New Delhi: un G20 difficile in un mondo sempre più diviso
Ascolta la versione audio dell'articolo
Si apre oggi, a New Delhi, il G20 ospitato dall'India, una delle edizioni più difficili. Non solo le maggiori economie si dividono sulla guerra in Ucraina, ma anche la Cina mal tollera di farsi ospitare dalla sua diretta rivale asiatica: Xi Jinping non ci sarà. Pieno sostegno di Meloni a Modi.
Il G20 si apre oggi a New Delhi, in una delle sue edizioni più difficili. Infatti è uno di quei formati internazionali che rischiano di non adattarsi al rapido cambiamento del mondo. Includendo tutte le maggiori economie mondiali, incluse quelle dei Paesi emergenti e delle medie potenze economiche, ha attualmente un grande problema di coesistenza interna. In un mondo sempre più diviso in blocchi, grandi potenze come Usa e Russia sono in guerra (fredda), ma anche Cina e India non si possono letteralmente vedere, tanto che il presidente Xi Jinping non sarà a New Delhi. Ed è la prima volta, al netto delle restrizioni ai tempi del Covid, che non si muove da Pechino per partecipare a un summit del G20.
L’obiettivo indiano è soprattutto quello di ottenere una dichiarazione finale condivisa. Parrebbe scontato, tutte le edizioni del G20 si sono concluse con una dichiarazione, più o meno ambiziosa, sottoscritta da tutti. Persino nell’ultimo, che si è tenuto a Bali nel 2022, in piena guerra in Ucraina, benché fra mille difficoltà e compromessi, i leader mondiali hanno concordato un documento, pur molto annacquato nei contenuti. Questa volta, invece, il rischio è che i grandi del mondo tornino a casa letteralmente a mani vuote.
L’argomento più divisivo, anche quest’anno resta la guerra in Ucraina. Le nazioni del G7 condannano l’invasione russa e non cederanno finché non avranno ottenuto una condanna di principio anche dai governi degli altri Paesi emergenti. La Cina non condanna. La Russia fa proseliti nei Paesi del “Sud Globale”, a partire dall’Africa. L’Unione Africana, che alla conclusione di questo vertice potrebbe essere ammessa come membro (al pari dell’Unione Europea) si è già mostrata divisa sulla guerra, con una maggioranza di Paesi africani che ormai pendono dalla parte di Mosca. Come nel precedente vertice di Bali, anche a New Delhi sarà assente Vladimir Putin. Sarà il ministro degli Esteri Sergej Lavrov a rappresentare la potenza in guerra.
Il secondo elemento divisivo è il conflitto strisciante fra India e Cina. Questa è, appunto, la prima volta che il presidente cinese non partecipa a un summit del G20. Nel 2021, a Roma, era in collegamento video a causa delle restrizioni pandemiche ancora in vigore, ma, pur virtualmente, c’era. Ora invece è assente ingiustificato. Non ha fornito alcuna spiegazione per la sua decisione di restare a Pechino e mandare, in sua vece, il primo ministro Li Qiang. Ma il primo ministro non ha autonomia decisionale e dovrà pur sempre consultarsi con il presidente, che è anche a capo del Partito, per ogni decisione.
La tensione fra India e Cina, iniziata con la guerra sul confine sino-indiano del 1962, negli ultimi tre anni è ulteriormente peggiorata. Nel 2020, truppe cinesi e indiane in pattuglia sul confine più alto del mondo, si erano scontrate all’arma bianca (per cercare di stemperare la tensione è vietato portare armi da fuoco), con gravi perdite umane subite soprattutto dagli indiani. Da allora, sia l’India che la Cina hanno espulso diplomatici e giornalisti. L’ultimo incidente diplomatico, in ordine di tempo, risale ai mesi scorsi, quando nelle nuove mappe ufficiali della Cina sono state “annesse” anche le regioni indiane settentrionali dell’Arunachal Pradesh e dell’Aksai Chin. L’India ha inoltrato a Pechino una protesta ufficiale, per questo.
Eppure l’assenza della Cina dal vertice di New Delhi rischia di impedire un confronto serio su tutte le questioni dirimenti. Se si parla di aiutare il “Sud Globale” e della proposta, anche indiana, di ristrutturare il debito delle nazioni più povere, ebbene i due terzi di quei debiti (secondo una stima della Banca Mondiale) sono contratti con Pechino. Se si parla di cambiamento climatico, anche in questo caso è la Cina la potenza industriale che registra il più alto volume di emissioni di CO2 in tutto il mondo.
L’India si gioca molto in questo vertice, soprattutto in termini di status internazionale. Dopo aver conquistato la Luna con la missione spaziale Chandrayaan-3, dopo aver ospitato 200 incontri internazionali in oltre 60 città solo nell’ultimo anno, dopo aver battuto il record di nazione più popolosa del mondo, oltre che di quella con la crescita del Pil più veloce fra le grandi economie emergenti (+6,7% nel 2022), l’India vuole imporsi come grande potenza mondiale. Il premier Narendra Modi, un leader induista nazionalista, per l’occasione ha tirato a lustro le strade di New Delhi con metodi autoritari: tutti i negozi e i mercati della zona in cui si tiene il vertice sono chiusi per tre giorni (i locali lo chiamano “lockdown del G20 e lamentano forti perdite economiche), le baraccopoli sono state abbattute e pazienza per chi ci vive.
Per cercare di mettere di nuovi tutti attorno a un tavolo e strappare una dichiarazione congiunta, anche in un periodo conflittuale come questo, Modi conta sul suo rigoroso neutralismo e sulla sua trasversalità, unica nel mondo: è un Paese dei Brics e membro dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, ma al tempo stesso anche del Quad (assieme a Usa, Australia e Giappone).
La premier italiana Giorgia Meloni ha promesso aiuto a Modi, già dal bilaterale del 2 marzo scorso, per raggiungere un buon risultato in questo G20, per ottenere una dichiarazione finale condivisa. La premier italiana sta spostando gradualmente l’asse degli interessi italiani dalla Cina all’India, conformemente ai programmi di lungo periodo anche dell’eurogruppo conservatore (l’Ecr) di cui Fratelli d'Italia è alla guida, assieme al PiS polacco. L’India infatti è una democrazia, per quanto imperfetta e soprattutto, nella nuova guerra fredda, contrariamente alla Cina non si pone come diretta antagonista dell’Occidente. Oggi la Meloni incontrerà il premier cinese, Li Qiang, su richiesta di quest’ultimo. Il governo ha infatti espresso abbastanza chiaramente l’intenzione di uscire dal progetto della Nuova Via della Seta. Ed è possibile che i cinesi vogliano discutere le condizioni, se non altro per limitare i danni.