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CINA-SANTA SEDE

«No al card. Kung»: Pechino decide anche le beatificazioni

L'agenzia cattolica dell'Asia, UcaNews, denuncia il mancato avvio da parte della Santa Sede del processo di beatificazione del cardinale Kung Pinmei per non dispiacere a Pechino. E intanto decine di firmatari britannici chiedono alla Santa Sede lo stop immediato dell'accordo con la Cina.
- CRISTIANI IN CINA, ARRIVATI DA ORIENTE, di Aurelio Porfiri

Ecclesia 18_03_2020 English Español
Giovanni Paolo II con il cardinale Kung Pinmei

Per l’accordo con la Cina, la Santa Sede sta sacrificando anche la beatificazione del cardinale Ignazio Kung Pinmei, il cui ventesimo anniversario della morte è appena trascorso (era il 12 marzo) nel silenzio ufficiale. La denuncia arriva da UcaNews, l’agenzia cattolica asiatica con base a Hong Kong. Il cardinale Kung – come la Nuova Bussola Quotidiana ha ricordato nei giorni scorsi (qui e qui) – è una figura grandissima della Chiesa cinese. Vescovo di Shanghai dal 1950, fu incarcerato nel 1955 e scarcerato nel 1986 per trascorrere altri due anni agli arresti domiciliari. Liberato definitivamente nel 1988 e mandato in esilio negli Stati Uniti, a Stamford (Connecticut) dove c’era già parte della sua famiglia, si recò a Roma subito a Roma per incontrare san Giovanni Paolo II. Fu in quell’occasione che seppe che era già stato nominato cardinale “in pectore” nel 1979, porpora che poi ricevette il 28 giugno 1991.

Il processo di beatificazione dovrebbe essere avviato dalla diocesi di Shanghai, ma essendo ora controllata dall’Associazione patriottica è escluso che faccia un solo passo per un vescovo che è stato simbolo della fedeltà assoluta alla Chiesa e al Papa. Nel ventesimo anniversario della morte gli è stata negata anche una messa di suffragio, come ha affermato padre Zhu Lide, 27 anni passati nelle carceri cinesi e ora residente  a Taiwan. «Il cardinale Kung è amato dall’intera Chiesa cinese; ai suoi tempi c’era una sola Chiesa, nessuna divisione tra sotterranea e patriottica - ha detto ancora padre Zhu -. Tutti i cattolici lo amano e lo venerano, ma in Cina il suo nome è proibito».

Potrebbe quindi la Santa Sede ammettere un’eccezione (non sarebbe la prima volta) e la Fondazione Kung, che ha sede a Stamford, si sta adoperando per questo, ma trova difficoltà perché in Vaticano non c’è alcuna intenzione di fare azioni sgradite a Pechino, come ha dichiarato a UcaNews, il vescovo emerito di Hong Kong, cardinale Joseph Zen. «Il cardinale Kung – ha detto Zen – è un fedele rappresentante della Chiesa cattolica. Come è possibile che il Vaticano ignori la sua causa di beatificazione per compiacere le autorità cinesi?».

Per quanto ignorare il valore della testimonianza del cardinale Kung Pinmei sia una vergogna, purtroppo non è una novità, visto che – come denuncia la Fondazione Kung – la situazione per i cattolici cinesi è peggiorata dopo la firma dell’accordo tra Cina e Santa del 22 settembre 2018. Non solo, va ricordato che nella trattativa con la Cina, la Santa Sede ha totalmente ignorato la sorte del vescovo di Baoding, Su Zhimin, in carcere dal 1997 proprio per la fedeltà al Papa, e di cui non si sa nulla. «È desolante – dicono alla Fondazione Kung - che il Vaticano abbia accettato di riabilitare otto vescovi scomunicati senza neanche chiedere in cambio la libertà di un anziano vescovo cattolico».

E a proposito di accordo sino-vaticano, un’altra bordata arriva da Londra, dove 32 esponenti cattolici e attivisti per i diritti umani hanno firmato una lettera aperta, diretta alla Segreteria di Stato vaticana, chiedendo di bloccare immediatamente tale accordo. Il motivo? I nuovi documenti che dimostrano il prelievo forzato di organi dai prigionieri a scopo di trapianto, e gli stupri e le torture ai danni di dissidenti e minoranze religiose. La lettera prende spunto dal recente rapporto firmato dal China Tribunal, un’organizzazione indipendente guidata da sir Geoffry Nice, ex giudice della Corte Penale Internazionale, che indaga proprio sul traffico di organi e il prelievo forzato ai prigionieri di coscienza.

Nella lettera si afferma che la Cina pratica abitualmente l’uccisione dei prigionieri per prelevare gli organi, o dichiara arbitrariamente “la morte cerebrale” allo stesso scopo. Si dà conto poi del sistematico uso di stupri e torture, tra le quali la “sedia della tigre”, particolarmente usata per i prigionieri uiguri. A questo si deve aggiungere la persecuzione dei cristiani, con la distruzione di chiese e simboli religiosi, aumentata dopo l’accordo del 2018. Secondo China Tribunal gli atti citati nel rapporto sono reali «oltre ogni ragionevole dubbio» e sono «perseguibili come crimini contro l’umanità»

Per questo nella lettera si accusano i responsabili vaticani di essersi coperti di vergogna nel sostenere l’accordo Cina-Santa Sede di fronte alla crescente evidenza delle atrocità commesse dal regime comunista. Menzione speciale, ovviamente, per il vescovo Marcelo Sanchez Sorondo, cancelliere delle Pontificie Accademie delle Scienze e delle Scienze sociali, il quale ha affermato che il governo cinese ha «realizzato la riforma del sistema per la donazione di organi» e ha anche sostenuto che «la Cina è il paese che meglio applica la Dottrina sociale della Chiesa».

Temiamo però che i firmatari della lettera restino delusi, perché in realtà certi personaggi pare proprio non conoscano la vergogna.