Newman: lo sviluppo del dogma richiede coerenza logica
Un'attenta analisi delle argomentazioni del santo inglese smentiscono un'interpretazione della sua concezione dello sviluppo del dogma che giustifica il "cambio di paradigma", ad esempio su divorziati risposati e contraccezione: questo è invece una perversione e una corruzione della fede.
Prima dell’intermezzo sull’influenza dell’opera e della vita di Newman su Benedetto XVI, avevamo affrontato una prima analisi del grande classico del santo inglese Saggio sullo Sviluppo della Dottrina cristiana. In essa, si è potuto comprendere come Newman fosse decisamente allergico ai tentativi archeologisti di negare lo sviluppo della fede con il pretesto di ritornare alla sua purezza e semplicità iniziale.
Aveva al contrario ben chiaro che quello era stato in fondo il problema della “sua” chiesa anglicana, che lo aveva trattenuto per anni dal compiere il passo verso la Chiesa cattolica. Roma era da lui stesso stata considerato, prima della sua conversione, come una innovatrice infedele alla Chiesa antica. Più avanti scoprirà invece come la vera fedeltà alla Chiesa antica consisteva nel lasciar sviluppare quelle prime piccole ma resistenti pianticelle, e che certi presunti ritorni all’origine altro non erano che l’abbattimento dell’albero nel suo rigoglio, con il pretesto di recuperare la primitiva semplicità.
A Newman tuttavia non sfuggiva che può anche accadere che si insista sulla necessità dello sviluppo del dogma, della morale, della liturgia per quel «prurito di udire» qualcosa di nuovo, di diverso, di attuale, denunciato da San Paolo (cf. 2Tm 4, 3), cercando però il “paradiso perduto” non all’indietro, ma in avanti. La Chiesa cattolica, secondo questa tendenza, assomiglierebbe decisamente allo spirito di hegeliana memoria, sempre in travaglio nella storia per raggiungere la sua condizione di assolutezza. In questo processo, le contraddizioni (antitesi) sono un momento fondamentale; non sono un punto di arrivo ultimo, perché ricercano sempre una sintesi superiore, ma costituiscono comunque un passaggio legittimo e necessario.
Va da sé che in questa prospettiva la traditio, intesa sia come contenuto trasmesso che come azione di trasmissione, non ha più un ruolo decisivo, ma è semmai una mera testimonianza storica del processo. Anche le Scritture diventano al massimo testi che possono ispirare valori spirituali, ma senza alcun peso normativo. Il Magistero della Chiesa, a sua volta, viene trasformato in una specie di circolo culturale per avviare e coltivare processi di cambiamento, più che l’organo di insegnamento della verità cattolica, vincolata alle fonti della Rivelazione.
Con questa dissoluzione della Rivelazione e del Magistero diventa possibile parlare senza troppe remore di “cambi di paradigmi”. Per capire che questo modo di intendere lo sviluppo della dottrina sia quanto di più contrario a quanto insegnato da Newman, basta leggere con attenzione il capitolo da lui dedicato nell’Essay al quarto criterio, quello della coerenza logica. Così lo spiega Newman: un dogma porta a un altro dogma, «sì che, se si ammette il primo, non si può negare fede al secondo; e questo non può essere chiamato una corruzione senza implicare il rifiuto del primo». Ogni verità affermata si precisa, mostra i suoi diversi aspetti, e da questi altri ancora; ogni verità richiede che se ne renda ragione, a se stessi e agli altri, «e allora deve prodursi un processo ulteriore che [...] porta ad analizzare le sue proposizioni e a metter in luce i loro rapporti reciproci».
Secondo Newman, la logica non sostituisce il principio della fede, ma «entra in causa per ordinare e radicare nello spirito quello che si era ottenuto senza il concorso di alcuna scienza». Essa è inoltre preziosa per «propagare le idee». Sebbene lo sviluppo del dogma non debba essere compreso come un’elaborazione logica a tavolino, quasi che la fede si sviluppi more geometrico, tuttavia, «questo carattere logico che contraddistingue l’insieme diviene la prova che il cammino compiuto è stato un vero sviluppo e non già una corruzione o una perversione». È così che nella Chiesa è andata gradualmente sviluppandosi, secondo l’esempio riportato da Newman, la riflessione relativa ai peccati commessi dopo il Battesimo e alla loro remissione.
Ma noi, oggi, cosa possiamo dire di questo criterio? Il punto decisivo dell’insegnamento del santo inglese sta proprio in quel guardare il cammino percorso e verificare se vi sia coerenza logica, e non invece salti ingiustificati e persino contraddizioni. Veniamo così a quelli che vogliono cambiare il paradigma. Che cosa stanno portando avanti costoro, non di rado richiamandosi proprio al principio dello sviluppo dell’insegnamento della Chiesa?
Prendiamo, ad esempio, il tema dei divorziati-risposati. La Chiesa insegna che una relazione che coinvolga la sfera sessuale è legittima solo all’interno del matrimonio, perché essa esprime unione e fecondità; nel contempo, il matrimonio è per sua natura indissolubile. Dunque è chiaro che una relazione more uxorio che non avvenga tra coniugi è una contraddizione inammissibile, e che non è possibile una seconda unione, mentre la prima continua a sussistere. Ora, invece, ci viene detto, che in alcuni casi, una tale relazione si potrebbe dare.
Oppure, pensiamo alla contraccezione. La Chiesa insegna che non è mai lecito porre atti, che come fine o come mezzo, siano direttamente contrari alla fecondazione. Di nuovo, si tratta di una posizione assolutamente coerente con il significato dell’unione coniugale. Quelli che invece vogliono cambiare il paradigma affermano che in alcuni casi, se non si ha la volontà di escludere del tutto “in generale” la fecondità dal matrimonio, allora è possibile nel concreto stravolgere il significato dell’unione coniugale.
Nel primo caso, si ritiene che si tratti di uno sviluppo dell’insegnamento sull’indissolubilità del matrimonio, già incipiente in Familiaris Consortio, allorché l’Esortazione Apostolica ammetteva la possibilità che due conviventi potessero essere assolti e ricevere l’Eucaristia, qualora si impegnassero a vivere in continenza. Questa sarebbe stata una prima eccezione alla norma. In realtà si trattava piuttosto chiaramente di una possibilità per quelle coppie irregolari che hanno figli in comune da crescere, senza che in alcun modo si andasse a contraddire il significato dell’unione coniugale, esplicitamente esclusa per i divorziati-risposati. Nel secondo caso, quello dell’apertura alla contraccezione, ci viene spiegato che essa sarebbe lo sviluppo coerente del ricorso ai periodi infecondi, quando invece ne è l’esatto opposto.
Che dire? Ci troviamo nella situazione opposta al passo dell’Essay sopra riportato: se si ammette il secondo (il cambio di paradigma), si nega il primo, e chiamare corruzione il secondo è necessario per non rifiutare il primo. Se costoro vogliono procedere nel loro cambio di paradigma, facciano pure. Ma almeno abbiano l’onestà di lasciare in pace Newman e lo sviluppo della dottrina, e si mostrino per quello che sono: corruttori e pervertitori della fede. Chi li vuol seguire, li segua.