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DOPO IL NAUFRAGIO

Non ci si può ammutinare dal bene

Ecco perché la disobbedienza degli ufficiali della Concordia al capitano Schettino non è ammutinamento, e anzi è azione moralmente legittima.

Attualità 20_01_2012
Costa Concordia

Ore 22,45: sulla nave Costa Concordia alcuni membri dell’equipaggio radunano i passeggeri nei centri di raccolta, preparano le scialuppe, distribuiscono i giubbotti di salvataggio: in poche parole danno ordine a tutti di abbandonare la nave.


Ore 22,58: il Capitano Francesco Schettino impartisce l’ordine: sette fischi brevi e uno lungo. In termini marinareschi significa “Abbandono nave”.


L’equipaggio ha quindi anticipato un ordine del comandante: è ammutinamento? In prima battuta parrebbe di sì (ma vedremo che così non è). Infatti l’art. 1105 del Codice della Navigazione dedicato all’ammutinamento così recita: “Sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni i componenti dell'equipaggio della nave o dell'aeromobile che in numero non inferiore al terzo disobbediscono, collettivamente o previo accordo, ad un ordine del comandante”.


Al di là della verifica di quanti membri dell’equipaggio abbiano fatto di testa loro non aspettando l’ordine di evacuazione del comandante, occorre precisare che la disobbedienza si sostanzia non soltanto se non si rispetta un comando o un divieto dato dal superiore ma anche quando, ed è il caso che a noi interessa, si compie un qualcosa di non comandato. Schettino non aveva impartito nessun ordine di abbandono nave e quindi farlo configura ammutinamento oppure “Inosservanza di ordine da parte di componente dell'equipaggio” (art. 1094).


Schettino ad oggi è imputato per omicidio colposo plurimo, naufragio e abbandono della nave. A questi reati forse se ne aggiungerà un altro previsto dal codice penale all’art. 40: “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale cagionarlo”. Una volta aperta la falla il comandante e i suoi sottoposti avevano il dovere di fare di tutto per arginare il danno e portare in salvo tutti i passeggeri. Ora questa responsabilità, come accennato, riguardava anche i membri dell’equipaggio. Dunque da qui nasceva il tragico dilemma per costoro: disobbedire al comandante ordinando lo sbarco, senza indugiare oltre, oppure attendere gli ordini ma correre il rischio di macchiarsi del reato previsto dall’art. 40 e di avere sulla coscienza centinaia se non migliaia di vite innocenti? Come risolve il nostro ordinamento questo dilemma?


Da una parte l’art. 51 del Codice Penale ci dice che “se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell'autorità, del reato risponde sempre il pubblico ufficiale che ha dato l'ordine”. Dunque i membri dell’equipaggio avrebbero potuto anche lavarsene le mani pensando che tutta la colpa sarebbe ricaduta sul loro comandante. Però poi sempre l’art. 51 precisa che se l’ordine è sindacabile – e tra un attimo spiegheremo quando è sindacabile – risponde anche il subordinato. Se l’ordine è sindacabile e non l’hai eseguito allora non puoi essere incriminato per ammutinamento perché hai compiuto un gesto addirittura doveroso per legge.


Il punto sta nel comprendere quando un ordine è sindacabile, cioè quando si può disubbidire ad un ordine dato dall’alto.

La giurisprudenza – cioè le pronunce dei giudici – negli anni Ottanta affermava che un ordine è sindacabile, e quindi non deve essere eseguito, quando il reato che il superiore vuole che si commetta è palese (Cass. Sez. V, sent. n. 9424 del 11-11-1983; Sez. V, sent. n. 7866 del 2-10-1984): ad esempio verbalizzare l’esatto contrario di quello che l’imputato sta dicendo. L’appuntato che sta verbalizzando in questo caso ha il dovere di disubbidire e posare la penna.
Di recente questo rigoroso criterio si è ancor più stemperato (Cass. 2002, n. 3973; Sez. IV, sent. n. 12472 del 1-12-2000): si deve disubbidire non solo quando il reato è palese ma quando con buona probabilità eseguire l’ordine porterà a ledere dei diritti fondamentali. Non solo quindi quando si minaccia direttamente e sicuramente il bene delle persone: ordine di sparare sulla folla radunata in modo pacifico. Ma anche quando l’ordine comanda una condotta imprudente, una condotta non certamente lesiva ma solo probabilmente lesiva: l’ordine di sfrecciare a 200 km orari con la gazzella dei carabinieri in pieno centro abitato. Insomma il sottoposto al di là di quello che gli comanda il superiore deve seguire sempre il principio del neminem laedere. Prima viene il bene delle persone e poi gli ordini.


Torniamo al nostro caso. Dopo un’ora e mezza e più dall’impatto con gli scogli, con la nave fortemente inclinata, con il rischio che non si potessero più calare le scialuppe a causa della pendenza della nave, con l’acqua che entrava dalla falla e con lo spettro di un affondamento totale dell’imbarcazione, il reato previsto dall’art. 40 cp – non impedire un evento significa generarlo - si stava per concretarsi anche a danno dei sottoposti e quindi era palesemente illegittimo aspettare ancora. Inoltre per il secondo principio qui descritto, ammesso e non concesso che il pericolo per la vita delle persone non era così manifesto, era comunque assai imprudente aspettare ancora. Perciò era doveroso non obbedire al fine di evitare di commettere un reato che l’indecisione del comandante stava per configurare. Se questa sarà l’interpretazione dei giudici l’equipaggio non verrà incriminato per ammutinamento.


Fin qui il diritto. Ma cosa dice la morale? La musica non cambia. L’autorità è funzionale al bene: il padre di famiglia ha il munus, cioè l’ufficio, la responsabilità, il dovere di badare al bene delle persone a lui affidate. Il governante ha l’obbligo di custodire e accrescere il bene comune. L’amministratore delegato deve curare il bene della sua azienda e dei suoi dipendenti. Il capitano di una nave deve sì pilotare la sua imbarcazione dal punto A al punto B ma ha anche la responsabilità dell’incolumità di passeggeri ed equipaggio. Quindi l’autorità è uno strumento, un mezzo per un fine: il bene.


Se lo strumento si rompe, oppure è inefficace per soddisfare il fine, si può e in alcuni casi si deve sostituirlo. Tommaso D’Aquino spiega che un governante che non vuole o che non riesce più a curarsi del bene collettivo perde l’obbedienza dei sudditi. Se è inadatto allo scopo è inutile usare uno strumento ormai difettoso.


Questa argomentazione è rafforzata quando si riflette sul perché dobbiamo obbedire ai superiori. Essenzialmente due sono i motivi. Il primo: si suppone che il superiore sia più preparato del sottoposto nel svolgere le mansioni a lui affidate. Secondo motivo: la sua posizione gerarchica gli permette di avere una prospettiva più ampia dei problemi rispetto al singolo che non ha la sua visione d’insieme. E’ come se il superiore fosse posto sopra un labirinto e da quella posizione potesse agevolmente comandare chi è dentro il labirinto per indicargli l’uscita.


Se venissero a mancare questi due requisiti - competenza e visione generale - sarebbe legittimo in alcune circostanze disobbedire, proprio perché l’autorità si troverebbe nella condizione di non poter più soddisfare il fine per cui è preposta: il bene delle persone. Schettino era stato proprio messo lì anche per tutelare l’incolumità delle persone: se in quei frangenti ha dimostrato di non essere all’altezza della situazione, è stato corretto scavalcarlo gerarchicamente.


Sempre Tommaso spiega che una legge o un ordine ingiusto perdono la qualifica di legge o di ordine e quindi possono essere anche non rispettati. La decisione di non abbandonare la nave in quei frangenti appare davvero immotivata e quindi ingiusta.


Infine c’è un ultimo motivo per cui si può non obbedire (molti altri distinguo dovrebbero farsi ma ci limitiamo ad una sintesi): l’obiezione di coscienza. La coscienza è quello strumento della ragione che mi permette di capire cosa devo fare qui e ora. Il primato della coscienza impone sempre di seguirla – ovviamente se è retta. Gli ufficiali in seconda se in coscienza hanno ritenuto che fosse giusto abbandonare la nave hanno compiuto una scelta valida dal punto di vista morale.


Più che gli ordini valgono le vite delle persone che quegli ordini dovrebbero tutelare. In definitiva: se a volte ci si può ammutinare dal proprio superiore, mai ci si può ammutinare dal bene.