizzonte esistenziale.

Così arriva la Quaresima a richiamarci alla penitenza, che, in primo luogo non significa sacrificio e rinuncia, ma “ritorno”: c’è un orientamento da ritarare e ci sono passi da recuperare affinché la vita non resti paralizzata nella deludente esperienza del bersaglio mancato e non persista nell’aridità e nella paura dell’inconsistenza.

“Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori. Se il Signore non vigila sulla città, invano veglia la sentinella. Invano vi alzate di buon mattino e tardi andate a riposare, voi che mangiate un pane di fatica: al suo prediletto egli lo darà nel sonno”. Il salmo 127 - testo quanto mai opportuno e significativo nel contesto dell’emergenza da epidemia del coronavirus - utilizzando l’immagine di chi vuole costruirsi una casa o della custodia della città (dimensioni personale e comunitaria) insiste con il ritornello dell’avverbio “invano”, che, nella lingua ebraica, ha la stessa radice della parola “sheol”, il termine utilizzato per indicare il regno dei morti, caratterizzato appunto dalla inconsistenza, per dire che ci può essere uno stile di vita, che, nella voracità di rincorrere traguardi di successo, si espone al rischio di perdere tutto.

È quanto lucidamente spiega un passaggio della Lettera agli Ebrei: "Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all'impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita" (2, 14-15). L’uomo, nella sua fragilità, è effettivamente esposto al rischio che tutto il suo impegno possa essere tradito dal peggiore degli inganni, indotto dall’Accusatore, e cioè di bastare a se stesso: l’epilogo di una vita del genere sarebbe proprio la morte, dalla quale si cerca di fuggire esorcizzandola e accumulando esperienze gratificanti nella penosa illusione di voltare le spalle a Colui che è la sorgente della vita.

Ecco qui la necessità del ritorno, della penitenza dunque, e, in tale contesto, anche delle opere/segno della penitenza, che la Quaresima propone: la preghiera, l’ascolto della Parola di Dio, la mortificazione e la carità fraterna nell’elemosina e nelle opere della misericordia. Concretamente significa gettare via una zavorra di vizi e “legami iniqui” (cfr. Is 58, 1-9) permettendo alla grazia di Dio di predisporre un cuore capace di ascolto, di docilità e di fedeltà.

È la bella esperienza del deserto, immagine tipica della Quaresima, che, attraverso il richiamo nuziale dell’alleanza, carica di entusiasmo e fa brillare di gioia, l’impegnativo lavorio spirituale, al quale seriamente invita questo tempo di penitenza: “Perciò, ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore” (Os 2, 16).

Questo tempo santo ci invita ad accogliere ancora la verità di Dio, che anche ci accusa dei peccati non in vista della condanna, ma per spalancare la porta della salvezza, regalando alla vita nuovo slancio e vera fecondità in tutti gli ambiti (personale, familiare, ecclesiale e sociale), regalando alla vita una prospettiva autentica, entro la quale collocare opere, parole e pensieri e dalla quale attingere i veri criteri di giudizio su tutto.

Si parte dall’umile considerazione della cenere posta sul capo guardando alla sfolgorante esperienza di risurrezione che ci attende, come San Paolo esortava i cristiani di Colosse: “Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio!” (Col 3, 1-3).