Non conta tanto leggere, ma cosa si legge
Oggi si legge sempre meno e si afferma la convinzione che l’importante sia leggere, non importa cosa. Invece, conta cosa si legge. Come viene educato l’esercizio della libertà, così pure l’educazione alla lettura passa attraverso un accompagnamento dell’insegnante a leggere, a valorizzare il pregio letterario e artistico, a distinguere ciò che vale da ciò che non vale.
Oggi si legge sempre meno. Spesso, nello sconforto che si diffonde dai dati pubblicati sulla lettura o sul disastro dell’editoria si afferma la convinzione che l’importante sia leggere, non importa cosa. Sono fermamente convinto, invece, che non è importante leggere libri (o vedere film), ma conta cosa si legge (o cosa si vede).
L’esercizio della libertà viene educato, così come pure l’educazione alla lettura a scuola passa attraverso un accompagnamento dell’insegnante a leggere, a valorizzare ed apprezzare il pregio letterario e artistico, a distinguere ciò che vale da ciò che non vale.
Lo stesso verbo latino «legere» significa raccogliere, scegliere, eleggere. Il verbo ha in sé il valore di selezionare, amare, prendere qualcosa in mezzo ad altro. La lettura inizia, quindi, nella scelta che avviene tra i banchi di scuola o nelle librerie.
Ci mancherebbe, ognuno ha la libertà di leggere quello che vuole, di vedere i film che vuole. Io penso, tuttavia, che l’uomo sia uno ed integrale e tutto contribuisca, quindi, a formare la persona: film visti, libri letti, musica ascoltata, ecc. È vero, si può leggere per diletto e si legge per diletto.
Ma ricordiamoci anche che quest’espressione («per diletto») è la stessa che ha utilizzato Dante nel canto V dell’Inferno quando chiama al banco degli imputati la letteratura e, quindi, gli scrittori. Quando Francesca risponde alla domanda «A che e come concedette amore che voi conosceste i dubbiosi disiri», dice:
Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
[…] ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse.
La storia di Lancillotto e Ginevra era di grande delicatezza e dai toni cortesi e galanti. Eppure, Dante riconosce che una storia raccontata può avere un peso determinante nelle vicende di chi legge.
Lo scrittore ha una responsabilità incredibile. Dico sempre ai miei studenti e ai loro genitori: «Di solito a scuola si spronano i ragazzi a leggere, a vedere film, a frequentare coetanei (socializzare). Invece, dovete pensare a cosa leggete, a cosa vedete, a chi frequentate. Lettura, amicizie, film e programmi TV ci formano ed educano».
Il Libro del mese assegnato come lettura e Il Caffè letterario in cui si discute in classe del libro assegnato e introdotto il mese precedente dall’insegnante sono una modalità per imparare ad apprezzare i libri, classici e non, anche quei testi che probabilmente la maggior parte dei ragazzi non leggerebbero, perché magari non sono mai stati accompagnati ad apprezzare e valorizzare la bellezza, ma sono stati spesso abituati a non far fatica, a pensare che l’impressione immediata e impulsiva sia un giudizio di valore.
Dall’esperienza del Caffè letterario possiamo ricavare alcuni consigli per spronare la lettura dei ragazzi. Innanzi tutto le opere assegnate devono essere in parte introdotte in modo che lo studente possa cogliere le ragioni della scelta della lettura e la bellezza che l’insegnante ha intravisto nel testo. Bisogna, poi, partire con gradualità nelle scelte dei libri, evitando di pretendere ed aspettarsi che i ragazzi leggano senz’altro quanto assegnato. Leggeranno se funzionerà il passaparola tra loro e si diranno: «Ma sai che il romanzo che il docente ci ha assegnato è proprio bello?».
Conviene, quindi, partire da opere meritevoli e adatte all’età, da romanzi che propongano questioni e domande che i ragazzi avvertono come vive. Soltanto più tardi, nell’abitudine e nell’esercizio della lettura, si proporranno opere più impegnative, sempre in un percorso di preparazione. Si assegneranno soprattutto romanzi, ma si potranno sottoporre alla lettura anche saggi o raccolte di poesia o testi teatrali in modo da spalancare e introdurre a differenti generi letterari.
Al terzo anno di Liceo, ad esempio, ho proposto Bianca come il latte, rossa come il sangue di Alessandro d’Avenia (che conquista di solito la maggior parte degli studenti e permette interessanti riflessioni sulla vita, sull’amore, sui sogni e sugli ideali), successivamente la raccolta I migliori racconti di Padre Brown di Chesterton, avvincente per storie e interessante per il metodo di investigazione del piccolo prete del Sussex, basato su realismo e ragionevolezza.
Il Perceval di C. de Troyes ci ha permesso di esplorare il mondo medioevale e della cavalleria, avvincendo i ragazzi con il fascino della ricerca del Sacro Graal. La lettura di Luce del Medioevo di Regine Pernoud ci ha illuminato su una visione meno stereotipata di un’età ingiustamente considerata oscura e buia. Il cavaliere inesistente potrà, poi, accompagnare la riflessione sulla reale figura del cavaliere nel Medioevo.
In terza superiore, verso la fine dell’anno, i ragazzi potranno essere introdotti alla scoperta delle opere teatrali. L’occasione potrebbe essere lo studio delle opere di Plauto (per gli studenti del Liceo classico o del Liceo scientifico tradizionale), come l’Anfitrione, o di Machiavelli: la cui Mandragola, oltre che divertente, offre interessanti dibattiti sulla modernità. La prossima volta vedremo, con valore esemplificativo e metodologico, come questa commedia di Machiavelli possa essere commentata in classe per comprendere meglio la contemporaneità.
La semplicità del cuore e la purezza dello sguardo sanno cogliere la verità più di tanti discorsi e di tante elucubrazioni di eruditi e di intellettuali. Con questa affermazione non intendo certo svilire gli studi letterari, la seria critica letteraria, la filologia in nome di un soggettivismo nella lettura delle opere.
Intendo, però, sottolineare che la letteratura nasce da un uomo, parla di un uomo e dell’uomo. E per comprenderla, quindi, dobbiamo interrogarla e incontrarla come s’incontra una persona e mettere in campo non solo le nostre conoscenze e competenze, ma tutta la nostra umanità.
Ecco un episodio tra i tanti accaduti a scuola durante un’ora di Caffè letterario. Il libro assegnato per il mese era il dramma di Pirandello Sei personaggi in cerca d’autore. Tra le domande più significative emerse nel dialogo con gli studenti eccone una: chi cercano i sei personaggi? Ovvero qual è l’autore di cui hanno bisogno perché la loro esistenza si tramuti in vita, perché loro possano vivere, compiersi, realizzarsi? Con sicurezza tanto quanto con semplicità una ragazza alza la mano e dice: «L’autore è il maestro di cui abbiamo tutti bisogno nella vita. Ma l’autore è anche Dio, è Lui che abbiamo bisogno, è Lui che cerchiamo».
Questa è la stessa conclusione a cui è arrivato lo scrittore e drammaturgo Giovanni Testori che tra l’altro ha scritto un’opera teatrale dedicata ai Promessi sposi sull’impalcatura dei Sei personaggi in cerca d’autore pirandelliani, ovvero I promessi sposi alla prova, nella cui conclusione l’autore presenta la necessità per ogni uomo di avere un maestro. Dando una sua personale interpretazione all’opera teatrale di Pirandello, Testori arriva poi ad affermare che l’autore di cui i personaggi sono alla ricerca è Dio, cancellato dalla cultura odierna.
Vale la pena ora ricordare che quando il dramma I sei personaggi in cerca d’autore uscì nel 1921 non venne compreso. Se leggiamo recensioni e possibili interpretazioni dell’opera nei decenni successivi, per lo più s’incontrano letture dal punto di vista meta teatrale, si utilizza la distinzione tra persona e personaggio, si parla di critica al teatro borghese e ancora di riflessione sull’incomunicabilità tra gli esseri umani. Nella prefazione apposta all’edizione del 1925 Pirandello scrive:
Io ho voluto rappresentare sei personaggi che cercano un autore. Il dramma non riesce a rappresentarsi appunto perché manca l'autore che essi cercano; e si rappresenta invece la commedia di questo loro vano tentativo, con tutto quello che essa ha di tragico per il fatto che questi sei personaggi sono stati rifiutati.
Al di là delle molteplici interpretazioni che sono state date al testo, ci sembra che la chiave di lettura più efficace sia quella profetica. Il genio di Pirandello aveva percepito nei primi decenni del Novecento la perdita della figura del padre nella cultura contemporanea e ne descrive le tragiche conseguenze.
Nella conclusione del dramma Pirandello anticipa il baratro e l’istinto autodistruttivo che attirano l’uomo contemporaneo. La storia raccontata è, infatti, quella di un padre assente e di personaggi che non riescono a vivere, perché sono stati abbandonati dal loro «autore». L’anatema che grava sull’uomo contemporaneo è pesante. L’umanità senza padre (tradizione, radici, origine, Dio) perde la sua identità e smarrisce la strada. Rischia, così, l’autodistruzione. Senza padre la bambina e il bimbo si suicidano. La gioventù odierna (non tutta, fortunatamente!) cerca spesso il sonno e la distrazione, nel peggiore dei casi l’annientamento e l’autodistruzione nella forma di suicidi palesi o celati (droghe, alcool, corse spericolate, eccetera).
Il suicidio è la seconda causa di morte tra i giovanissimi. La prima causa di mortalità è rappresentata dagli incidenti stradali che nascono spesso da una volontà di rischio, di trasgressione, di annichilimento. L’incidente stradale è spesso un suicidio travestito. Senza padre, oggi, i giovani perdono l’energia vitale, appaiono abulici, sempre più inetti e incapaci ad affrontare la sfida della realtà.