Non è giornalismo: su Giulia si scatena il totalitarismo mediatico
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L’informazione ancora una volta ha perso la misura della verità delle cose, l’equilibrio nella narrazione dei fatti e si è piegata al voyeurismo macabro e all’assolutizzazione del male. Sul caso Giulia siamo di fronte ad un totalitarismo mediatico a sfondo apocalittico, che obnubila le coscienze e tramortisce.
- Leggere Dostoevskij per capire (e guardare alla Croce) di Nicola Scopelliti
Quando una tragedia tocca le corde più delicate della sensibilità collettiva i media perdono il controllo. Si tratta di una regolarità che anche nel caso dell’uccisione di Giulia Cecchettin da parte dell’ex fidanzato sta trovando tristi conferme. Accanto al dolore immenso per l’atroce fine di quella ragazza e alla ferma condanna del gesto efferato di Filippo Turetta, il suo assassino, si sono tuttavia scatenate pulsioni irrefrenabili che hanno accecato lo sguardo degli osservatori più esposti ai riflettori mediatici e hanno inquinato il mondo dell’informazione, diventato ancora una volta il palcoscenico per una becera e scomposta discussione sulla presunta degenerazione del genere maschile e la conseguente necessità di combatterlo in tutte le sue manifestazioni.
Turetta colpevole? No, tutti i maschi sono colpevoli, amano ripetere da giorni e giorni sia Elena, la sorella della vittima, sia i corifei di una imbarazzante litania sulla presunta dittatura della “cultura dello stupro”, mentre in realtà stiamo assistendo allo stupro della cultura, della buona educazione e del buon senso.
Ma senza entrare nel merito di una vicenda che vedrà sempre su sponde opposte chi difende i valori tradizionali e chi si batte per il riconoscimento di altri modelli di vita sentimentale e di organizzazione famigliare e sociale, una riflessione va fatta su quanto i media stanno facendo senza soluzione di continuità da giorni e giorni, cioè da quando i due ragazzi sono scomparsi. Ore e ore di diretta televisiva da quell’angolo di Veneto scosso dalla drammatica vicenda, interviste ad amici e conoscenti dei protagonisti, esplorazione insistente e invasiva della vita privata dei due ragazzi, dibattiti accaniti e martellanti sulla necessità di arginare il male assoluto, che in queste ricostruzioni drogate dall’ideologia risulta incarnato dal patriarcato.
Anche le trasmissioni tradizionalmente più liberali come quella condotta il lunedì sera da Nicola Porro sulle reti Mediaset si accodano al mainstream e concedono uno spazio smisurato a voci che danno addirittura del criminale al conduttore e a tutti quelli che negano la “dittatura del patriarcato”.
Le parole di Elena, sorella di Giulia, trasudano odio nei confronti del genere maschile e trovano sponde impensabili anche in contenitori televisivi tradizionalmente pluralisti e aperti a tutte le opinioni ma, come si dice in questi casi, cum grano salis, cioè con equilibrio, senza cedere al sensazionalismo e alle opinioni deviate.
Emblematico il passaggio della puntata in cui Porro chiede ad una ragazza incautamente coinvolta nel dibattito se debba considerarsi criminale anche lui in quanto uomo, visto che lei aveva parlato di patriarcato criminale e di genere maschile criminale. E la ragazza non si fa scrupoli nel rispondere di sì e addirittura pretende di fare lei domande al conduttore su quelli che definisce stereotipi maschilisti ma che in realtà sono solo ottuse fissazioni di certa cultura femminista per fortuna ormai superata in nome di una concreta valorizzazione del ruolo delle donne nella società.
Non parliamo delle reti Rai e di quello che stanno trasmettendo in questi giorni di lutto nazionale e di drammatizzazione della realtà a partire da quel delitto. Ore e ore di diretta, anche dalla Germania, luogo in cui si trova Turetta in attesa dell’estradizione. La minuziosa e ossessiva ricostruzione degli ultimi istanti di vita della ragazza e delle fasi più concitate della fuga del suo assassino nulla aggiungono al diritto delle persone ad essere correttamente informate, ma finiscono per violare la privacy, la dignità e il decoro delle persone coinvolte e delle persone collegate ai protagonisti dei fatti, togliendo spazio alla narrazione della quotidianità, che non può e non deve essere ridotta a un unico fatto di cronaca nera, pur truce e devastante.
L’informazione ancora una volta ha perso la misura della verità delle cose, l’equilibrio nella narrazione dei fatti e si è piegata al voyeurismo macabro e all’assolutizzazione del male, rappresentato come l’unica dimensione della realtà. Nel frattempo altre donne sono state ammazzate, con analoga ferocia, ma a loro sono state dedicate poche righe nei resoconti giornalistici, nonostante la concomitanza tra i macabri eventi. Siamo di fronte ad un totalitarismo mediatico a sfondo apocalittico, che obnubila le coscienze, tramortisce, ottunde le menti e ignora la funzione rigeneratrice che un sano circuito mediatico dovrebbe svolgere in situazioni tristi come quelle che stiamo vivendo in queste ore. Si andrà avanti così ancora per qualche giorno, fino alla prossima ossessione monotematica.