Non possiamo disinteressarci alla "sponda Sud"
L'Italia non può disinteressarsi alla crisi libica. Non solo per ragioni di sicurezza e di forniture energetiche, ma anche per motivi storici, secolari. Fa cascare le braccia sentire Renzi che afferma di voler "attendere" un intervento Onu.
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Sarebbe ora che i nostri maggiori giornali e telegiornali la smettessero di fare da megafono alle roboanti minacce terroristiche contro l’Italia delle milizie banditesche che, ispirandosi all’ideologia e ai metodi dell’IS, si sono ritagliate degli spazi nello sconquasso provocato dalla guerra civile in corso in Libia. Queste bande di fuorilegge sono senza dubbio un pericolo per gli inermi che prendono di mira e riescono a cogliere di sorpresa, ma non certo per l’Italia e per l’Europa in quanto tali. Il terrorismo fa del male, ma non vince. Sarebbe meglio che giornali e telegiornali dicessero anche questo.
Di fronte al comune pericolo adesso i due governi libici — ovvero i clan della Tripolitania raccolti attorno al governo di Tripoli e quelli della Cirenaica raccolti attorno al governo di Tobruk - sembrano finalmente disponibili a un accordo. Sarebbe il momento giusto per un’adeguata iniziativa del nostro Paese. Dalla Libia proviene il 25% del petrolio che si consuma in Italia. Inoltre il 15% del gas naturale, che riceviamo tramite un gasdotto dell’Eni lungo 520 chilometri posato sul fondo del Mediterraneo tra Mellitah in Cirenaica e Gela in Sicilia. La Libia infine è oggi la principale base di partenza delle migliaia di migranti disperati che si dirigono via mare dalle coste africane verso le nostre.
Il presente non basta però da solo a spiegare perché l’Italia non può disinteressarsi della Libia. Frutto della storia e della geografia, i legami in età moderna fra i due Paesi precedono non solo l’età coloniale ma lo stesso Stato italiano. Nell’antica Medina, il centro storico di Tripoli, ne fa fede un bell’edificio d’epoca che, come una lapide ricorda, nacque quale sede della legazione del Granducato di Toscana. In forza di tutti questi legami l’Italia avrebbe il dovere di assumersi verso la Libia le responsabilità che ne derivano. Siccome, invece, da anni non se le assume, se non in modo discontinuo, sta cominciando a pagarne le spese. Auguriamoci che faccia in tempo a cambiare strada. Nello scorso agosto un’esplicita richiesta di mediazione era giunta dalla Libia al premier Renzi. Veniva tuttavia chiesto che il mediatore inviato da Roma fosse Romano Prodi, cosa che evidentemente non facilitò le cose, e l’appello rimase senza risposta. L’episodio è comunque significativo delle attese che, malgrado il passato coloniale, in Libia si hanno nei confronti dell’Italia.
Cascano perciò le braccia quando, come ieri è accaduto, si ascolta Renzi fare sulla crisi in Libia delle dichiarazioni evidentemente improvvisate, e dire che il nostro Paese si muoverà solo sulla scia dell’Onu. E’ immaginabile piuttosto il contrario, ossia che l’Onu si muova sulla scia dell’Italia. E lo stesso vale analogamente per quanto concerne l’Unione Europea. Per tutto questo però occorre una politica estera e un governo attrezzato per farla. Al momento Renzi non ha né l’una né l’altro. Auguriamoci che faccia in tempo a rimediare, a far seguire dei fatti alle parole che ha più volte speso riguardo al Mediterraneo e alla sua importanza per l’Italia e per tutta l’Europa.
Al di là di tutte le urgenze su cui ci siamo soffermati sin qui, le quali vanno beninteso affrontate subito con l’energia e con la fermezza che meritano, sta la questione di fondo, ossia la fragilità dell’Occidente “laico” di fronte all’offensiva del terrorismo islamista. Paradossalmente questo terrorismo prende di mira l’Europa cogliendo bene che la sua forza sta innanzitutto nelle sue radici cristiane. Per maldestro e sconclusionato che sia, l’epiteto di “crociati”, rivolto senza molto senso alle più diverse persone, sta a significare questo. Ciononostante, tirando pugni nel vuoto come un pugile “suonato”, l’establishment politico e culturale europeo continua ad abbarbicarsi alla rivendicazione di una laicité di matrice giacobina che da un lato fuori dell’Occidente non affascina più nessuno e dall’altro, dentro l’Occidente, non motiva più nessuno ad affermare e a difendere la nostra civiltà e la nostra cultura. Della questione ha parlato magistralmente a Roma il 5 febbraio scorso il filosofo francese Fabrice Hadjadj prendendo la parola alla Fondazione De Gasperi sul tema L’Europa, l’Occidente e l’Italia prima e dopo Parigi. Il settimanale Tempi ne ha pubblicato un estratto sul suo n.7/2015, attualmente in edicola. E’ un testo da non perdere, reperibile anche sul sito web della rivista.