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PAOLO IL CALDO

Napolitano, un "re" che regna sopra la Costituzione

Come molti commentatori hanno osservato, l’intervento di Giorgio Napolitano nel corso dell’incontro di auguri con le alte cariche dello Stato è uscito, e non di poco, dal letto che la Costituzione definisce per le competenze del Presidente. E l’intervento non è stato un piccolo debordamento, ma un'abbondante esondazione.

Paolo il caldo 19_12_2014
Paolo Togni

Come molti commentatori hanno osservato, l’intervento di Giorgio Napolitano nel corso dell’incontro di auguri con le alte cariche dello Stato è uscito, e non di poco, dal letto che la Costituzione definisce per il fluire delle competenze del Presidente. Volendo proseguire nella similitudine fluviale, l’intervento non è stato un piccolo debordamento, ma una violenta ed abbondante esondazione: lasciando da parte i temi che la Carta assegna alla sua competenza, infatti, Napolitano ha pronunziato un vero e proprio discorso politico di parte. 

Dirò subito che il contenuto di questo discorso non mi interessa, perché la sua irritualità me lo fa considerare una non espressione, un mero flatus vocis, e in quanto tale completamente inefficace ed incapace di svolgere qualunque effetto sulla vita istituzionale. Considero, tuttavia, disdicevole che il Capo dello Stato si sia permesso non solo di esprimere opinioni politiche, il che sarebbe già molto grave, ma addirittura di dettare giudizi che potrebbero (e, speriamo di no, forse vorrebbero) svolgere un’influenza sulle attività parlamentari e sulla dialettica governo-parlamento.

In questo quadro inquietante, poco importa chi si voleva aiutare e perché. Quello che è molto preoccupante è che un atteggiamento al limite dell’attentato alla Costituzione abbia dato luogo solo a blande proteste da parte delle forze politiche e dei parlamentari che si volevano danneggiare con quel richiamo improprio, a partire da Berlusconi e da Forza Italia. E pensare che se un’altrettanto grave scorrettezza fosse stata compiuta da altri politici o amministratori, i giornali sarebbero esplosi, le televisioni sarebbero scoppiate, i commentatori si sarebbero presentati in video con gli occhi iniettati di sangue, la bava alla bocca e le corde del collo grosse e gonfie come le gomene di una corazzata, a gridare la loro indignazione. 

Ma così è: ad un signore al quale si è perdonato di aver giustificato e sostenuto i carri armati e gli assassini di Budapest non ha senso far carico di qualche piccolo strappo a quella Costituzione che pure aveva giurato di difendere; non è il primo, di strappi, ma tant’è. Il fatto vero è che l’opinione pubblica, già anestetizzata dall’accettazione acritica del pensiero unico, non ha interesse a svolgere una valutazione critica – che richiederebbe un qualche sforzo intellettuale – su quel che accade o su quanto viene detto, e trova più facile lasciarsi andare alla corrente, ripetendo giudizi apodittici già consolidati e ripetuti da importanti organi della comunicazione. Giudicando e approvando, in una parola, non il fatto o il prodotto, ma le circostanze o le fonti, o addirittura taluni commenti; e le approvazioni sono spesso stolide, incolte e acritiche.

Non si tratta di un atteggiamento nuovo od originale qui da noi: la persona che riscuote stima (più o meno giustificata) o simpatia può fare e dire qualunque cosa, sicuro di trovare il consenso generale in assenza di qualunque critica. Situazioni di questo tipo hanno riguardato, in passato, altri personaggi che non sempre hanno fatto della correttezza istituzionale la loro regola di comportamento: andando un po’ più indietro, per esempio, Pertini e Mussolini, i quali riscuotevano una approvazione plebiscitaria. 

Credo che sia proprio questo il problema più grave dell’Italia d’oggi, che ci viene da una lunga attitudine ad applaudire coloro che, per un qualsiasi motivo, abbiano suscitato simpatia o consenso; e che – soprattutto – siano percepiti come coloro che hanno o stanno per avere successo. Ricordiamo Flaiano e ripensiamo anche alla recente vicenda di Renzi: il carro del vincitore è sempre quello verso il quale i molti si sentono più attirati; la fatica da fare per salirci appare leggera e sopportabile.