Niente Cina nel bilancio politico del Papa
Nel discorso al corpo diplomatico il Papa fa un bilancio dell'anno trascorso. Presenti tutti i temi caldi affrontati dal pontefice: abusi, Islam, Sinodo, Cop25, migranti e Venezuela. Ma nessuna menzione a Hong Kong e Cina. Mentre la Conferenza di Pechino sulla donna viene citata, ma nel '95 la Santa Sede la bocciò.
Da sempre il discorso al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede è l'occasione per tirare un bilancio dell'anno trascorso e presentare i propositi per quello prossimo. Così è stato anche quello pronunciato ieri da Francesco nella Sala Regia del Palazzo Apostolico. Il papa ha ricostruito il suo 2019 partendo dalla XXXIV Giornata Mondiale della Gioventù tenutasi a Panama lo scorso gennaio. Quello appena passato è stato un nuovo "annus horribilis" per la Chiesa relativamente alla questione abusi. Su questo punto, il pontefice argentino ha rivendicato il lavoro del Summit da lui voluto in Vaticano lo scorso febbraio con i presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo: con le decisioni prese durante l'incontro, secondo Bergoglio, "la Santa Sede rinnova il suo impegno affinché si faccia luce sugli abusi compiuti e si assicuri la protezione dei minori, attraverso un ampio spettro di norme che consentano di affrontare detti casi nell’ambito del diritto canonico e attraverso la collaborazione con le autorità civili, a livello locale e internazionale".
Oltre a ciò, egli ha esortato la Chiesa ad un maggiore impegno nel guidare i giovani alla "maturità spirituale, umana e sociale". Obiettivi per il quale è stata organizzata l'iniziativa “Ricostruire il patto educativo globale” che avrà luogo il prossimo maggio e che è stata lanciata con un video nel quale si parlava di "nuovo umanesimo" e che presentava un richiamo al "Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune".
Proprio il testo di Abu Dhabi firmato con il Grande Imam di Al-Azhar Ahmad al-Tayyib è stato un altro dei risultati rivendicati con soddisfazione da Francesco di fronte ai diplomatici: questo documento, secondo il papa, ha consentito di favorire "la mutua comprensione tra cristiani e musulmani e la convivenza in società sempre più multietniche e multiculturali, poiché nel condannare fermamente l’uso del 'nome di Dio per giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione', richiama l’importanza del concetto di cittadinanza, che 'si basa sull’eguaglianza dei diritti e dei doveri sotto la cui ombra tutti godono della giustizia'".
Nel bilancio dell'anno che ha visto la consacrazione mediatica dei 'Fridays for Future' non poteva mancare un riferimento alla questione dei cambiamenti climatici: Bergoglio ha bacchettato la politica internazionale, colpevole a suo dire di sottovalutare l'urgenza di una conversione ecologica e capace finora di dare una risposta "molto debole e fonte di forte preoccupazione" al problema. Dall'altro lato, però, si sono fatti notare quei giovani che "si stanno impegnando per sensibilizzare i leader politici sulla questione dei cambiamenti climatici". Dopo averli lodati, il papa ha riservato un rimbrotto anche a chi è solito criticarli: "La cura della nostra casa comune - ha detto - dev’essere una preoccupazione di tutti e non oggetto di contrapposizione ideologica fra diverse visioni della realtà, né tantomeno fra le generazioni".
Francesco non ha nascosto la sua insoddisfazione per l'esito della Conferenza sul clima di Madrid, dove ogni decisione sull'articolo 6 dell’accordo di Parigi, quello sul commercio delle quote di carbonio, è stata rinviata al prossimo vertice. Per il pontefice, il fallimento della COP25 ha rappresentato "un grave campanello di allarme circa la volontà della Comunità internazionale di affrontare con saggezza ed efficacia il fenomeno del riscaldamento globale, che richiede una risposta collettiva, capace di far prevalere il bene comune sugli interessi particolari".
La questione ambientale è ritornata nelle parole papali sul discusso Sinodo sull'Amazzonia conclusosi lo scorso 27 ottobre. Bergoglio è tornato a definire la foresta amazzonica come un "cuore biologico per la Terra, sempre più minacciata", un'espressione che non era piaciuta all'esecutivo brasiliano guidato da Jair Bolsonaro. Sull'assise da lui fortemente voluta, Francesco ha anche detto che si è trattato di "un evento essenzialmente ecclesiale, mosso dalla volontà di mettersi in ascolto delle speranze e delle sfide della Chiesa in Amazzonia e di aprire nuove strade all’annuncio del Vangelo al Popolo di Dio, specialmente alle popolazioni indigene".
Come annunciato nell'ultimo giorno di lavori, è probabile che l’Esortazione post sinodale venga pubblicata entro l'anno ma intanto già lo scorso mese il cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente emerito del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, ha lasciato intendere che il Documento Finale potrebbe essere considerato definitivo; lo ha fatto in una relazione pubblicata sul "L'Osservatore Romano" dal titolo piuttosto indicativo ("Dal consultivo al deliberativo?").
Nell'udienza ai membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno, Francesco ha affrontato alcuni dei capitoli più problematici della politica internazionale: il papa ha parlato di Medioriente, rimarcando "l’urgenza che l’intera Comunità internazionale, con coraggio e sincerità e nel rispetto del diritto internazionale, riconfermi il suo impegno a sostegno del processo di pace israelo-palestinese" e soffermandosi sulla situazione siriana.
Bergoglio ha denunciato la "coltre di silenzio che rischia di coprire la guerra che ha devastato la Siria nel corso di questo decennio" e a nome della Santa Sede ha espresso ancora una volta "la gratitudine alla Giordania e al Libano per aver accolto ed essersi fatti carico, con non pochi sacrifici, di migliaia di profughi siriani". Di strettissima attualità le preoccupazioni espresse per "l’innalzarsi della tensione fra l’Iran e gli Stati Uniti (...) che rischiano anzitutto di mettere a dura prova il lento processo di ricostruzione dell’Iraq, nonché di creare le basi di un conflitto di più vasta scala che tutti vorremmo poter scongiurare".
Un pensiero anche per la Libia che, ha detto il Santo Padre, "da molti anni attraversa una situazione conflittuale, aggravata dalle incursioni di gruppi estremisti e da un ulteriore acuirsi di violenza nel corso degli ultimi giorni". Il dramma libico è collegato al triste fenomeno della tratta di esseri umani "alimentato da persone senza scrupoli che sfruttano la povertà e la sofferenza di quanti fuggono da situazioni di conflitto o di povertà estrema".
Francesco ha denunciato la situazione di molti migranti che "finiscono preda di vere e proprie mafie che li detengono in condizioni disumane e degradanti e ne fanno oggetto di torture, violenze sessuali, estorsioni". La riflessione sulle vicende libiche gli ha consentito di parlare più in generale del fenomeno delle migrazioni, già al centro della sua catechesi nell'udienza generale di mercoledì. Queste le parole del papa: "nel mondo vi sono diverse migliaia di persone, con legittime richieste di asilo e bisogni umanitari e di protezione verificabili, che non vengono adeguatamente identificati (...) molti rischiano la vita in viaggi pericolosi per terra e soprattutto per mare.
È con dolore che si continua a constatare come il Mare Mediterraneo rimanga un grande cimitero. È sempre più urgente, dunque, che tutti gli Stati si facciano carico della responsabilità di trovare soluzioni durature. Da parte sua, la Santa Sede guarda con grande speranza agli sforzi compiuti da numerosi Paesi per condividere il peso del reinsediamento e fornire agli sfollati, in particolare a causa di emergenze umanitarie, un posto sicuro in cui vivere, un’educazione, nonché la possibilità di lavorare e di ricongiungersi con le proprie famiglie". Dopo aver menzionato alcuni dei conflitti congelati nell'Est, Francesco è poi passato a ribadire il favore con cui la Santa Sede guarda all'integrazione europea, fornendo il suo modello di sviluppo del progetto continentale: "Un’idea di costruzione inclusiva, animata da uno spirito partecipativo e solidale, capace di fare dell’Europa un esempio di accoglienza ed equità sociale nel segno di quei valori comuni che ne sono alla base".
"Il progetto europeo - ha continuato - continua ad essere una fondamentale garanzia di sviluppo per chi ne fa parte da tempo e un’opportunità di pace, dopo turbolenti conflitti e lacerazioni, per quei Paesi che ambiscono a parteciparvi". Ricordando il 75° anniversario della fondazione delle Nazioni Unite, il papa ha definito "un successo" il lavoro svolto fino ad oggi dall'organizzazione pur chiedendole di "riprendere il percorso verso una complessiva riforma del sistema multilaterale, a partire dal sistema onusiano, che lo renda più efficace, tenendo in debita considerazione l’attuale contesto geo-politico".
Proseguendo la rassegna dei luoghi visitati durante il 2019, il discorso del papa ha toccato anche l'Africa con un riferimento alla violenza diffusa in molte sue regioni e di cui sono vittime anche "tanti cristiani perseguitati e uccisi per la loro fedeltà al Vangelo". In questo continente, ha affermato Bergoglio, "le conflittualità e le emergenze umanitarie, aggravate dagli sconvolgimenti climatici, aumentano il numero di sfollati e si ripercuotono sulle persone che già vivono in stato di grave povertà".
Volgendo lo sguardo su 'casa', il pontefice ha ricordato anche le numerose tensioni che hanno attraversato quest'anno la 'sua' America Latina ed in particolare il Venezuela. "Occorre - ha detto - che i leader politici si sforzino di ristabilire con urgenza una cultura del dialogo per il bene comune e per rafforzare le istituzioni democratiche e promuovere il rispetto dello stato di diritto, al fine di prevenire derive antidemocratiche, populiste ed estremiste".
Nessuna menzione, invece, per le proteste scoppiate da mesi ad Hong Kong, sulla stessa linea di quanto dichiarato in aereo di ritorno dal Giappone con quel "non so valutare" che aveva provocato qualche imbarazzo. Nel discorso ai diplomatici la Cina è comparsa soltanto per citare la Conferenza delle Nazioni unite sulla donna tenutasi a Pechino nel 1995 al fine di mettere in evidenza "il ruolo prezioso delle donne nella società" e la necessità di fermare "ogni forma di ingiustizia, disuguaglianza e violenza nei loro confronti". Un evento, però, quello di 25 anni fa, da cui uscì un Documento Finale che all'epoca non piacque del tutto alla Santa Sede.
In una dichiarazione, Mary Ann Glendon, capo della della delegazione vaticana nella capitale cinese, criticò "il linguaggio ambiguo sul controllo indiscriminato della sessualità e della fertilità" presente nel testo che, scrisse, "potrebbe implicare che includa l'approvazione sociale dell'aborto e dell'omosessualità". Per questo motivo la Santa Sede diede un'adesione solamente parziale al Documento, facendo mettere agli atti in conclusione dei lavori le proprie riserve, in particolare sull'interpretazione del termine 'genere' utilizzato.
In una dichiarazione fatta a Pechino proprio per rendere pubbliche queste perplessità venne registrato che "la Santa Sede comprende il termine 'genere' come fondato su un'identità biologico-sessuale, maschio e femmina" ed "esclude quindi interpretazioni dubbie basate su concezioni diffuse, che affermano che l'identità sessuale può essere adattata indefinitamente, per adattarsi a scopi nuovi e diversi".