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CONTINENTE NERO

Nigeria, la Chiesa nella morsa di una violenza fuori controllo

La Nigeria, uno dei maggiori produttori di petrolio nel mondo, sta precipitando nel caos. Corruzione e malgoverno permettono alle bande criminali di espandersi e arricchirsi. L'islamismo è rampante, ma non c'è una causa unica della deriva: sono molteplici i motivi del caos, nelle varie regioni del grande e popoloso paese africano. E i sacerdoti sono vittime di questa escalation. Il 24 maggio sono stati rapiti due sacerdoti cattolici: padre Stephen Ojapa e don Oliver Okpara. Altri due sono ancora sotto sequestro. Don Joseph Aketeh Bako è morto nelle mani dei rapitori. I vescovi chiedono al governo di riportare ordine nel Paese. 

Esteri 27_05_2022
Nigeria, dopo un attentato a Maiduguri

La Nigeria è nella morsa della violenza. La situazione sembra prossima a un punto di non ritorno. Corruzione e malgoverno hanno trasformato le sue immense risorse petrolifere da straordinaria opportunità di sviluppo in una maledizione, come è successo in Zambia con il rame, in Sierra Leone, Liberia e Repubblica Centrafricana con i diamanti.

Da oltre un anno ai già tanti problemi di sicurezza si è aggiunto quello, del tutto fuori controllo, dei rapimenti a scopo di estorsione. In alcuni stati del nord ovest, in particolare quello di Kaduna, un numero dilagante di bande armate seminano il terrore tra la popolazione perché, fenomeno nuovo, non prendono più di mira persone benestanti per chiedere riscatti milionari, bensì gente comune, di ceto medio e basso, in grado di pagare poche decine di migliaia di dollari e anche solo alcune migliaia o centinaia. Più di mille studenti, persino di scuola elementare, sono stati rapiti con attacchi notturni ai collegi, ma anche in pieno giorno, durante le lezioni. Altre migliaia di persone sono state rapite per strada, lungo le grandi arterie che collegano le principali città, nei parcheggi dei distributori di benzina, mentre erano al lavoro nei campi. A fine marzo una banda ha attaccato il treno che collega la capitale federale, Abuja, a Kaduna, la capitale dell’omonimo stato. Hanno rapito decine di persone, forse più di 160. Durante il raid sono state uccise almeno otto persone. I 18 poliziotti a guardia del convoglio hanno tentato di intervenire, ma visto il numero degli aggressori si sono dati alla fuga. A fine marzo c’è stato addirittura un tentato attacco all’aeroporto di Kaduna. Uomini armati si sono avvicinati alla recinzione dell’aeroporto sparando, senza però riuscire a entrare. Nello scontro a fuoco un agente di sicurezza è stato ucciso.

I malviventi non risparmiano neanche i religiosi cristiani. Il 24 maggio sono stati rapiti due sacerdoti cattolici: padre Stephen Ojapa e don Oliver Okpara. Degli uomini armati in gran numero hanno fatto irruzione verso la mezzanotte nella canonica della chiesa di San Patrizio a Gidan Maikambo, nello stato settentrionale di Katsina. Con loro hanno portato via due ragazzi. Negli ultimi due mesi altri due sacerdoti sono stati sequestrati e sono ancora nelle mani dei loro rapitori. Padre John Bako Shakwolo è stato prelevato nello stato di Kaduna mentre era a casa, il 25 marzo. Don Alphonsus Uboh si trovava nella sua parrocchia, nello stato meridionale di Akwa Ibom, quando l’8 maggio uomini armati a bordo di motociclette lo hanno rapito. Per lui è stato chiesto un riscatto molto alto: 240mila dollari. Il 3 maggio è stato liberato padre Felix Zakari Fidson, rapito sempre nel Kaduna. Purtroppo invece padre Joseph Aketeh Bako, sequestrato anche lui nel Kaduna l’8 marzo, è deceduto nelle mani dei sequestratori. Era  malato da tempo e le condizioni della prigionia gli sono state fatali.

Non si conosce l’identità dei rapitori di padre Ojapa e di don Okpara. Se il loro obiettivo è ottenere il pagamento di un riscatto, si può sperare che saranno liberati come avviene nella maggior parte dei casi. Ma c’è preoccupazione per la loro sorte perché il Katsina, uno dei 12 stati settentrionali a maggioranza islamica, è sotto la diocesi dello stato di Sokoto il cui vescovo, monsignor Mathew Hassan Kukah, nei giorni scorsi ha subito delle minacce per aver condannato con forza l’uccisione di Deborah Samuel, la studentessa cristiana picchiata a morte dai compagni di scuola il 12 maggio scorso perché accusata di aver pubblicato delle affermazioni blasfeme sulla chat usata dagli allievi dell’istituto che frequentava. Inoltre, dopo l’arresto di due persone sospettate di aver partecipato all’uccisione di Deborah, migliaia di persone hanno partecipato a delle manifestazioni organizzate per chiederne la liberazione durante le quali sono stati compiuti atti vandalici che hanno richiesto l’intervento delle forze dell’ordine. Per alcuni giorni le autorità hanno imposto il coprifuoco totale a Sokoto, la capitale, e monsignor Kukah ha sospeso la celebrazione delle messe in tutta la diocesi dopo che due parrocchie erano state attaccate, saccheggiate e gravemente danneggiate.

Cattive notizie arrivano anche dalla Middle Belt, i territori centrali del paese in cui sono costrette a convivere le popolazioni del nord, islamiche, tradizionalmente dedite dalla pastorizia e quelle contadine di fede cristiana che popolano gli stati meridionali. Gli scontri armati tra comunità sono frequenti, inaspriti dal fatto che si assommano interessi economici – il controllo di pascoli e terreni agricoli – e intolleranza religiosa. Il 20 maggio dei combattenti Fulani, il grande raggruppamento dei pastori di religione musulmana, hanno attaccato in pieno giorno dei villaggi di agricoltori, cristiani, nello stato di Benue uccidendo decine di persone.

Più a sud, nei ricchi stati del petrolio, a creare tensione e violenze è la ripresa delle istanze separatiste dell’etnia Igbo che negli anni 60 del secolo scorso aveva per un breve periodo proclamato l’indipendenza di un vasto territorio chiamandolo Repubblica del Biafra. È in corso il processo al leader secessionista Nnamdi Kanu e gli scontri armati tra gruppi secessionisti e truppe governative si intensificano. L’ultimo, il 17 maggio, si è concluso con l’uccisione di quattro militanti.  

I vescovi nigeriani da mesi –  da anni ormai – chiedono al governo di intervenire per dare al paese stabilità, sicurezza. Al drammatico quadro delineato va aggiunta la minaccia, nell’estremo nord est, del gruppo jihadista Boko Haram, affiliato ad al Qaeda, e della costola che nel 2016 se ne è staccata, l’Iswap, legato all’Isis. Intervenendo alla Plenaria della Conferenza Episcopale regionale dell'Africa occidentale da poco conclusasi, monsignor Godfrey Igwebuike Onah, vescovo di Nsukka, una diocesi dello stato sud orientale di Enugu, ha davo voce a tutta l’amarezza e la preoccupazione della Chiesa nigeriana: “avrei preferito essere qui, davanti a voi, ora, per raccontarvi l'amore, secondo la liturgia di oggi per riflettere sull'essenza e il significato del cristianesimo, l'amore che dovremmo avere gli uni per gli altri – ha detto – ma come si può predicare l'amore in un Paese dove la violenza è diventata una regola? Un Paese dove la corruzione è diventata una norma e una tradizione, dove l'impunità è diventata legge, dove il governo si sente così impotente che ora fa appello ai leader religiosi affinché parlino con gli attori non statali per non peggiorare la situazione della sicurezza nel nostro Paese?”.