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il nuovo papa

Nel segreto del conclave, dall’Extra omnes all’Habemus papam

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Da oggi i cardinali in clausura sotto il Giudizio michelangiolesco con il grave compito di eleggere il successore di Pietro. Unico segnale esterno le fumate nere per gli scrutini andati a vuoto, fino a quella bianca che annuncerà il 267° pontefice.
- La vera conta dei papabili comincia staseradi Nico Spuntoni
- Dal saluto capiremo se è di Cristo o del mondodi Tommaso Scandroglio

Ecclesia 07_05_2025 English Español
Foto Vatican Media/LaPresse

Dal pomeriggio di oggi, mercoledì 7 maggio, caleranno il silenzio e il segreto totale su quanto accadrà tra la chiusura delle porte della Cappella Sistina e la riapertura della loggia centrale di San Pietro per la prima apparizione del nuovo papa. Il primo mistero del conclave è la sua durata: si sa quando inizia, non quando finisce. Al massimo si può fare una stima: mediamente dura qualche giorno. Il più rapido fu quello che in una sola notte del 1503 elesse Giulio II. L'elezione più lunga e tribolata fu quella che si svolse a Viterbo fra il 1268 e il 1271 e che allora non si chiamava “conclave”, ma lo divenne letteralmente quando i viterbesi chiusero i cardinali a chiave (cum clave) affinché ne venissero a capo. Fu poi proprio l’eletto, il Beato Gregorio X, a disciplinare con la costituzione apostolica Ubi periculum quello che da allora in poi si chiama «conclave».

La clausura è preceduta da due atti ancora pubblici: al mattino la Messa pro eligendo Romano Pontifice, celebrata dal cardinale decano Giovanni Battista Re (che essendo ultraottantenne lascerà poi la guida del conclave al cardinale Parolin), mentre alle 16:15 i cardinali elettori, accompagnati dalle litanie dei santi, procederanno dalla Cappella Paolina alla Cappella Sistina. Qui invocheranno lo Spirito Santo al canto del Veni Creator, terminato il quale giureranno «che chiunque di noi, per divina disposizione, sia eletto Romano Pontefice, si impegnerà a svolgere fedelmente il munus Petrinum di Pastore della Chiesa universale»; oltre, naturalmente, a mantenere il segreto del conclave e la libertà da qualsiasi interferenza. Quindi ciascuno degli elettori si porta davanti all’Evangeliario aggiungendo: «Et ego, N. cardinalis N., spondeo, voveo ac iuro. Sic me Deo audivet et haec Sancta Dei Evangelia, quae manu mea tango» («Ed io, N. cardinale N., prometto, mi obbligo e giuro. Così Dio mi aiuti e questi Santi Evangeli che tocco con la mia mano»).

È il momento dell’«Extra omnes» («Fuori tutti») intimato dal maestro delle celebrazioni liturgiche mons. Diego Ravelli. Via monsignori, prelati e chiunque altro sia stato ammesso fino ad allora. Via soprattutto le telecamere. Restano all’interno solo il maestro e il predicatore (il cardinale ultraottantenne Raniero Cantalamessa) incaricato di tenere l’ultima meditazione agli elettori in vista della grave responsabilità che li attende (perché lo Spirito ispira, ma non li priva certo della responsabilità che ricade sulle loro spalle). Usciranno dalla Sistina e sempre nel riserbo più totale solo per i pasti e il pernottamento a Santa Marta. Ma al di fuori nessuno più li rivedrà fino all’elezione del Romano Pontefice.

L’ultima immagine li mostrerà sotto il Giudizio michelangiolesco, seduti a dei lunghi tavoli, ciascuno con il proprio posto assegnato secondo l’ordine di precedenza. Un piccolo excursus storico: fino al 1963, quando i conclavi erano meno numerosi, al posto dei tavoli c’erano degli scranni sormontati da baldacchini. A “missione compiuta” restava su soltanto quello del neo-eletto, mentre tutti gli altri venivano tirati giù in segno di omaggio al nuovo pontefice. Una scena suggestiva visibile in alcune ricostruzioni cinematografiche, per esempio nel film del 1968 L'uomo venuto dal Kremlino con protagonista Anthony Quinn.

Ma come si arriva all’elezione? Due scrutini al mattino e due al pomeriggio, tranne nel giorno di ingresso quando c’è tempo per svolgerne uno solo. Ciascun elettore indica il nome del proprio candidato su una scheda recante la scritta: «Eligo in Summum Pontificem ...». Al momento di deporla nell’urna, sul tavolo degli scrutatori, un nuovo giuramento richiama gli elettori alla propria responsabilità: «Chiamo a testimone Cristo Signore, il quale mi giudicherà, che il mio voto è dato a colui che, secondo Dio, ritengo debba essere eletto». Al termine di ogni scrutinio si procede alla conta e se nessun candidato ha raggiunto la maggioranza dei due terzi (89 voti su 133), le operazioni si ripetono. Anche in caso di prolungamento si mantiene la maggioranza dei due terzi, secondo le più recenti modifiche apportate da Benedetto XVI.

L’unico segnale che filtrerà all’esterno sarà la fumata dal celebre comignolo della Sistina: nera se l’elezione è andata a vuoto, bianca se il papa è stato eletto. Una, sicuramente nera, ci sarà già stasera, non prima delle 19. Ne seguiranno due al giorno, rispettivamente al termine dei due scrutini della mattina e dei due del pomeriggio. Fumata anticipata e inevitabilmente bianca se invece uno dei due scrutini intermedi (a metà mattina o a metà pomeriggio) avrà dato esito favorevole. A fugare ogni dubbio sul colore, dal 2005 la fumata bianca è accompagnata dalle campane della basilica.

Ad elezione avvenuta, l’eletto dovrà rispondere alla domanda fatidica posta dal decano o da chi ne fa le veci (a meno che l’eletto non sia proprio lui, come accadde al decano Ratzinger nel 2005): «Acceptasne electionem de te canonice factam in Summum Pontificem?» («Accetti la tua elezione a Sommo Pontefice?»). Se accetta, la domanda successiva: «Quo nomine vis vocari?» («Con quale nome vuoi essere chiamato?»). Condotto nella Stanza delle Lacrime (la sacrestia della Sistina, così detta perché il neo-pontefice vi sfoga la commozione del momento), depone per sempre le vesti cardinalizie per indossare quelle papali. Ricevuto il primo omaggio del sacro collegio, si reca sulla loggia delle benedizioni, per presentarsi ai fedeli e impartire la prima benedizione Urbi et Orbi. Ma prima di lui si affaccerà il cardinale protodiacono Dominique Mamberti (sempre se l’eletto non è lui), cui spetta il compito di proclamare l’Habemus papam, annunciando alla folla chi è il nuovo papa e il nome pontificale scelto.

È il caso di dire “un nome, un programma”, dal momento che il richiamo a un determinato santo o predecessore (o una scelta inedita) consente di intuire qualcosa sugli orientamenti del pontificato, oltre naturalmente alle prime parole che rivolgerà ai fedeli. Un dettaglio così rivelatore che ogni volta insieme al toto-papa impazza anche il toto-nome. Si fa prima a indovinare quali nomi di sicuro non sceglierà. Nessun papa ha mai osato assumere il nome di Pietro, per ragioni di riverenza. E per evidenti ragioni di cacofonia, dopo Sisto V nessuno più ne riprese il nome perché, come diceva il poeta romano Giuseppe Gioacchino Belli, «nun ce po’ èsse tanto presto / un antro papa che jje pijji er gusto / de méttese pe’ nome Sisto Sesto».



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