Non condannare gli Ogm se vogliamo "nutrire il pianeta"
Speranze e timori per lo sviluppo dei temi portanti di Expo 2015. Speranza che si affronti realmente il problema della nutrizione di una popolazione in crescita, usando tutte le tecnologie agricole necessarie, senza stigmatizzare gli Ogm. Timore, invece, che il tema possa essere affrontato in modo ideologico. Ne parliamo con il professor Giuseppe Bertoni.
“Nutrire il pianeta, energia per la vita” è il tema di Expo 2015, declinato in vari modi tra i padiglioni. Si intrecciano aspetti che riguardano le scienze agrarie, l'economia, la politica, l'ingegneria ambientale e rurale, il problema della sotto-nutrizione, e il famigerato climate-change.
Abbiamo incontrato il professor Giuseppe Bertoni, per oltre 40 anni docente alla facoltà di Agraria della Università Cattolica di Milano. Ha collaborato in diverse occasioni con la Pontificia Accademia delle Scienze e ha coordinato un progetto per Expo 2015 sul tema della produzione del cibo. “Non mi so addentare in previsioni su cosa sarà Expo”, dice Bertoni a La Nuova Bussola Quotidiana, “posso però esprimere alcuni timori e auspici. ”.
Quali timori?
Potrebbero prevalere visioni di “retroguardia”. Ad esempio quella di minimizzare la necessità di accrescere la capacità produttiva, perché, secondo alcuni, sarebbe sufficiente eliminare perdite e sprechi, tra cui si considerano le produzioni animali (di qui la preferenza per il vegetarismo); oppure puntare esclusivamente sulla visione edonistica (tipo l'accentuazione di concetti quali “made in Italy” e/o esperienze come quella di Eataly), accompagnata spesso da una isterica ricerca del “mangiar sano”. Un altro rischio è quello di puntare sulla prelazione dell’ecosistema sull’uomo.
Quali, invece, gli auspici?
Spero che ci sia un corretto approccio ai suddetti problemi (come il contenimento di perdite-sprechi), ma anche un approccio che sia di tipo educativo per la prevenzione della malnutrizione (per carenza o per eccesso), per il contenimento dell’impatto ambientale (non solo agricolo, ma di tutte le attività umane), sino a rendere sostenibile tutto quanto fa l’uomo sul pianeta. In sintesi potremmo dire: evitare un approccio tipicamente anti-scientifico, ma al contrario affidarci alla scienza, purché “onesta” e guidata dall’etica.
L'opinione pubblica conosce le problematiche scientifiche del settore agricolo-ambientale?
Purtroppo no, perché è troppo condizionata dai vari media che, a loro volta si affidano spesso a dei semplici “orecchianti” in funzione di “anchorman”, nella migliore delle ipotesi frutto di “illuminazione” tardiva con ideologie ecologico-edonistiche. Così si trascura una visione complessiva del sistema agricolo correttamente inserito nell’ecosistema. In qualche caso vi sono giornalisti che hanno specifiche competenze, ma cadono spesso nella tentazione del sensazionalismo e quindi tendono a enfatizzare notizie o risvolti che non corrispondono alla realtà. In entrambi i casi è il cittadino a risentire negativamente di questo sistema informativo poco corretto, in quanto incapace di discernimento proprio. A completare l’opera, ci sono gli interessi di parte, ma non soltanto delle solite “multinazionali”, ma anche di un certo mondo dell’agricoltura “assetato” di protagonismo e con effetti deleteri sulla pubblica opinione perché, nella migliore delle ipotesi, contraddittori.
Cosa ha rappresentato l'innovazione tecno-scientifica per la vita sul pianeta?
Senza facile retorica, balza immediatamente agli occhi che solo la parte del pianeta ove negli ultimi 150 anni è entrata l’innovazione, in termini di genetica, protezione di piante e animali, razionale apporto di “nutrienti” a piante e animali, meccanizzazione-automazione, trasformazione e conservazione dei prodotti alimentari, ecc., la fame-malnutrizione sono state pressoché debellate. Questo non deve far dimenticare che vi sono stati errori ed eccessi le cui conseguenze sono ben evidenti, soprattutto in termini di squilibrio ambientale; così non si possono trascurare il consumismo e gli sprechi di cibo (purché fra questi vengano annoverati anche le produzioni a bassa efficienza di certe “nicchie”, motivate solo dal piacere esagerato per il cibo). Tutto ciò implica un qualche ripensamento, ma non di certo un percorso a ritroso dal tipico sapore anti-scientifico.
Cosa significa oggi fare ricerca in agricoltura e quali sono le innovazioni del futuro?
Molti addetti ai lavori convengono con il motto “produrre di più con meno”. In esso è implicito che, pur consapevoli della necessità di correggere consumismo, sprechi, abusi vari, produrre di più rimane necessario – soprattutto in quei paesi che ancora non hanno conosciuto l’innovazione – per rispondere alle sfide dell’immediato futuro: aumento della popolazione e miglioramento del tenore di vita in molte aree del pianeta ora povere. Non meno evidente che si debba contemporaneamente ridurre (o quantomeno non aggravare) l’impatto sul sistema naturale, il depauperamento delle risorse naturali (ad es. fonti di energia), alcune delle quali a rischio di collasso (fertilità dei suoli, stabilità dei mari, fonti di acqua dolce, atmosfera, biodiversità). Il ruolo della ricerca, e della conseguente innovazione, è soprattutto in questa direzione; senza tentazioni di “retroguardia”, ma piuttosto orientato a rendere sempre più precisi e efficienti i sistemi di produzione agricola.
Parliamo di Ogm. Nella loro valutazione spesso prevale un sentimento che ha poco di scientifico. Cosa sono in realtà?
Gli Ogm rappresentano uno strumento estremamente potente e preciso per ottenere organismi di interesse agrario (e non solo), proprio nella direzione del motto “produrre di più con meno”. Si pensi alla possibilità di avere resistenza alla siccità, ma anche alle avversità biotiche e abiotiche, nonché una maggiore efficienza nella utilizzazione dell’acqua e dei nutrienti, per finire con migliori prerogative nei processi di trasformazione-conservazione e di tipo nutrizionale. E’ ben vero che oggi gli strumenti della genetica, atti ad ottenere analoghi obiettivi, sono aumentati e nella direzione di minore impatto sulla sensibilità del consumatore; tuttavia non possiamo non stigmatizzare l’assurdità della opposizione preconcetta a qualsivoglia Ogm. In un recente volume curato dalla Accademia della Agricoltura di Francia - “Plantes génétiqment modifiées, menace ou espoir?” (2015) - si giunge alle seguenti considerazioni conclusive: sul pianeta il 13% della superficie arabile è oggi coperta da Ogm con un aumento del 9% ogni anno. Ciò riguarda anche i paesi in via di sviluppo e, per il 90%, le piccole aziende familiari; l’Europa rifiuta di coltivarli, ma li usa abbondantemente soprattutto nell’alimentazione animale; la transgenesi, fenomeno su cui si basano, non è innaturale, ma rientra nei processi coinvolti nell’evoluzione; sul piano pratico consentono una serie di vantaggi (per l’agricoltore, per il consumatore, ma anche per l’ecosistema).
Allora, come possiamo considerare le coltivazioni Ogm?
Pur non essendo una “panacea” e pur richiedendo una attenta valutazione dei costi-benefici, caso per caso, il loro impiego va visto all’interno di una gamma di forme diverse di agricoltura: agro-ecologica, agricoltura di precisione o agricoltura biologica. Tutte utili all’interno di un mondo che nel 2050 dovrà nutrire 9 miliardi di persone e con il compito di salvaguardare l’ambiente. Queste sono le conclusioni dell'Accademia dell'agricoltura di Francia, io non ho nulla da aggiungere, ma per le nostre autorità può bastare?
Quindi gli Ogm, e le biotecnologie in generale, devono essere giustamente valutati con approccio scientifico, ma sono certamente interdisciplinari all'etica. In questo senso, a suo giudizio, quali sono gli aspetti da affrontare?
Innanzitutto vorrei ricordare quel giuramento “ippocratico” suggerito per gli scienziati dal Nobel per la pace Joseph Rotblat. Perchè mi sembra un buon punto di partenza. E' stato pubblicato sulla rivista “Science” nel 1999 (vol. 286, pag. 1475, NdA). C'è la promessa “di lavorare per un mondo migliore, in cui la scienza e la tecnologia vengano usate in modo socialmente responsabile.” E - dice ancora il giuramento - “terrò presenti le implicazioni etiche del mio lavoro prima di intraprendere un’azione. Sebbene su di me possano gravare molte pressioni, io sottoscrivo questa dichiarazione perché riconosco che la responsabilità individuale è il primo passo sulla via della pace”. Come cristiano credo di poter aggiungere che le biotecnologie (e in particolare gli Ogm) non sono in sé condannabili poiché altro non fanno se non “mimare” le leggi naturali (semmai le rendono “più precise”) e non puntano a “snaturare” gli organismi che ne derivano (vero è che spesso non sono riconoscibili se non grazie a test genetici piuttosto complessi). Crediamo, senza timore di smentita, che assai più discutibili siano talune razze canine e di gatti che realmente stravolgono le caratteristiche “originarie” delle due specie. Ovvio che tali biotecnologie potrebbero essere usate per fare organismi pericolosi, ma questo rischio vale per tante altre tecniche. Sul piano prettamente etico, nessun dubbio che, ferme restando le premesse fatte, mettere a punto organismi in grado di resistere ad alcuni parassiti o alla siccità, di adattarsi a terreni impoveriti o “carichi” di sale (e queste aspettative non sono più semplici ipotesi), significa dare un contributo più che significativo al miglioramento della produttività proprio nei paesi più poveri, ove è maggiormente necessaria e dove mancano altri mezzi di produzione.