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IL CANDIDATO È ABORTISTA

Niente comunione a Biden: l'esempio di padre Morey

Un sacerdote della Carolina del Sud si è trovato davanti per la comunione nientemeno che il candidato presidente Biden. Riconosciuto, gliel'ha rifiutata perché pubblicamete favorevole alla legge sull'aborto. Ha sfidato così un possibile inquilino della Casa Bianca, ma anche il clerically correct. E ha ricordato che sul diritto alla vita la Chiesa non scherza. E, soprattutto, non transige.

Vita e bioetica 30_10_2019

C’è un sacerdote nella Carolina del Sud. Si potrebbe commentare così, un po’ alla Bertolt Brecht, il coraggioso gesto di padre Robert E. Morey, sacerdote della chiesa di Saint Anthony, Florence, il quale domenica scorsa si è reso responsabile di una decisione che si è subito guadagnata risonanza mondiale. Già, perché Morey ha di certo avuto coraggio quando, riconosciutolo tra i fedeli durante la messa, ha negato la comunione nientemeno che a Joe Biden, candidato per la nomination democratica nelle elezioni presidenziali del 2020 e che era da quelle parti per la sua campagna elettorale. Un signore, insomma, che potrebbe diventare Presidente degli Stati Uniti e che, sotto l’amministrazione Obama, dal 2009 al 2017, è già stato il primo vicepresidente cattolico della storia americana.

Come mai allora il sacerdote ha agito così? Semplice: perché Biden, rivedendo la sua posizione storicamente più conservatrice sui temi etici rispetto agli altri esponenti del suo partito, pochi mesi or sono ha cambiato idea sull’emendamento Hyde, che da 40 anni vieta di utilizzare i soldi dei contribuenti per gli aborti, eccetto che in caso di stupro, incesto o se la vita della madre è in pericolo. «I diritti delle donne e l’assistenza sanitaria sono sotto attacco in un modo che cerca di riportare indietro ogni progresso che abbiamo fatto negli ultimi 50 anni» sono state, su Twitter, le parole del senatore democratico. Non solo.

Sempre Biden, in Carolina del Sud, ha manifestato netta contrarietà all’Heartbeat bill, letteralmente la «legge del battito del cuore», così chiamata perché volta a vietare l’aborto quando è possibile rilevare il battito cardiaco del nascituro. Per questo motivo domenica, padre Morey a Biden la comunione non l’ha data. «Qualunque personaggio pubblico che sostiene l'aborto», ha spiegato il sacerdote a seguito del suo gesto, «si pone da sé al di fuori della Chiesa cattolica. Ricorderò comunque il signor Biden nelle mie preghiere».

Un rifiuto, quello del sacerdote – il quale di legge se ne intende, dato che prima della vocazione è stato avvocato per 14 anni -, dalle solide basi giuridiche dato che il Codice di Diritto Canonico stabilisce che non devono essere ammessi «alla sacra Comunione gli scomunicati e gli interdetti, dopo l’irrogazione o la dichiarazione della pena e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto» (can. 915).

Ebbene, in questa categoria di persone «che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto» rientrano pure i politici abortisti. Più che una convinzione interpreativa è un fatto, tanto che anche il vescovo di Spokane, monsignor Thomas Daly, in una lettera alla sua comunità del 1° febbraio di quest’anno ha scritto espressamente che «i politici che risiedono nella diocesi cattolica di Spokane e che ostinatamente perseverano nel loro sostegno pubblico all’aborto non dovrebbero ricevere la comunione senza prima riconciliarsi con Cristo e la Chiesa». Certo, un conto solo le regole ed un altro – specie ultimamente – la loro rigorosa applicazione.

Soprattutto, non capita tutti i giorni, a un sacerdote, di ritrovarsi davanti un politico dell’importanza di Biden. Quindi – per quanto, a ben vedere, un po’ tutti i democratici siano su posizioni abortiste – padre Morey ha davvero avuto coraggio. Per questo va ringraziato, anche perché c’è da scommettere che con il suo gesto non si sarà certo attirato le simpatie, per usare un eufemismo, di certo mondo cattolico che ormai bolla l’applicazione delle norme come fissazione rigorista, dimostrando un’allergia alla dottrina che sembra essere, quella sì, l’unica regola ammessa. Ma fortunatamente, nel mondo capita ancora di imbattersi in qualche padre Morey pronto a ricordare, con il suo esempio, che sul diritto alla vita la Chiesa non scherza. E, soprattutto, non transige.