Non solo Giuli: Meloni ha un problema nella scelta dei ministri
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Gli scivoloni alla Cultura confermano gli effetti avversi del manuale Cencelli, che riguardano più di un dicastero. Alla premier conviene cercare competenze, non basta pescare nella propria "infosfera".
Il governo di Giorgia Meloni, a quasi due anni dall'inizio del suo mandato, continua a fare i conti con un problema ricorrente: la scelta dei ministri. Le dimissioni del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, a causa di scivoloni che hanno messo in imbarazzo l’esecutivo, sono solo l'ultimo capitolo di una saga che sembra non avere fine. Il suo successore, Alessandro Giuli, ha già mostrato segni di inadeguatezza, come da noi evidenziato nei giorni scorsi. Tuttavia, questo è solo uno dei casi che dimostra come molti ministri di Fratelli d’Italia abbiano avuto difficoltà a reggere le aspettative.
Tra le figure più problematiche, Daniela Santanchè, ministro del Turismo, rappresenta una vera e propria mina vagante per il governo. I suoi guai giudiziari sono un fardello sempre più pesante per Meloni. Se la Santanché dovesse essere rinviata a giudizio, si aprirebbe un delicato caso politico all'interno dell’esecutivo. Meloni, in passato, ha infatti invocato dimissioni immediate per i ministri coinvolti in inchieste giudiziarie di rilievo, e questo precedente potrebbe metterla in una posizione scomoda. Rischia di essere costretta a richiedere la testa di una delle sue principali fedelissime, generando malcontento all'interno della maggioranza.
Altro protagonista assai discusso dell’esecutivo è Carlo Nordio, ministro della Giustizia ed ex magistrato. Le sue battaglie contro i privilegi della magistratura, pur considerate da molti meritorie, lo hanno messo in rotta di collisione con l'ambiente delle toghe, ma anche con una parte dell’opinione pubblica. Nordio sta tentando di riformare un sistema della giustizia gravemente malato. Le sue proposte, spesso portate avanti con toni rigidi, rischiano di trasformare in divisioni politiche quelle che dovrebbero essere riforme eque e condivise.
Non meno critico è il giudizio su Nello Musumeci, ministro per il Mare e il Sud. La sua azione di governo è stata finora considerata impalpabile, senza particolari successi o iniziative che abbiano davvero inciso. La sua figura non sembra riscuotere simpatie né all'interno dell'esecutivo né nella sua stessa regione, la Sicilia, dove le sue politiche non hanno trovato il consenso sperato. Questo isolamento politico e la sua scarsa incisività lasciano spazio a dubbi sulla sua capacità di portare avanti progetti concreti in aree così cruciali per il futuro del Paese.
Tra i ministri di Fratelli d'Italia che hanno attirato l'attenzione pubblica, Francesco Lollobrigida è stato più volte al centro delle cronache non tanto per i risultati ottenuti in ambito agricolo, quanto per le sue gaffe. Più volte le sue dichiarazioni poco ponderate hanno sollevato polemiche, mettendo in ombra l'operato del ministero e provocando imbarazzi all'interno dell'esecutivo. A questo si aggiunge la sua vicenda personale, che ha ulteriormente complicato la sua posizione politica. La separazione da Arianna Meloni, sorella della premier, sebbene non fossero sposati pur avendo due figli, lo ha progressivamente allontanato dal "cerchio magico" meloniano. La sua influenza all'interno del governo è visibilmente diminuita, e in molti lo considerano in caduta libera. Tuttavia, anche in caso di sua sostituzione, appare improbabile che qualcuno pianga la sua uscita di scena, vista la percezione di un contributo limitato e delle frequenti uscite infelici.
Infine, Guido Crosetto, ministro della Difesa, rappresenta un tassello chiave per gli equilibri di governo. Crosetto è stato al centro di numerosi dissidi con Meloni, soprattutto sull'affaire dossieraggio, tema che ha generato non pochi malumori all'interno della maggioranza. Tuttavia, Crosetto rimane una figura cruciale: dietro di lui si muove un mondo liberale e imprenditoriale significativo, la cui vicinanza a Meloni è strategica per evitare che l'immagine della premier sia troppo associata agli ambienti della destra più radicale. La sua eventuale uscita di scena potrebbe rappresentare un indebolimento considerevole per l’esecutivo, che perderebbe uno dei suoi elementi più moderati e rappresentativi.
Un’altra figura che fatica a emergere è Adolfo Urso, ministro dello Sviluppo Economico e del Made in Italy, il cui operato è finora stato deludente. Urso sembra annaspare di fronte alle continue crisi aziendali che investono il tessuto produttivo italiano. La sua proposta di istituire una costosa Fondazione per il Made in Italy ha sollevato perplessità, essendo percepita come uno strumento per distribuire prebende e compensi a nuovi consiglieri d’amministrazione e consulenti, più che un reale motore di rilancio per il settore.
Urso appare lontano dai tempi in cui il Ministero dello Sviluppo Economico funzionava davvero come un motore di crescita per il sistema Italia. Un paragone impietoso con l’iperattivismo che caratterizzava quel ministero in passato, quando le politiche industriali erano al centro dell’agenda e si interveniva con rapidità ed efficacia nelle crisi aziendali. Oggi, invece, il ministero sembra aver perso slancio, e la guida di Urso appare più preoccupata di iniziative burocratiche che di vere soluzioni per il rilancio del Made in Italy.
Tutti questi esempi confermano una tendenza evidente: nella scelta dei ministri, Giorgia Meloni ha seguito le logiche del cosiddetto "manuale Cencelli". Forte del risultato elettorale che ha visto Fratelli d’Italia ottenere quasi il doppio dei voti rispetto agli alleati (Lega e Forza Italia), Meloni ha utilizzato il proprio capitale politico per dominare la spartizione delle poltrone governative. Tuttavia, il problema principale non è stato l’allocazione dei posti, quanto la qualità delle scelte effettuate. Troppo spesso, infatti, la premier ha puntato sulla fedeltà personale piuttosto che sulla competenza e il merito. Questa strategia, che può sembrare utile nel breve termine per mantenere il controllo della sua squadra, potrebbe rivelarsi un boomerang politico a lungo andare. L'assenza di ministri in grado di affrontare con competenza le sfide del Paese potrebbe costare cara a Meloni, sia in termini di immagine che di efficacia politica.
Per chi ambisce a diventare una statista, l'allargamento degli orizzonti diventa una necessità imprescindibile. Se Giorgia Meloni vuole davvero "fare la storia", come spesso afferma, dovrà imparare a conquistare il consenso di nuovi mondi, anche al di fuori del tradizionale bacino della destra. Per farlo dovrà cercare figure capaci e indipendenti, in grado di portare al governo non solo lealtà politica, ma anche un reale contributo al progresso del Paese.
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