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a cura di Stefano Fontana

Il pensiero

Nikolaj Berdjaev e la critica al progressismo

Nel libro Il senso della storia, Berdjaev evidenzia i punti deboli del progressismo, a partire dall’idea che la generazione finale si regga sul sacrificio delle precedenti.

Dottrina sociale 24_09_2024

Da molto tempo abbiamo a che fare con il progressismo. Avevano cominciato umanisti e rinascimentali, poi gli illuministi, i socialisti, gli anarchici, i liberali. Comte, Spencer, Hegel e Marx avevano incentrato tutto sul progresso. Dopo il crollo del Muro di Berlino, Francis Fukuyama aveva pubblicato La fine della storia e l’ultimo uomo, sostenendo addirittura che il progresso si era ormai compiuto nell’Occidente liberale. Certo, ci sono stati anche i negatori del progresso, da Lutero a Rousseau, ma alla fine anche le loro teorie sono state catturate da un certo progressismo. Karl Löwith mise in luce l’origine giudaico-cristiana dell’idea di progresso, segnalando però anche una contraddizione: se quell’idea nasce dal cristianesimo perché ha assunto una tendenza anticristiana? Chesterton bollava questa idea dicendo che «la fiducia nel progresso è proprio quello che manca ai progressisti». La Chiesa preconciliare era contraria a questa idea, la Chiesa postconciliare invece la assunse. Oggi ci sono i teologi progressisti e i politici cattolici progressisti, quello di cui parlava Augusto Del Noce: «Mentre è possibile discutere con l’intellettuale rigorosamente marxista, non lo è invece col progressista cattolico».

Una interessante critica al progressismo era stata formulata da Nikolaj Berdjaev nel libro Il senso della storia, pubblicato alla fine degli anni Quaranta del secolo scorso. Egli dedica al tema l’ultimo capitolo: “La teoria del progresso e la fine della storia” (pp.157-173 dell’edizione Jaca Book del 2023), ove distingue tra evoluzione e progresso. Quest’ultimo presuppone l’idea di uno scopo finale che gli conferisce un senso. Il progressismo pensa che questo scopo finale sia dentro la storia, avverrà in un certo momento della storia. Questa è la sua contraddizione secondo Berdjaev. Se così fosse, tutte le generazioni precedenti all’esito finale sarebbero solo strumenti perché l’ultima generazione possa avere una vita beata. Nel momento finale nascerà una generazione fortunata che potrà godere della pienezza della vita e tutte le generazioni precedenti avrebbero solo il senso di averla preparata, senza però goderla, anzi dibattendosi nella tragedia della storia. Per questo egli scrive che «la religione del progresso è una religione della morte». Pensando che il problema del tempo possa risolversi dentro il tempo, il progressismo diventa un «vampiro divoratore, visto che il futuro divora il passato»: la generazione finale si regge sul sacrificio delle precedenti.

Secondo Berdjaev il progresso, per non contraddirsi e non distruggersi, ha bisogno di confluire in una fase fuori dal tempo, eterna, di vittoria sul tempo in un processo metastorico. Solo ciò può dare anche benefici in questo modo: «È possibile creare la bellezza in questo mondo solo se si trasferisce il baricentro della vita umana nell’altro mondo».

Stefano Fontana