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FRAGILI ALLEANZE

Nella maggioranza giallo-rossa una scissione tira l'altra

Nei due partiti della maggioranza giallo-rossa, sia nel Pd che nel M5S, si formano fronde contro la leadership. Nel MoVimento fondato da Grillo, c'è sempre più malumore nei confronti di Luigi Di Maio, da parte di Fico e Di Battista. La proposta è quella di una presidenza collegiale. Nel Pd, la scissione di Renzi potrebbe non essere l'ultima. 

Politica 26_09_2019
Di Maio e Fico

Non ci sono conferme di quanto Matteo Salvini ha rivelato nelle ultime ore, e cioè che nei Cinque Stelle ci sarebbero molti parlamentari pronti a passare nelle file del Carroccio poiché considerano un tradimento la nuova alleanza con il Pd. Certamente, però, il clima negli ambienti pentastellati è alquanto surriscaldato. Durante la riunione dei senatori del Movimento 5 Stelle che si è tenuta martedì, per stabilire le procedure di elezione del nuovo capogruppo al Senato, il leader Luigi Di Maio è stato contestato e, per la prima volta nella storia del partito, sono state raccolte firme per un’iniziativa autonoma. I senatori hanno protestato contro Di Maio anche di fronte alla stampa. Con il documento approvato in riunione, 70 senatori del M5S su 107 chiedono di modificare lo statuto di M5s, in modo da sostituire alla figura del capo politico un comitato di dieci persone elette, al fine di gestire in maniera più collegiale il Movimento. L’insofferenza verso i “pieni poteri” dell’attuale Ministro degli esteri è destinata a crescere, alimentata da Roberto Fico da una parte e Alessandro Di Battista dall’altra, senza contare che anche il fondatore Beppe Grillo e Davide Casaleggio da tempo si mostrano più tiepidi nei confronti di Giggino.

Di Maio ieri da New York, dove si trova per l’assemblea delle Nazioni Unite, ha risposto alle critiche e ha cercato di minimizzare i dissidi interni: «Sono stato eletto capo politico con l'80% di preferenze, non con il 100% ed è giusto che ci sia chi non è d'accordo ma far passare quelle 70 firme per 70 firme contro di me...». E ha aggiunto: «Ci sono persone che potrei definire amiche e con cui lavoro ogni giorno che mi hanno chiamato e mi hanno detto che è un grande malinteso: “non è contro di te ma per rafforzare il gruppo parlamentare”». Di Maio ha infine rassicurato sul fatto che «nei prossimi mesi la mia idea di ristrutturare il Movimento con il Team del futuro e i Facilitatori regionali sarà portata avanti e avremo un’organizzazione che il Movimento prima non ha mai avuto».

Il malcontento nel Movimento unisce chi non ha gradito la nascita del governo giallo-rosso e chi è deluso perché rimasto escluso dai nuovi assetti di governo, a riprova del fatto che poi tutto in politica si riduce sempre e solo alla conquista delle poltrone e degli incarichi, al di là della maschera ideologica che serve per ottenerli e giustificarli agli occhi dell’opinione pubblica. Fanno parte della corrente dei delusi figure come Barbara Lezzi, Nicola Morra, Alberto Airola, Michele Giarrusso - che ha rivendicato le critiche di poca democrazia interna rivolte a Di Maio nel corso dell'assemblea - e Danilo Toninelli.

Ma se nei Cinque Stelle l’ipotesi scissione rimane dietro l’angolo, anche tra i dem serpeggia malcontento e si registrano movimenti sospetti. Se perfino una militante di lungo corso come Rosi Bindi arriva a non escludere altre scissioni dopo quella di Matteo Renzi, significa che qualcuno sta alimentando il malumore nei confronti delle scelte dell’attuale segreteria e vuole indebolire il partito. A onor del vero, però, la guida Zingaretti, oltre che aver frenato l’emorragia di voti, sta stimolando alcuni ritorni di fiamma verso il Pd da parte di esponenti che se ne erano allontanati. La stessa Rosi Bindi elogia il neosegretario Nicola Zingaretti per aver ridato slancio al partito dopo la “desertificazione renziana”. Nei giorni scorsi si sono anche registrati due acquisti importanti per il Pd: l'ex Ministro della Salute Beatrice Lorenzin e l’ex Presidente della Camera, Laura Boldrini.

«Rafforzare i dem, allargando il campo dei #moderati, è l'unico modo possibile per fermare @matteosalvinimi. Per questo entro nel #pdnetwork» è il tweet con cui la Lorenzin ha dato l’annuncio. La deputata ha militato in Forza Italia, nel Popolo della Libertà, nel Nuovo Centrodestra e in Alternativa Popolare, per poi entrare in Parlamento alle elezioni del 2018 con quota Civica Popolare. Questa è dunque la sua ennesima piroetta. «Con la destra peggiore di sempre non è più tempo di piccoli partiti e di fare troppi distinguo», ha invece argomentato la Boldrini per annunciare la sua adesione al gruppo parlamentare del Pd e l’abbandono di Liberi e Uguali alla Camera. Anche gli ex segretari del Partito Democratico e dei precedenti partiti egemoni a sinistra, Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema hanno lasciato intendere che vorrebbero ricompattare la sinistra, superando le divisioni del passato. E che vedono questa impresa molto più facilmente realizzabile in ragione dell’uscita di Renzi dalle file del Pd. Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema sognano di replicare la "gioiosa macchina da guerra" (Pds), magari assorbendo i Cinque Stelle in un’alleanza organica. Per Bersani «serve un programma univoco che possa unire questi due popoli». D'Alema concorda e ritiene che coi 5 Stelle serva «una prospettiva di collaborazione di medio-lungo periodo», per creare un "nuovo" bipolarismo: da una parte sinistra-M5S, dall'altra la destra di Salvini.

In nome della riconquista del potere la sinistra prova dunque a riunificare le sue varie anime e a fagocitare i Cinque Stelle. Questi ultimi rischiano di indebolirsi ulteriormente se i pentastellati filo-leghisti dovessero uscire dal Movimento. Tutto questo rende cruciale la scelta del sistema elettorale con cui si andrà a votare alle prossime politiche, quando si faranno. La dialettica tra proporzionalisti e sostenitori del maggioritario è animata da moventi utilitaristici e opportunistici e bisognerà capire alla fine chi la spunterà. Il fatto stesso che Forza Italia sia tiepida nei confronti della proposta leghista di referendum sulla legge elettorale lascia intendere quanto gli attuali schieramenti rischino di frantumarsi proprio su questo tema delle regole del voto.