Nessuno vuole questo bimbo
Due giovani peruviani con due figli adolescenti, due lavori precari e un neonato in arrivo. Eppure c'è sempre una speranza...
Piove! A Milano quando piove sembra che, per un maleficio gettato sulla città dal mago della pioggia, tutto si blocchi irrimediabilmente.
Così, anche le persone che di solito affollano il nostro corridoio, devono essersi spaventate per il brutto tempo e le sedie sono rimaste quasi tutte vuote.
Quelle sedie… Mi piacerebbe tanto avere una stanza di attesa protetta dagli sguardi, a volte indiscreti, delle persone che passano, dove un’atmosfera quasi rarefatta faccia un po’ mettere da parte la tensione e la sofferenza pungente che tutte le donne provano quando pensano di andare ad abortire. Un bel sogno!
Una signora, però, è seduta lì e sembra proprio aver bisogno di un colloquio.
“Meno male che lei non si è fatta spaventare dal maltempo, perché a me non piace assolutamente essere qui a far niente.”
La faccio entrare nella mia stanza mentre lei mi dice un po’ angosciata:
“Non so se servirà, ma devo davvero parlarne con qualcuno.”
“Di solito riusciamo quasi sempre a trovare una soluzione ai problemi delle persone che si rivolgono a noi, perché non potremmo essere utili anche a lei? Proviamo.”
“Mi chiamo Caterina e vengo dal Perù; ho trentaquattro anni e da tanti anni sono in Italia.”
“Si sente, Lei parla un italiano quasi perfetto, brava.”
Mi ritrovo immediatamente a pensare a tutte le volte che per intendermi con le persone devo fare i salti mortali magari sentendomi un po’ indispettita e, invece, in questa situazione, mi preparo ad ascoltare il seguito con una certa tranquillità.
“Per venire in Italia ho lasciato Katia, la mia bambina di due anni, alle cure della nonna continuando a provare, nel tempo, una profonda malinconia e un certo senso di colpa.
Mi ripetevo che l’avevo fatto per lei, perché potesse avere delle prospettive future, ma il malessere non andava via nonostante le frequenti telefonate.
Appena ho potuto ho iniziato a preparare i documenti per il ricongiungimento familiare ma, come lei sa, ci vuole molto tempo perché la cosa si realizzi.
Alla fine ce l’abbiamo fatta e, un anno e mezzo fa, Katia mi ha raggiunto.”
“Bene, e come si trova in questo paese sconosciuto? E la scuola?”
“Queste cose vanno bene, ma il problema è che la vita va avanti; io in questi anni di solitudine ho conosciuto un uomo, Riccardo, mio connazionale con qualche anno più di me, con cui si è stabilita una relazione importante, tanto da decidere di andare a vivere insieme.
Anche Riccardo, però, ha un figlio, Ivan, per il quale aveva un progetto di ricongiungimento familiare; era rimasto in Perù e ha solo un anno più di Katia e, ora, vivono tutti e due con noi.”
“E, come va la nuova famiglia?” mi affretto a dire un po’ preoccupata.
“Andava abbastanza bene fino a qualche giorno fa; certo due adolescenti in casa creano sempre qualche problema, ma si trattava di cose affrontabili e abbiamo ogni volta cercato di trovare con loro una soluzione.”
“E poi? La sua tensione e preoccupazione mi fanno pensare a qualche cosa di imprevisto che ha dato uno scossone a questa situazione ben assestata. Che cosa è successo?”
“Un bambino in arrivo. Non avrei mai pensato che sarei potuta rimanere incinta – spesso le donne dicono così con mia grande sorpresa – e, invece, ecco il referto della visita ginecologica: settima settimana di gravidanza. Nessuno lo vuole, questo bambino, nemmeno io che sono la sua mamma e ho deciso di andare ad abortire.”
Come sempre, penso che questi piccoli bimbi, proprio lì, nel posto dove dovrebbero essere più al sicuro, corrono il rischio più grave: perdere la vita.
E ogni volta, pur comprendendo le ragioni faticose che portano a questa conclusione, vivo la cosa come una grave ingiustizia; certo noi siamo più grandi e ci possiamo rivalere su questo piccolo che non riesce nemmeno a far sentire la sua voce.
Ma questa è la legge della giungla!
Al solito rimando indietro le emozioni e le parole difficili, e provo a chiedere:
“Chi è il più rigido su questa posizione?
Lei, Caterina, sente che questo bimbo è suo figlio e mi sembra addolorata di dover prendere la decisione di abortire.”
“Riccardo è molto convinto; dice che i nostri problemi sono già tanti, quelli finanziari compresi, che non se ne parla nemmeno di farlo nascere!”
Cerco di rassicurarla elencandole gli aiuti previsti per situazioni simili, a cominciare dal Fondo Nasko regionale, per arrivare ai soliti benedetti pannolini che regaliamo ai nostri bambini fino al compimento del primo anno. (attualmente sono più di mille i bimbi che ricevono i pannolini comprati da noi) “ È gentile! Forse potrei parlarne con Riccardo.”
“Bene, io sono qui e voglio credere che lei torni con una buona notizia.”
Dopo qualche giorno, quando stavo perdendo ogni speranza, eccola lì ad aspettarmi.
Con il cuore in gola, le chiedo:
“Come è andata?”
“Ho raccontato del nostro colloquio a casa; c’è stata una bella discussione, ma io ho fatto notare che, forse questo bambino arrivava per unirci tutti quanti e che, con il vostro aiuto, avremmo potuto affrontare anche i problemi economici.”
Mi sentivo felice anche se Caterina non sembrava scoppiare di gioia.
L’ho rivista regolarmente una volta al mese; il suo pancione cresceva ma non altrettanto la sua serenità. Mi raccontava che stava vivendo un periodo molto difficile e che l’atmosfera di casa era sempre pesante.
Lei continuava a lavorare anche oltre il tempo previsto per la maternità, tanto da arrivare fino a pochissimi giorni rispetto alla data del parto.
E, finalmente, una mattina arriva radiosa:
“Vuole sapere che cosa mi è successo?”
“Naturalmente – rispondo – anche perché sono certa che ciò che desidera comunicarmi, è di sicuro qualcosa di bello. Sembra il ritratto della felicità.”
“L’ultimo giorno di lavoro, mi sentivo veramente stanca, affaticata e un po’ triste.
Sono arrivata a casa preparata a sentire le solite lamentele e, invece…
Titubante apro la porta cercando l’interruttore perché ero al buio assoluto; immediatamente, però, la casa si illumina tutta e, da ogni angolo sento gridare: auguri, auguri!
I ragazzi con Riccardo avevano chiamato a raccolta gli amici e i parenti e ciascuno, oltre a un magnifico sorriso, aveva nelle mani un pacchettino avvolto in carte colorate; erano tutti doni per il mio bambino ma io li ho vissuti come tante manifestazioni di amicizia per me.”
Baby-shower si chiama, in America Latina, questa festa riservata alle mamme che stanno per avere un bambino.
A me è sembrata proprio la festa alla vita che vuole nascere, vincendo tutte le paure e le difficoltà.