Non solo Kung Fu: l'(a)teologia di Bruce Lee
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50 anni fa moriva la star del cinema che diffuse nel mondo il fascino delle arti marziali. Lottatore, ma anche uomo di pensiero, sviluppò una sua peculiare via di perfezionamento personale segnata dal sincretismo e dall'assenza di Cristo.
20 luglio 1973: a Hong Kong muore a 32 anni Bruce Lee, superstar del cinema di arti marziali, a causa di un’edema cerebrale. Attraverso di lui milioni di persone si sono avvicinate alle arti marziali di cui è stato il più efficace ambasciatore. È invece meno nota la sua filosofia.
Nacque a San Francisco, negli Stati Uniti, dove la sua famiglia si trovava per una tournée teatrale: suo padre era un famoso interprete dell’opera cantonese. Tornato a Hong Kong, Lee Jun-fan (il nome cinese di Bruce) fu allievo di scuole cattoliche, tra cui la Tak Sun e i Fratelli delle Scuole Cristiane (Lasalliani). Infatti sua madre, cattolica e di origine europea, ci teneva che il figlio ricevesse una educazione in questo senso.
Nel frattempo, Bruce grazie al padre ebbe le prime esperienze cinematografiche, girando tra il 1951 e il 1960 numerosi film per il pubblico cinese. Cominciò anche a studiare arti marziali sotto la guida di Ip Man, una figura che diverrà anche molto popolare grazie a vari film recenti su di lui. Sembra che Bruce avesse problemi ad essere accettato nella sua scuola in quanto secondo una tradizione interna a questo mondo, le arti marziali dovevano essere insegnate soltanto ai cinesi e lui, per via delle origini della madre, non era considerato un cinese puro.
Tornato negli Stati Uniti, studiò filosofia all’Università di Washington e aprì varie scuole di Kung Fu aperte a studenti non cinesi. Questo gli creerà problemi con la comunità legata alle arti marziali, che si acuiranno quando Bruce svilupperà un suo stile che chiamerà Jeet Kune Do. Ma lui non badava a queste tradizioni, tanto che sposò una donna americana, Linda Emery, di religione presbiteriana, da cui ebbe due figli: Brandon (morto nel 1993 sul set di un film) e Shannon.
Negli Stati Uniti prese parte ad alcune serie televisive di successo, ma fu il cinema di Hong Kong a lanciarlo sulla scena internazionale. I suoi film avranno un impatto fenomenale: The Big Boss (1971, Il furore della Cina colpisce ancora), The Chinese Connection (1972, Dalla Cina con furore), Way of the Dragon (1972, L’urlo di Chen terrorizza anche l’occidente), Enter the Dragon (1973, I tre dell’operazione Drago). In Cina verrà conosciuto con il nome di Lee Siu-lung “il piccolo drago”).
Bruce Lee non fu semplicemente un grande lottatore, ma un uomo di pensiero che sviluppò una “visione del mondo” a sostegno delle sue teorie sulle arti marziali. Un grande conoscitore di Bruce Lee come John Little così definisce la filosofia del “piccolo drago” nel libro in cui raccoglie le interviste da lui rilasciate, Bruce Lee, Words of the Dragon: Interviews 1958-1973: «Lee credeva e tentava di trasmettere a tutti coloro che avrebbero ascoltato che l'individuo rappresentava l'intera umanità e che la felicità, la conoscenza e il significato che ognuno di noi desidera e cerca da così tante fonti divergenti risiede alla fine in tutti noi». Se da una parte è ammirevole cercare di potenziare lo sviluppo del potenziale umano, dall’altra questo atteggiamento ci chiude in un immanentismo che non cerca il Dio che si fa uomo, ma quasi spera nell’uomo che si fa dio. È un chiudersi alla possibilità della trascendenza che ovviamente è antitetica alla visione cristiana della vita.
In una intervista del 1966, tratta dal libro di John Little, parlando dell’educazione di suo figlio, Bruce Lee dice: «Infine, attraverso tutta l'educazione di Brandon percorrerà la filosofia confuciana secondo cui i più alti standard di condotta consistono nel trattare gli altri come si desidera essere trattati, più lealtà, intelligenza e il pieno sviluppo dell'individuo nelle cinque principali relazioni della vita: il governo e quelli che sono governati; padre e figlio; fratello maggiore e minore; marito e moglie; amico e amico. Equipaggiato in quel modo, non credo che Brandon possa sbagliare molto».
In questo aspetto Bruce Lee tocca uno dei punti di contatto importanti esistenti fra la filosofia tradizionale cinese e il pensiero cristiano, l’idea che agli altri non vada fatto quello che non vorresti fosse fatto a te. Credo che sotto questo aspetto sia interessante il tentativo, fatto da alcuni, di usare certi aspetti del confucianesimo come porte verso l’accettazione del cristianesimo.
Sempre facendo riferimento all’educazione di Brandon, Bruce Lee apre uno spiraglio sulla propria educazione religiosa in un’altra intervista, sempre nel 1966: «Lo stesso vale per la fede battista contro il buddismo. Brandon avrà la possibilità di provarle tutte, insieme a tutte le altre religioni che lo interessano, nella speranza di trarre il meglio da ogni filosofia prima di accettarne fermamente una come sua. Lo stesso Bruce crebbe in una famiglia benestante e – nonostante alcune privazioni durante gli anni della guerra – ricordava la sua infanzia a Hong Kong come un periodo di felice benessere, se non addirittura di lusso. Sebbene suo padre fosse buddista e sua madre cattolica, questo non ha mai presentato alcun conflitto. «Quando mia madre andava in chiesa la domenica», dice Bruce, «mio padre sedeva a casa. Questo non sembrava preoccuparla, e non preoccupava mio padre il fatto che mi mandasse a una scuola cattolica». In questa scuola, Bruce imparò un po' di inglese, ma non fu confermato nella fede cattolica. Invece, sviluppò un vivo e vasto interesse per tutte le religioni e le filosofie, dal taoismo al protestantesimo.
Certamente non possiamo fare a meno di vedere in questo approccio un forte sincretismo, che ritiene si possa prendere da ogni religione come al supermercato si sceglie una marca piuttosto che un’altra. Ovviamente questo presuppone che nessuna religione sia giudicata come la sola vera. Del resto le filosofie orientali, per quanto affascinanti, non di rado sono ammantate da elementi di sincretismo e quindi vanno maneggiate con cautela.
È importante comprendere comprendere che Bruce Lee non fu solo una grande star del cinema, ma fu soprattutto un acuto teorizzatore della filosofia che faceva da supporto alle arti marziali da lui praticate. Una filosofia affascinante, un misto di filosofie sincretiste orientali e pragmatismo americano, ma che in alcuni punti non secondari non si concilia bene con la tradizione cristiana.
Per questo parliamo di (a)teologia di Bruce Lee, in quanto dalla sua personale ricerca di perfezionamento personale è assente, o così sembra, Colui che ha lottato per tutti e ha vinto perdendo: Gesù Cristo. Questo non significa che non si possa ammirare i film di Bruce Lee o praticare le arti marziali, ma significa che in tutto quello che facciamo, per proteggerci da potenziali pericoli, dovremmo affinare il nostro sguardo cattolico.