Non c’è crisi che dispensi dalla comunione gerarchica
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Torniamo su mons. Viganò che difende don Pompei. L’ex nunzio dimentica che nel sacerdozio cattolico è essenziale – per diritto divino – l’inserimento canonico nella struttura gerarchica della Chiesa, senza cui si cade nello scisma. E anche la dichiarazione di eresia può venire solo da chi ne ha l’autorità.
- Viganò e don Pompei, senza gerarchia non c’è Chiesa visibile

Il nocciolo della problematicità della posizione assunta da monsignor Carlo Maria Viganò, alla quale anche don Leonardo M. Pompei appare aderire, è il rifiuto almeno implicito della nota dell’apostolicità della vera Chiesa di Cristo, la Chiesa cattolica, e della sua visibilità (vedi qui il nostro articolo precedente).
Quando si parla di apostolicità della Chiesa si intendono tre aspetti correlati: l’apostolicità d’origine (la Chiesa è fondata sugli Apostoli), quella di dottrina (la Chiesa custodisce nel tempo la dottrina e i mezzi di salvezza trasmessi dagli Apostoli) e quella di successione (ininterrotta successione apostolica).
I tre aspetti, pure distinti, si compendiano nella caratteristica più specifica di questa nota dell’apostolicità, ossia che il fondamento degli Apostoli permane nella Chiesa, tramite i loro successori, fino alla fine del mondo, nella visibilità dell’episcopato e del primato petrino. Laddove ci sono il successore di Pietro e i vescovi in comunione con lui, lì c’è la Chiesa di Cristo. Se – come ha sostenuto mons. Viganò – papi, cardinali, vescovi e chierici fossero illegittimi in quanto affermano di appartenere ad un’altra chiesa conciliare e sinodale, allora potremmo tranquillamente ritenere che è venuta meno l’apostolicità della Chiesa, in quanto è venuto meno l’intero collegio dei vescovi in comunione con il papa e il papa stesso, ossia coloro che tale apostolicità incarnano. Il che è un’eresia. Parimenti sarebbe venuta meno la visibilità della Chiesa, che è strettamente connessa alla permanenza della successione apostolica.
Noi, a differenza dei protestanti, professiamo la necessità di essere parte dell’unità visibile della Chiesa, che è fondata sulla comunione con la gerarchia, nell’obbedienza agli ordini legittimi che essa impartisce. In modo più semplice, alla domanda su dove sia la Chiesa, la fede cattolica ci insegna che la Chiesa è lì dove vi sono i pastori legittimi (chi siano costoro, lo diremo tra poco) e i fedeli in comunione con loro; dove questa comunione non è costituita da affinità, affetto, uniformità di vedute, ma dall’obbedienza agli ordini legittimi, dalla professione della fede della Chiesa e dalla partecipazione agli stessi sacramenti.
Per i chierici, in particolare, è necessario che l’esercizio del proprio ministero provenga dalla missio canonica che essi ricevono dal proprio vescovo (non basta l’ordine sacro valido); i vescovi devono poi esercitare il proprio ministero nella comunione con il Sommo Pontefice, da cui discende ogni giurisdizione. Se l’essere parte dell’unità visibile della Chiesa è condizione necessaria per tutti i battezzati, lo è maggiormente per i chierici; un sacerdote o un vescovo che pretenda di esercitare il proprio ministero al di fuori di questa comunione, e dunque indipendentemente dall’autorità visibile della gerarchia cattolica, tradisce un aspetto essenziale del sacerdozio, aspetto fondato sulla Rivelazione («come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi», Gv 20, 21), e dunque di diritto divino.
Quest’ultima precisazione è di straordinaria importanza, perché ci conferma che non esiste crisi nella Chiesa che possa dispensare un chierico dalla comunione gerarchica. Nel sacerdozio cattolico è essenziale non la sola ordinazione valida, ma anche l’inserimento canonico nella struttura gerarchica della Chiesa; e, sebbene vi sia una distinzione tra validità e legittimità, tuttavia entrambi gli aspetti sono intimamente legati tra loro e necessari per il sacerdozio cattolico. La Chiesa fondata da Gesù Cristo, quella che è veramente indefettibile, ha questa struttura gerarchica: se non c’è questa struttura gerarchica non siamo di fronte alla Chiesa di Cristo, ma ad una chiesa parallela e scismatica. E chi non è inserito in questa comunione gerarchica non fa parte della Chiesa di Cristo. Ancora una volta, ci troviamo di fronte non ad una mera legge ecclesiastica, ma alla legge divina, che non conosce eccezioni.
Occorre fare attenzione, perché nel “mondo tradizionalista” si sta assistendo ad un’enfasi unilaterale sulla verità che membri della Chiesa sarebbero i battezzati che professano la vera fede e frequentano sacramenti validi (per lo più, quelli secondo il Vetus Ordo). Ma, se ci si ferma qui, ci si ritrova di fronte ad una vera e propria eresia, perché – come si è visto – elemento imprescindibile è anche la comunione gerarchica. La situazione appare paradossale: chi proclama, a parole o a fatti, che la professione della vera fede e il battesimo sono condizione necessaria e sufficiente per appartenere alla vera Chiesa, di fatto cessa di professare la fede cattolica, che invece esige anche, per diritto divino, di non essere separati dalla comunione gerarchica. San Paolo non parla “solo” di «una sola fede, un solo battesimo», ma anche di «un solo corpo» (Ef 4, 4-5).
La pretesa di agire in modo totalmente indipendente da questa gerarchia per unirsi ad un non meglio specificato “movimento tradizionalista” non è altro che un modo per dichiarare lo scisma, che è un delitto canonico e un peccato gravissimo contro l’unità della Chiesa. Tutto il ministero esercitato in questa situazione è illegittimo e le assoluzioni impartite invalide (a meno che una persona si trovi in pericolo di morte). Non è solo questione – lo ribadiamo – di diritto ecclesiastico, ma di diritto divino. Lo stesso peccato è commesso da quei fedeli che, consapevoli di tale illegittimità, beneficiano dei sacramenti dispensati in questa situazione e del ministero illecitamente esercitato. Ora, pensare di agire per amore della Chiesa e della Tradizione rompendo oggettivamente la comunione gerarchica visibile è quanto di più contrario alla stessa Tradizione. E agire contro la Tradizione per salvare la Tradizione è una pericolosa e triste contraddizione.
Non meno contraddittorio è l’assunto di mons. Viganò secondo cui, siccome la gerarchia attuale si autodefinisce “Chiesa conciliare e sinodale”, allora essa non fa più parte della Chiesa cattolica. Viganò in questo modo non fa altro che abbracciare lo stesso errore che condanna e non si rende conto che quanti ritengono che vi sia una “chiesa sinodale” o una “chiesa conciliare” implicitamente negano l’indefettibilità della Chiesa, perché ritengono che solo questa presunta chiesa sia quella vera, rinnegando quella precedente al Concilio Vaticano II o ai recenti Sinodi. Egli fa la stessa cosa, negando che, dopo il Concilio o il pontificato di Francesco, i vescovi in comunione con il Papa siano legittimi. La Chiesa gerarchicamente strutturata è invece indefettibile (e infallibile), prima e dopo il Concilio Vaticano II, ed essa è riconoscibile nel collegio apostolico in comunione con il successore di Pietro.
Viganò, inoltre, non tiene conto, ancora una volta, di un aspetto essenziale della struttura gerarchica della Chiesa. Non è sufficiente che si pronuncino errori più o meno prossimi all’eresia per non essere più membri della Chiesa; non è sufficiente professare un’ecclesiologia sbagliata e distorta per uscire dalla comunione visibile del Corpo mistico di Cristo. L’eresia dev’essere pubblica e notoria e, ancora una volta, non si può prescindere dalla gerarchia della Chiesa: nessuno può dichiarare qualcuno eretico, e dunque separato dalla comunione visibile, se non chi ne ha l’autorità.
Pastori legittimi sono dunque coloro che appartengono al collegio apostolico in comunione con il successore dell’apostolo Pietro, ossia, in ultima analisi, coloro che sono stati accolti in questo collegio da colui che detiene il primato petrino e non si sono separati da esso per apostasia, scisma o eresia, riconosciute dalla legittima autorità. Quanto agli errori che essi possono compiere e dichiarare, il fedele deve limitarsi a rigettarli, sopportando anche eroicamente che la zizzania cresca di fianco al buon grano, fino a quando il Signore non deciderà di intervenire. In questa vita o nell’altra.
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