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processo artificiale

Non basta uno scontro a fermare il Sinodo imposto dall'alto

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La ribellione ai vescovi dell'élite laicale italiana segna un flop e manifesta le contraddizioni del "nuovo ordine sinodale", ma non basterà a fermarlo. Anche chi finora non ne ha mai sentito parlare, finirà per subirlo.

Editoriali 07_04_2025 English
Foto Vatican Media/LaPresse

Il percorso sinodale italiano ha subito un incidente che lo ha bloccato. La bozza di documento finale dell’Assemblea sinodale, dopo ben quattro anni di incontri a diversi livelli ecclesiali, è stata contestata, i lavori sono stati sospesi e rimandati al prossimo autunno. Il testo della bozza proposta non ha soddisfatto la maggioranza progressista dei presenti in assemblea che voleva qualcosa di più “profetico” e “coraggioso”.

Questo ha fatto pensare che i vertici avessero tentato di frenare la spinta innovativa, ingessando dall’alto il percorso, mentre il “popolo di Dio” intendeva continuare nell’apertura alle novità “suggerite dallo Spirito”. Al lato opposto c’è stato anche chi ha ritenuto che il fatto avesse rappresentato il definitivo “suicidio” del Sinodo proprio nel momento della sua conclusione, dimostrando così tutte le sue contraddizioni interne: l’apprendista stregone aveva evocato gli spiriti ma poi non è stato in grado di controllarli. In realtà le cose sono più complesse.

In questa occasione, certamente, il Sinodo ha confermato la propria natura artificiale e funzionale ad un progetto di cambiamento della visione della Chiesa. Una “assemblea” ecclesiale non ha nessun carattere teologico e non si capisce il valore che dovrebbe avere un suo documento finale, se non quello di forzare un processo in corso. I partecipanti a quell’assemblea erano come degli “autoconvocati” o una élite di nominati non si sa con quali criteri. Si trattava di una assemblea “sinodale” solo per convenzione o per finzione. I pareri lì esposti dai partecipanti erano opinioni personali. La loro selezione durante le precedenti fasi del Sinodo italiano era avvenuta con criteri di politica ecclesiastica. Una assemblea sinodale di quel genere non soddisfa né le esigenze teologiche e canonistiche, né quelle democratiche, sicché non rappresenta nessuno, e men che meno può esprimere qualche forma di “profezia”. Lo scontro finale tra le posizioni in aula ha certamente messo in evidenza queste profonde carenze e quanti hanno pensato che la nuova sinodalità non si riprenderà facilmente dopo questo fallimento hanno certo dei buoni motivi, però non è questo che capiterà.

Alla base della Chiesa italiana non c’è stato un grande interesse per il percorso sinodale. La gran parte dei fedeli non sa nemmeno che qualcosa sia avvenuto. Il percorso ha interessato pochi e sempre quelli. Molte forme di partecipazione ci sono state per “dovere” ma senza convinzione. Sarebbe però sbagliato ritenere che la natura elitaria e condotta con un linguaggio in codice sia ora sconfitta dagli ultimi eventi. Alla base ecclesiale la nuova sinodalità verrà imposta e anche quanti finora non ne hanno nemmeno avuto notizia, ugualmente ne subiranno le conseguenze. Da qui ad ottobre questo processo si intensificherà per rieducare i fedeli ad accettare di buon grado i cambiamenti.

Come vengono imposti alla base della Chiesa cattolica i contenuti della nuova sinodalità? Può essere utile fare un esempio: l’ultima assemblea della diocesi di Vicenza. Sul settimanale diocesano La voce dei Berici del 16 febbraio 2025, il direttore don Alessio Graziani aveva così riassunto la visione sinodale del futuro emersa dall’assemblea: «Un futuro che deve passare – ne è convinto il Vescovo – attraverso il superamento deciso del “clericalismo”, dando vita cioè a comunità più aperte e non giudicanti, con un basso grado di istituzionalizzazione e un’altra capacità di accoglienza, in cui donne e giovani siano più ascoltati e coinvolti nei processi decisionali, vicine ai poveri e attenti  alla custodia dell’ambiente, in cui preti e diaconi esercitino il loro ministero a servizio della comunione, senza protagonismi, in forma fraterna e insieme a laici veramente corresponsabili il cui servizio sia riconosciuto nella forma dei gruppi ministeriali o dei ministeri istituiti».

Questo è il quadro della nuova Chiesa emerso da una delle tante assemblee diocesane, descritto con un codice espressivo apparentemente mite e suadente ma in realtà profondamente trasformante: fa capire l’obiettivo della “piramide rovesciata”, l’ingresso delle donne nella liturgia, l’accoglienza di ogni diversità, il “chi siamo noi per giudicare”, il ridimensionamento del sacerdozio ordinato, la messa sullo sfondo del magistero e dei compiti del vescovo, lo stile assembleare come modalità decisionale principale e l’appiattimento sulla custodia dell’ambiente, che male non fa. Queste iniziative continueranno, soprattutto attraverso alcune “emergenze” presentate come occasioni: la carenza di sacerdoti e la sfida delle unità pastorali.

Un’altra strada sarà l’ulteriore depotenziamento dei vescovi. Si parlava di Vicenza… è notizia recente che con inizio nel settembre 2025 entrerà in funzione il seminario interdiocesano delle diocesi di Vicenza, Padova, Adria-Rovigo, Chioggia. Si tratta di un altro mezzo per impedire ai vescovi di fare i vescovi. Anche se, per ipotesi, uno di essi fosse critico verso il processo sinodale, non potrebbe formare in questo senso i suoi sacerdoti. I seminari interdiocesani sono strumenti per una Chiesa conformata.
All’assemblea sinodale c’è stato un incidente di percorso, ma il percorso continuerà, perché non procede solo nell’aula del sinodo in Vaticano.



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