Neonati, carne da macello per i nuovi animalisti
Un neonato spezzettato, incellophanato e costretto in una confezione da banco di macelleria di supermercato. Questa la campagna choc della nuova frontiera animalista, l'ideologia vegan.
Già li immagino i grossetani quando, la mattina del 28 febbraio 2013 (fonte: Corriere Fiorentino.it), hanno visto il grande cartellone animalista. «Maremma majala!», avranno esclamato. Infatti, Grosseto è il capoluogo della Maremma toscana, e pure la scrofa evocata (majala=femmina del maiale), perché questa volta gli animalisti (autodefinitisi, come termine esotico, «vegan», più chic) hanno letteralmente fatto carne di porco di un bambolotto con le fattezze di neonato: lo hanno spezzettato, incellophanato e costretto in una confezione da banco di macelleria di supermercato. Il manifesto che ne è risultato, posto nei punti cruciali della città, invita la popolazione a diventare vegetariana, perché, come recita la scritta d’accompagnamento, «Gli animali non sono cose. Quando li mangi o li sfrutti mangi qualcuno. Non qualcosa. Diventa vegan».
In questa frase alcune cose non quagliano. Quando «sfrutto» un animale lo sto mangiando? Devo diventare, perciò, alieno (cioè, proveniente dalla stella Vega)? Mi sa di sì, visto che è roba da alieni considerare gli animali «qualcuno». Voi comprereste il ragionier Rossi al canile o al gattile? Lo leghereste con un guinzaglio al collo? Lo obblighereste a ubbidirvi? Lo portereste a fare i suoi bisogni quando dite voi? La riduzione in schiavitù è vietata dalla legge e pure dalla Costituzione, ma è questo che fanno i «vegan» e gli animalisti coi loro «qualcuno». Voi direte: sì, ma almeno non li mangiano. Be’ neanche io oserei mangiare il mio cane o il mio gatto o il mio criceto o il mio pesce rosso. La differenza sta tutta nel fatto che io non farei mai a pezzi un neonato, mentre loro sì.
Ora, non potendosene procurare uno nei cestini dell’immondizia dei reparti ospedalieri in cui si pratica l’aborto mutualizzato, o forse giudicando che un’immagine del genere, sotto cellophane, si sarebbe tramutata in un boomerang pubblicitario, si sono dirottati sul cicciobello.
Noi carnivori concordiamo sul fatto che «gli animali non sono cose». Ma dissentiamo sull’insinuazione – pagata dall’Associazione d’Idee onlus – che siano persone. Questi rousseauiani del terzo millennio vorrebbero farci credere che consumare una fettina di manzo sia cannibalismo tout court. Cioè, che noi e le bestie siamo della stessa famiglia.
Ci aveva già pensato Darwin, e aveva raccolto molti seguaci. Ancora oggi, infatti, c’è chi ci tiene davvero a discendere dagli scimpanzé e si arrabbia pure se qualcuno preferisce discendere da Adamo, il quale discese da Dio in persona.
Ora, da buoni giacobini (tutti i rousseauiani lo diventano, come la storia insegna), gli animalisti e i «vegan» non si accontentano di nutrirsi di soli ravanelli e non rompere le scatole al prossimo. No, se non hanno costretto, prima con le buone e poi con le cattive (usano anche queste, com’è noto), tutti quanti ad assoggettarsi al loro credo non sono soddisfatti.
Ormai bisogna rassegnarsi: c’è gente che deve dare un senso alla propria vita, sennò si spara. Così, diventano attivisti di ogni campagna (una delle quali è quella di cui qui trattiamo: per la precisione, l’associazione «Campagne per gli animali», con sede in provincia di Treviso, tra gli sponsor del manifesto grossetano), purché sia strampalata e abbia i crismi della novità.
Marx è superato, così è l’ora dei vegetali e della Torino-Lione. Il nuovo proletariato da liberare dalle catene dell’oppressione (per gli immigrati e i non fumatori hanno già dato) è costituito dalle bestie, e appena il Fronte di Liberazione Bestiale si sarà organizzato, assisteremo ad assalti agli allevamenti industriali e vedremo le vacche invadere, finalmente affrancate, le nostre città. Dalle Campagne per gli Animali agli Animali per le Campagne, e anche sul metrò.