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PACE

Nessuna fraternità è possibile senza Dio padre

Il messaggio di Papa Franceso per la Giornata Mondiale della Pace 2014 parte dalla prima violenza di Caino contro Abele. Quando l'uomo non si riconosce più figlio di Dio, dimentica di essere fratello degli altri uomini.

Ecclesia 13_12_2013
Papa Francesco

Reso pubblico il 12 dicembre 2013, e formalmente datato 8 dicembre, il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2014, che si celebrerà il prossimo 1° gennaio, è il primo firmato da Papa Francesco. È dedicato alla fraternità, e ruota tutto intorno a un insegnamento fondamentale: se non ci riconosciamo figli dello stesso Padre, Dio, la fraternità è impossibile. Le ideologie offrono infatti solo contraffazioni della fraternità, che è un portato del cristianesimo.

In ogni uomo e donna, afferma il Papa, c'è - ancora oggi, e nonostante tutto - «un anelito insopprimibile alla fraternità». Infatti, «la fraternità è una dimensione essenziale dell’uomo, il quale è un essere relazionale». Senza fraternità «diventa impossibile la costruzione di una società giusta, di una pace solida e duratura».

«Occorre subito ricordare - esordisce il Papa - che la fraternità si comincia ad imparare solitamente in seno alla famiglia, soprattutto grazie ai ruoli responsabili e complementari di tutti i suoi membri, in particolare del padre e della madre. La famiglia è la sorgente di ogni fraternità», così che chi attacca la famiglia di fatto attacca la fraternità.

Che gli uomini aspirino alla fraternità è una tesi che oggi appare «contrastata e smentita nei fatti, in un mondo caratterizzato da quella "globalizzazione dell’indifferenza" che ci fa lentamente "abituare" alla sofferenza dell’altro, chiudendoci in noi stessi». Basti pensare alla perdurante «grave lesione dei diritti umani fondamentali, soprattutto del diritto alla vita e di quello alla libertà di religione», al traffico di esseri umani, alle tante guerre dimenticate in Africa e in Asia, alle «guerre meno visibili, ma non meno crudeli, che si combattono in campo economico e finanziario con mezzi altrettanto distruttivi di vite, di famiglie, di imprese. La globalizzazione, come ha affermato Benedetto XVI, ci rende vicini, ma non ci rende fratelli». Accade spesso piuttosto il contrario: «le ideologie, caratterizzate da diffuso individualismo, egocentrismo e consumismo materialistico, indeboliscono i legami sociali, alimentando quella mentalità dello "scarto", che induce al disprezzo e all’abbandono dei più deboli, di coloro che vengono considerati "inutili". Così la convivenza umana diventa sempre più simile a un mero "do ut des" pragmatico ed egoista».

Perché accade questo? La risposta del Papa è molto netta: «le etiche contemporanee risultano incapaci di produrre vincoli autentici di fraternità, poiché una fraternità priva del riferimento ad un Padre comune, quale suo fondamento ultimo, non riesce a sussistere. Una vera fraternità tra gli uomini suppone ed esige una paternità trascendente». Se si nega il Padre comune, Dio, non si può essere fratelli.

Francesco invita a rileggere la storia di Caino e Abele nel libro della Genesi. «Secondo il racconto delle origini, tutti gli uomini derivano da genitori comuni, da Adamo ed Eva, coppia creata da Dio a sua immagine e somiglianza (cfr Gen 1,26), da cui nascono Caino e Abele. Nella vicenda della famiglia primigenia leggiamo la genesi della società, l’evoluzione delle relazioni tra le persone e i popoli». Il pastore Abele e il contadino Caino sono chiamati a vivere la fraternità come unità nella diversità delle rispettive vocazioni.

«Ma l’uccisione di Abele da parte di Caino attesta tragicamente il rigetto radicale della vocazione ad essere fratelli». Tutti conosciamo la storia, ma forse ci sfuggono «i motivi profondi che hanno indotto Caino a misconoscere il vincolo di fraternità». Dio stesso dice a Caino che «il peccato è accovacciato alla tua porta» (Gen 4,7). Ma di che peccato si tratta? A un certo punto Caino non si riconosce più come figlio di Dio, dimentica il rapporto con il Padre e perde dunque anche la possibilità della fraternità. «Il racconto di Caino e Abele insegna che l’umanità porta inscritta in sé una vocazione alla fraternità, ma anche la possibilità drammatica del suo tradimento».

Gesù ci dà lo stesso insegnamento: «poiché vi è un solo Padre, che è Dio, voi siete tutti fratelli (cfr Mt 23,8-9). La radice della fraternità è contenuta nella paternità di Dio. Non si tratta di una paternità generica, indistinta e storicamente inefficace, bensì dell’amore personale, puntuale e straordinariamente concreto di Dio per ciascun uomo». Solo se la paternità di Dio è accolta non come una semplice metafora, non come un simbolo ma come una realtà, allora la fraternità diventa possibile.

Nella vera fraternità, fondata sul riconoscimento della paternità di Dio, «non vi sono "vite di scarto". Tutti godono di un’eguale ed intangibile dignità. Tutti sono amati da Dio, tutti sono stati riscattati dal sangue di Cristo». Come hanno notato il venerabile Paolo VI (1897-1978) nella «Populorum progressio» e il beato Giovanni Paolo II (1920-2005) nella «Sollicitudo rei socialis», solo questa fraternità fonda la pace: pace tra le nazioni e pace sociale.

Nella «Caritas in veritate», ricorda Papa Francesco, Benedetto XVI ha spiegato «come la mancanza di fraternità tra i popoli e gli uomini sia una causa importante della povertà. In molte società sperimentiamo una profonda povertà relazionale dovuta alla carenza di solide relazioni familiari e comunitarie». La povertà relazionale è povertà spirituale - e, in quanto tale, contagia anche i ricchi - ma è anche povertà materiale. Riprendendo la sua esortazione apostolica «Evangelii gaudium» e la stessa «Caritas in veritate» di Benedetto XVI, Francesco osserva che «se da un lato si riscontra una riduzione della povertà assoluta, dall’altro lato non possiamo non riconoscere una grave crescita della povertà relativa, cioè di diseguaglianze tra persone e gruppi che convivono in una determinata regione o in un determinato contesto storico-culturale». Di fronte a questo impoverimento delle classi medie, la Chiesa non condanna la proprietà privata, anzi riconosce come «necessario» «che l’uomo abbia la proprietà dei beni», ma al proprietario ricorda che questi beni li «possiede non solo come propri, ma anche come comuni, nel senso che possono giovare non unicamente a lui ma anche agli altri». Questi principi, in un'epoca di crisi, si traducono nella preferenza per «stili di vita sobri ed essenziali».

Il Papa osserva che «le gravi crisi finanziarie ed economiche contemporanee - che trovano la loro origine nel progressivo allontanamento dell’uomo da Dio e dal prossimo, nella ricerca avida di beni materiali, da un lato, e nel depauperamento delle relazioni interpersonali e comunitarie dall’altro - hanno spinto molti a ricercare la soddisfazione, la felicità e la sicurezza nel consumo e nel guadagno oltre ogni logica di una sana economia». Al contrario, la crisi dovrebbe essere occasione per riflettere seriamente su «un cambiamento negli stili di vita. La crisi odierna, pur con il suo grave retaggio per la vita delle persone, può essere anche un’occasione propizia per recuperare le virtù della prudenza, della temperanza, della giustizia e della fortezza».

Di queste virtù ha drammatico bisogno chi vive nelle troppe terre insanguinate dalle guerre dimenticate, «conflitti che si consumano nell’indifferenza generale». Il Papa constata che «gli accordi internazionali e le leggi nazionali, pur essendo necessari ed altamente auspicabili, non sono sufficienti da soli a porre l’umanità al riparo dal rischio dei conflitti armati. È necessaria una conversione dei cuori», che riconosca anche come «la corruzione e il crimine organizzato avversano la fraternità». «I cittadini devono sentirsi rappresentati dai poteri pubblici nel rispetto della loro libertà. Invece, spesso, tra cittadino e istituzioni, si incuneano interessi di parte che deformano una tale relazione, propiziando la creazione di un clima perenne di conflitto».

La corruzione, spesso alleata del crimine organizzato, è responsabile della diffusione della droga, della prostituzione, del traffico dei migranti, delle «condizioni inumane di tante carceri, dove il detenuto è spesso ridotto in uno stato sub-umano e viene violato nella sua dignità di uomo, soffocato anche in ogni volontà ed espressione di riscatto», del rifiuto - talora mentre ci si riempie la bocca con slogan ecologisti - di una vera cura della natura, che avvenga secondo il piano di Dio e con lo sguardo rivolto a una valorizzazione delle risorse per combattere veramente la persistente piaga della fame. «La Chiesa fa molto in tutti questi ambiti, il più delle volte nel silenzio».

In ogni ambito, si torna al tema centrale del Messaggio. «La fraternità ha bisogno di essere scoperta, amata, sperimentata, annunciata e testimoniata. Ma è solo l’amore donato da Dio che ci consente di accogliere e di vivere pienamente la fraternità». Non è più il tempo di soluzioni meramente tecniche.

«Il necessario realismo della politica e dell’economia non può ridursi ad un tecnicismo privo di idealità, che ignora la dimensione trascendente dell’uomo. Quando manca questa apertura a Dio, ogni attività umana diventa più povera e le persone vengono ridotte a oggetti da sfruttare. Solo se accettano di muoversi nell’ampio spazio assicurato da questa apertura a Colui che ama ogni uomo e ogni donna, la politica e l’economia riusciranno a strutturarsi sulla base di un autentico spirito di carità fraterna e potranno essere strumento efficace di sviluppo umano integrale e di pace». Con Dio, siamo fratelli. Senza Dio, siamo nemici.