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COSTUME

Non trasformiamo i social network in tribunali del popolo

I "like" di 300 utenti per il post con cui un uomo annunciava su Facebook l'uccisione della moglie, ha scatenato una serie di reazioni scandalizzate. Comprensibile, ma la proposta di gogna mediatica per quanti hanno mostrato apprezzamento, rivela una tendenza ai giudizi sommari. Difendere la propria dignità in rete è doveroso. 

Cronaca 03_12_2014
"Sei morta"

Ha suscitato sdegno e indignazione il post su Facebook con cui il trentaduenne di Postiglione, comune dell'hinterland salernitano, Cosimo Pagnani ha annunciato di aver ucciso l'ex moglie, Maria D'Antonio. Si è trattato dell'ennesimo caso di "femminicidio", dovuto, pare, ai frequenti litigi sull'affidamento della figlia.

Ma questa volta il tragico episodio ai danni di una donna si è arricchito di un particolare assai macabro: l'utilizzo, da parte del marito-killer, del profilo personale di Facebook per sbandierare ai quattro venti l'uccisione della moglie. Gli investigatori stanno cercando di capire se sia stato davvero Pagnani a scrivere quella frase. Ma a suscitare orrore non è stato solo il suo post: sono stati anche quei "like" alla morte e alla violenza cliccati da circa trecento utenti del social network prima che il profilo di Pagnani venisse disattivato dagli amministratori di Facebook, in seguito alle centinaia di segnalazioni pervenute al centro di controllo di Dublino.

I "like" si sono moltiplicati per ore, fino alla cancellazione della pagina. Prima della notizia ufficiale dell'omicidio si erano registrati su quel post solo 52 pollici in su, per cui gli altri 265 sono stati apposti quando già si era saputo che quella donna era stata uccisa. Qualcuno cerca di addolcire la pillola sottolineando come il gesto del "like" non sia sempre un gesto di aporovazione, bensì connoti anche una semplice "avvenuta lettura" o, in questo caso, nella migliore delle ipotesi, un'attestazione di pietas e compassione verso la vittima. Ma si tratta di interpretazioni alquanto ardite e minoritarie.

L'orrore ha viaggiato in Rete con una disinvoltura disarmante, senza filtro alcuno. Decine di siti hanno pubblicato e stanno pubblicando in queste ore il post dell'assassino in versione integrale con tutti i giudizi morali annessi e connessi. E c'è chi addirittura ha proposto, provocatoriamente, di pubblicare i nominativi di tutti gli autori dei "like" a quel post macabro, incivile e inqualificabile. La gogna mediatica per quelle persone inqualificabili o, nella migliore delle interpretazioni, distratte, insensibili e superficiali, sarebbe, secondo alcuni, la giusta punizione per loro e un tributo simbolico alla memoria della donna trucidata con efferatezza dal marito.

Ma così facendo i social network rischiano di diventare i nuovi tribunali del popolo, protagonisti di giudizi sommari, autori di sentenze e verdetti che attengono alla morale ampiamente condivisa e al diffuso sentire collettivo ma non all'applicazione del diritto. Non esiste, infatti, alcuna norma, né nazionale né europea né internazionale, in base alla quale si possano sanzionare sul piano legale quel post, quei "like" e quei commenti al post. Il tutto ricade, infatti, nell'ambito della libertà d'opinione, che nell'ecosistema digitale e, in particolare, nell'«agorà» dei social network, si dispiega con toni e modalità spesso devastanti, incontrollate e virali.

Ciò non toglie che non si possa e non si debba tentare di disciplinare, almeno in parte, la socialità in Rete, introducendo forme di tutela, anche giuridica, dei diritti delle persone. In assenza di normative ad hoc, tribunali e Autorità nazionali e sovranazionali sono chiamati a far sentire la loro voce per punire casi di lesione dell'onore, della reputazione e dei diritti della personalità dei soggetti, responsabilizzando gli utenti e affermando il principio in base al quale la Rete non può essere interpretata e vissuta come la giungla, come il regno della sopraffazione, come una "zona franca" e senza regole, dove tutto è lecito.

Da un punto di vista pratico, le denunce alla polizia postale, che monitora costantemente la Rete e che può oscurare, ad esempio siti pedopornografici, possono ottenere una certa soddisfazione. Ma occorre in primo luogo autotutela, cioè autocontrollo prima di esternare emozioni, opinioni e pulsioni, che finiscono per alimentare tensioni sociali e istinti di vendetta.