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IL PARADISO RITROVATO/5

Nel Cielo della Luna, ancora una donna

Il Paradiso si apre inequivocabilmente nel segno della donna. Nel I canto campeggia Beatrice, così come nel I Cielo la prima anima che Dante incontra è ancora una donna: Piccarda Donati, una delle anime che ha mancato ai voti, perché costrette con la violenza.

Cultura 21_06_2015
Piccarda Donati e Costanza di Altavilla

Il Paradiso si apre inequivocabilmente nel segno della donna. Nel I canto campeggia Beatrice, così come nel I Cielo la prima anima che Dante incontra è ancora una donna: Piccarda Donati. Anche l’Inferno, quello vero, non il Limbo, quello che presenta grandi sofferenze, pianti e lamenti, si apre con l’affascinante figura femminile di Francesca da Polenta. Dopo di che le donne escono di scena per ritornare nel canto V del Purgatorio con l’immortale personaggio di Pia de Tolomei. Non saranno questi elementi secondari. Beatrice sta accompagnando Dante in Paradiso così come Francesca ha portato Paolo all’Inferno. Ricordiamo, poi, come il Purgatorio si chiuda completamente nel segno femminile con la ricomparsa della figura di Beatrice e con l’apparizione di Matelda che permette la purificazione di Dante con l’immersione prima nel fiume Leté e, poi, nell’Eunoé.

Del secondo personaggio femminile del Paradiso abbiamo avuto chiare anticipazioni già nel Purgatorio, quando Dante ha incontrato l’amico poeta Forese Donati, con il quale in vita si era aperta una tenzone poetica che ancor oggi possiamo apprezzare per la vivezza del linguaggio e la forza dell’espressività comica. Morto da pochi anni e pentitosi in punto di morte, Forese è, in realtà, già in Purgatorio grazie alle preghiere della moglie Nella. Forese anticiperà a Dante che la sorella Piccarda Donati si trova nel coro dei beati: «La mia sorella, che tra bella e buona/ non so qual fosse più, triunfa lieta/ ne l’alto Olimpo già di sua corona».       

Entrata nel convento delle Clarisse, Piccarda era stata strappata al chiostro dal famigerato fratello Corso Donati, personaggio violento e capo dei Guelfi neri, che aveva voluto darla in sposa a Rossellino della Tosa (in una data imprecisata tra il 1283 e il 1293) probabilmente per ragioni e strategie politiche. Poco tempo dopo, per quanto raccontano le tradizioni orali, anche se non abbiamo alcuna prova accreditata di attendibilità storica, Piccarda si ammalò e morì prima che fossero consumate le nozze. Pietro di Dante annota: «Si dice […] che sia morta vergine, non toccata dal suddetto marito, essendo sopravvenuta una febbre mortale nel giorno stesso delle nozze».

Ora, in Paradiso si trova nel primo Cielo, quello della Luna, ove si mostrano a Dante le anime che hanno mancato ai voti, perché costrette con la violenza. Ricordiamo che, in realtà, tutte le anime del Paradiso si trovano insieme nell’Empireo, nella Candida rosa e che si fanno incontro al fiorentino nella salita dei sette Cieli per mostrargli le loro differenti prerogative. Nove sono i Cieli. Al primo della Luna dove si trovano gli spiriti difettivi (che mancarono ai voti) seguono il Cielo di Mercurio (spiriti operanti per il desiderio della gloria terrena), di Venere (spiriti amanti), del Sole (spiriti sapienti), di Marte (spiriti combattenti), di Giove (spiriti giusti), di Saturno (spiriti contemplativi), delle Stelle Fisse (spiriti trionfanti), del Primo Mobile (Cori Angelici). 

Piccarda appare a Dante come un’immagine riflessa in uno specchio. Per questo Dante si gira, ma non vede nulla. Allora rivolge di nuovo gli occhi «nel lume de la dolce guida,/ che, sorridendo, ardea ne li occhi santi». Il Paradiso si configura sempre più come la cantica del sorriso e della carità tanto che Beatrice anticipa Dante: «Non ti maravigliar perch’io sorrida/ […] appresso il tuo pueril coto,/ poi sopra ‘l vero ancor lo piè non fida,/ma te rivolve, come suole, a vòto:/ vere sustanze son ciò che tu vedi,/ qui rilegate per manco di voto./ Però parla con esse e odi e credi;/ ché la verace luce che li appaga/ da sé non lascia lor torcer li piedi». Dante chiede l’identità dell’anima che gli è posta di fronte e quale sia la sua sorte.                             

Piccarda esordisce sottolineando la carità che caratterizza le anime dei beati e che non può non accondiscendere a giusti desideri. Si presenta, poi, come «vergine sorella», che appare qui nella sfera più lenta (la Luna), perché in vita mancò ai voti.

Sorge in Dante un dubbio: «voi che siete qui felici,/ disiderate voi più alto loco/ per più vedere e per più farvi amici?». Con letizia nel volto e ardore di carità nel cuore Piccarda replica che il fuoco dell’amore sazia il loro cuore tanto che loro desiderano quello che hanno e non hanno desiderio di altro, perché altrimenti i loro desideri sarebbero discordi da quelli di Dio. Così l’anima descrive la condizione della beatitudine: «Anzi è formale ad esto beato esse/  tenersi dentro a la divina voglia,/  per ch’una fansi nostre voglie stesse;/ sì che, come noi sem di soglia in soglia/ per questo regno, a tutto il regno piace/ com’a lo re che ‘n suo voler ne ‘nvoglia./ E ‘n la sua volontade è nostra pace:/ ell’è quel mare al qual tutto si move/ ciò ch’ella cria o che natura face». La pace nell’animo dei santi deriva dalla perfetta sintonia tra la loro volontà e la volontà di Dio. Per questo, quando Gesù ci ha insegnato come pregare attraverso il «Padre nostro», ci ha comunicato il metodo perché inizi il Regno di Dio in Terra: «Sia fatta la tua volontà», ovvero dobbiamo amare quanto il Padre ci chiede per l’avvento del suo Regno. 

Piccarda racconta che, ancor giovinetta, si chiuse nel convento di Santa Chiara e con voto promise di seguire la sua regola. Uomini avvezzi al male più che al bene la rapirono «de la dolce chiostra». Dio sa quale fu poi la sua vita, da quel momento innanzi.

Piccarda presenta, infine, l’anima vicino a lei: una monaca cui similmente fu tolto il velo con la forza, ma anche allora, quando fu allontanata dalla vita religiosa, mai si separò nel cuore dalle sue promesse. Si tratta di Costanza d’Altavilla, sposa di Arrigo VI di Svevia, madre di Federico II.

Nl Cielo dellas  Dante si rivolge a Beatrice, ma non riesce a sostenere la luminosità dei suoi occhi, cosicché diventa «a dimandar più tardo». Nuovi dubbi si addensano nella mente di Dante.