Vocazione alla verità, il filo che lega Benedetto XVI a Newman
San John Henry Newman ebbe una grande influenza nella vita e nel pensiero di Benedetto XVI. Ed è proprio il tema della verità e della coscienza ciò che più ha ispirato papa Ratzinger: la via della coscienza è «una via dell'obbedienza alla verità oggettiva». Il cammino verso la verità è lento, progressivo e avviene soprattutto nella preghiera.
I lettori di questi supplementi domenicali non avranno nulla in contrario se dedichiamo un articolo alla profonda influenza che San John Henry Newman ebbe nella vita e nel pensiero di Benedetto XVI. Non è un mistero che tra i due ci sia stato un legame particolare. È stato proprio Ratzinger a ricordarlo pubblicamente nel suo discorso durante la veglia di preghiera per la beatificazione di Newman, il 18 settembre 2010 all’Hyde Park di Londra: «Come sapete, Newman ha avuto da tanto tempo un influsso importante nella mia vita e nel mio pensiero, come lo è stato per moltissime persone al di là di queste isole».
Ora che la vita terrena di Joseph Ratzinger è giunta al termine, si può dire che il suo “stile” si è sempre più conformato a quello del grande cardinale inglese, soprattutto in quella sintesi così caratteristica tra la forte determinazione per la ricerca e la testimonianza alla verità, e la mitezza, la dolcezza della parola e della persona; come anche in quell’attenzione al rapporto personale, sia con Dio che con il prossimo. Gli anni dopo la sua rinuncia hanno permesso che questo tratto si sviluppasse ancora di più, o almeno che lo si riconoscesse con più evidenza, tanta era la sua reale gioia nel poter stare con gli amici e le persone care e l’apprezzamento per i piccoli doni che i suoi visitatori gli portavano.
In occasione del primo centenario della morte di Newman, l’allora cardinale Ratzinger confidava quanto continuavano a risuonare in lui, dopo oltre un secolo da quando erano state scritte, le tonalità molto forti di alcune affermazioni che egli aveva trovato ne Gli Ariani del quarto secolo: «Sottomettersi al dettato della verità, in quanto tale, quale autorità primaria riguardo alla condotta politica e privata; capire… che lo zelo è anteriore alla benevolenza nella successione delle grazie cristiane». Questo è stato Newman; ed ha pagato più volte la sottomissione alla verità con l’incomprensione, l’isolamento, la sofferenza. Ed anche in ciò, Benedetto XVI e Newman sono stati compagni.
È proprio il tema della verità e della coscienza in Newman, della verità nella coscienza e della coscienza per la verità ad aver più di ogni altro aspetto ispirato Benedetto XVI. «Proprio perché Newman ha interpretato l’esistenza dell’uomo a partire dalla coscienza, ossia dalla relazione tra Dio e l’anima, era chiaro che questo personalismo non è individualismo, e che essere vincolati dalla coscienza non significa essere liberi di fare scelte casuali – è vero piuttosto il contrario», scriveva Ratzinger nel 1990 (vedi qui). La vita tormentata di Newman è la prova più lampante che quanto egli scriveva sulla libertà della coscienza proveniva da una vita tutta tesa verso la verità, quella verità che era percepita come il raggio dell’unica Verità. L’affermazione della libertà della coscienza trova il suo fondamento proprio nella ricerca della verità e nell’abbracciarla ogni volta che la si trova; così come il libero arbitrio ha il suo senso in quanto tensione verso il bene, e non verso la mera scelta.
In questo legame con la verità, si comprende anche l’articolazione tra la coscienza e l’autorità suprema di Dio. Nella sua Lettera al Duca di Norfolk, Newman - spiegava Ratzinger - «ci ha insegnato che la libertà di coscienza non è identica al diritto “di rinunciare alla coscienza, di ignorare un Legislatore e Giudice, di essere indipendenti da obblighi invisibili”». E di fatti la sua vita mostra ad abundantiam che la difesa della libertà di coscienza non è stata il pretesto per seguire le proprie voglie, per poter godere di tranquillità e sicurezza, ma la condizione per poter giocare interamente la propria vita seguendo la verità, ovunque essa conduca.
«Newman si era convertito come uomo di coscienza; fu la sua coscienza a condurlo fuori dai vecchi legami e sicurezze per entrare nel mondo del cattolicesimo, che per lui era difficile e sconosciuto», spiegava l’allora Cardinale Ratzinger. La via della coscienza è «una via dell'obbedienza alla verità oggettiva». «Per me è sempre affascinante vedere e considerare come proprio in questo modo e solo in questo modo, attraverso l'impegno per la verità, per Dio, la coscienza riceve il suo rango, la sua dignità e la sua forza», concludeva Ratzinger.
La libertà della coscienza, come “luogo” dell’ascolto della voce di Dio, è affermata proprio in ragione del primato della verità, aderendo alla quale l’uomo apre se stesso a Qualcuno che lo trascende. Benedetto XVI nel messaggio inviato all’International Centre of Newman Friends richiamava un passo de Lo sviluppo della dottrina cristiana, nel quale Newman sottolineava la portata esistenziale e religiosa del rapporto dell’uomo con la verità: «La ricerca della verità non deve essere appagamento di curiosità; l’acquisizione della verità non assomiglia in nulla all’eccitazione per una scoperta; il nostro spirito è sottomesso alla verità, non le è, quindi, superiore ed è tenuto non tanto a dissertare su di essa, ma a venerarla».
La grande lezione di Newman, papa Benedetto la vedeva anzitutto in questa vocazione dell’uomo alla verità, per poter realizzare veramente la propria libertà; e la verità in tutta la sua estensione. Per Newman era impossibile escludere la religione da questa ricerca della verità e perciò dalla vita sociale; una prospettiva meramente laica costituisce in realtà una menomazione della verità: «Alla fine della vita, Newman avrebbe descritto il proprio lavoro come una lotta contro la tendenza crescente a considerare la religione come un fatto puramente privato e soggettivo, una questione di opinione personale», diceva Benedetto XVI durante la veglia menzionata. «Qui vi è la prima lezione che possiamo apprendere dalla sua vita: ai nostri giorni, quando un relativismo intellettuale e morale minaccia di fiaccare i fondamenti stessi della nostra società, Newman ci rammenta che, quali uomini e donne creati ad immagine e somiglianza di Dio, siamo stati creati per conoscere la verità, per trovare in essa la nostra definitiva libertà e l’adempimento delle più profonde aspirazioni umane. In una parola, siamo stati pensati per conoscere Cristo, che è Lui stesso “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6)».
Il cammino verso la verità in pienezza richiede il coinvolgimento dell’uomo in pienezza, abbracciando certamente la dimensione intellettuale, per avvolgere tutto il suo essere ed impregnarlo, fino a creare un istinto capace di riconoscere il falso: «Coloro che vivono della e nella verità riconoscono istintivamente ciò che è falso e, proprio perché falso, è nemico della bellezza e della bontà che accompagna lo splendore della verità, veritatis splendor», concludeva Benedetto. Ma questo è un percorso lento, progressivo, che avviene soprattutto nella preghiera. Era questa un’idea molto cara al mondo monastico, e ne troviamo ancora traccia nello scontro tra San Bernardo e Abelardo, tra una concezione della conoscenza che esige la conversione e la divinizzazione dell’uomo ed una che invece inaugura la strada della preparazione meramente accademica.
Anche per Ratzinger la via sapienziale si percorre anche con i libri, ma soprattutto in ginocchio. La teologia in ginocchio è la condizione per non mettere in ginocchio la teologia. Per questo egli, nell’omelia per la beatificazione del cardinale inglese, non poteva non richiamare un altro passaggio di Newman, tratto da un suo sermone: «L’abitudine alla preghiera, che è pratica di rivolgersi a Dio e al mondo invisibile in ogni stagione, in ogni luogo, in ogni emergenza, la preghiera, dico, ha ciò che può essere chiamato un effetto naturale nello spiritualizzare ed elevare l’anima. Un uomo non è più ciò che era prima; gradualmente… ha interiorizzato un nuovo sistema di idee ed è divenuto impregnato di freschi principi (Parochial and plain sermons, IV, 230-231)».