No al linguaggio pro aborto e gender, la svolta di Trump all’Onu
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La delegazione statunitense blocca un accordo della Commissione sulla Popolazione e lo Sviluppo, rigettando l’Agenda 2030 e i termini che sottintendono la promozione di aborto e ideologia gender. Una sterzata contro i compromessi al ribasso su vita e famiglia.

La notizia è passata molto in sordina, eppure ha una portata significativa: l’amministrazione Trump ha rifiutato la sottoscrizione di un accordo in ambito Onu spiegando che gli Stati Uniti respingono l’Agenda 2030 e, in particolare, una certa ambiguità di linguaggio che favorisce la diffusione di aborto e gender. La resistenza degli USA ha in pratica fatto saltare l’approvazione – che agli addetti ai lavori sembrava scontata – dell’accordo stesso.
Il fatto è avvenuto alla 58^ e fin qui ultima Commissione sulla Popolazione e lo Sviluppo (CPD, nell’acronimo inglese), conclusasi venerdì 11 aprile, «con i delegati nettamente divisi sul sostegno ai diritti sessuali e riproduttivi, e alcuni che mettono in discussione l’impegno nei confronti dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile», come si legge nel comunicato stampa pubblicato sul sito delle Nazioni Unite.
Non è la prima volta che la CPD finisce con un nulla di fatto: anzi, questa è la settima volta che accade nelle ultime dieci sedute, come scrive Stefano Gennarini sul Friday Fax, organo del Center for Family (C-Fam), istituto pro vita specializzato nel seguire da vicino le attività dell’Onu. Ma l’elemento di novità di questo 2025 è che è saltato quello che da decenni è il compromesso di fondo sulla trattazione delle questioni sociali. Un compromesso che Gennarini riassume così: «I Paesi liberali occidentali promuovono l’ideologia di genere e l’aborto nella politica delle Nazioni Unite nell’ambito della salute sessuale e riproduttiva, dell’uguaglianza di genere e dello sviluppo internazionale. I Paesi tradizionali glielo consentono purché i primi non impongano nuovi obblighi giuridici internazionali».
La bozza del documento conclusivo sembrava avere tutti i compromessi adatti per essere accettata sia dalle nazioni progressiste (in specie occidentali, appunto) che da quelle conservatrici, con il linguaggio – caro alle prime – sulla cosiddetta “salute sessuale e riproduttiva” e il rispetto – caro alle seconde – della sovranità nazionale. Le posizioni degli anni scorsi considerate più estreme erano state lasciate fuori, da una parte e dall’altra. Eppure, allo stesso tempo è chiaro che questo era – ed è – un equilibrio solo apparente, perché negli ultimi decenni, passo dopo passo, è andata avanzando tutta una serie di politiche contro la vita e la famiglia naturale, ossia per il controllo delle nascite (in primis attraverso contraccezione, sterilizzazione e aborto) e per l’affermazione delle pretese Lgbt. Politiche alla cui diffusione hanno contribuito le agenzie dell’Onu (Oms, Unesco, Unfpa, Unicef, Un Women, ecc.), che godono di un’aura quasi di sacralità.
La bozza dell’ultima CPD richiamava i governi ad adottare misure concrete per attuare pienamente il Programma d’Azione della Conferenza internazionale sulla Popolazione e lo Sviluppo tenutasi al Cairo nel settembre 1994. Conferenza che ha segnato una svolta nella promozione delle politiche di controllo delle nascite, nonostante la resistenza eroica della Santa Sede (vedi qui per approfondire), che riuscì a rintuzzare le pretese più estreme del blocco di Paesi guidato dagli USA di Bill Clinton, evitando che l’aborto venisse incluso tra i metodi di pianificazione familiare e che venisse annacquato il concetto di famiglia. A trent’anni e mezzo dalla Conferenza del Cairo, è evidente – come accennato – che le forze che agiscono contro la vita e la famiglia naturale hanno fatto passi da gigante, anche per via del progressivo disimpegno di chi, per storia e princìpi di riferimento (sia a livello politico che ecclesiale), dovrebbe invece difendere la stessa vita e la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna.
Ora l’amministrazione Trump ha lanciato un messaggio forte – visto il peso degli Stati Uniti – contro questo andazzo in sede Onu. Spencer Chretien, funzionario del Dipartimento di Stato, ha sottolineato in una dichiarazione ufficiale che gli USA rifiutano «l’estremismo dell’ideologia di genere» e che hanno aderito nuovamente alla Dichiarazione di Consenso di Ginevra (Geneva Consensus Declaration), nella quale si afferma che «l’aborto non è un diritto internazionale» e che la famiglia è «l’unità naturale e fondamentale della società». Il governo degli Stati Uniti, inoltre, «respinge e denuncia l’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile e non affermerà più gli Obiettivi di Sviluppo sostenibile come una cosa ovvia». Se si va a leggerli, si può constatare che in questi Obiettivi sono intrecciate le tematiche del gender, dell’aborto e del catastrofismo climatico – pur dietro espressioni apparentemente rassicuranti come “uguaglianza di genere”, “salute riproduttiva”, “sostenibilità ambientale” – con tutte le conseguenze negative che ne derivano sulla vita concreta delle persone.
I rilievi degli USA non erano stati considerati nella bozza del documento conclusivo, che alla fine appunto non è stato adottato, tra la frustrazione delle delegazioni occidentali – incluse quelle dell’Unione europea – più a sinistra.
Questo colpo inflitto allo status quo è un bel segnale perché, come osserva ancora il Friday Fax, «crea un’opportunità senza precedenti per rinegoziare nuovi termini per la politica sociale delle Nazioni Unite, termini che rispettino la sovranità nazionale e siano favorevoli alla famiglia, alle madri e ai loro bambini non ancora nati».
Si tratta di un’opportunità, aggiungiamo, anche per il centrodestra italiano, sia in sede Onu che all’interno del nostro Paese. Quanto avvenuto al Palazzo di Vetro ci ricorda che il linguaggio è importante e che non si possono accettare supinamente i termini prodotti dalla sinistra e dalle sue propaggini socio-culturali. Perché questi termini diventano poi parte integrante della cultura e si tramutano in nuove norme, leggi, pratiche, programmi di cosiddetta “educazione sessuale”, eccetera, finendo per minare i princìpi alla base del bene comune e, quindi, della convivenza umana.
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