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LA STORIA

Nadia, sfuggita all'Isis per raccontarne le atrocità

Pochi giorni fa ha avuto la consolazione di un incontro con il Papa: parliamo di Nadia, la yazida irachena riuscita a fuggire ai carcerieri dell'Isis che l'avevano schiavizzata, violentata e venduta. Oggi gira il mondo per far conoscere a tutti l'inferno del Medio Oriente.

Esteri 10_05_2017
Nadia, la yazida irachena

Pochi giorni fa lo sbocco finale dal lungo tunnel dell’orrore nel quale Nadia ha dovuto arrancare per tanto tempo: l’incontro col Papa. Nadia Murad Basee Taha ha solo ventidue anni, ma ha già visto l’inferno. La ragazza è una irachena di fede yazida, e la sua gente pratica da sempre una religione che è uno strano mix di islam, cristianesimo e paganesimo. Ma se per i cristiani si tratta tutt’al più di una antica stravaganza, per i musulmani osservanti è imperdonabile. Gli yazidi non sono Gente del Libro, meritevoli della «protezione» dell’islam (ottenibile dietro pagamento della prevista tassa yzjia), sono pagani e basta, perciò, per i fanatici, meritano la morte.

Naturalmente, gli yazidi sono stati relativamente tranquilli fino a quando non è comparso l’Isis, che il Corano lo applica alla lettera. Così, il 3 agosto 2014 i miliziani dalla bandiera nera sono arrivati a Kocho, villaggio nordiracheno, e hanno cominciato a fare quel che sanno fare meglio, anzi l’unica cosa che sanno fare: il massacro. Nadia aveva una famiglia numerosa: sei fratelli e due sorelle. I fratelli sono stati subito uccisi insieme ai genitori, sotto ai suoi occhi. Lei e le sue sorelle, giovani e piacenti, sono state tratte schiave.

Così si faceva nel VII secolo e così bisogna che si torni a fare da parte dei «veri credenti», a maggior gloria del Profeta. Nadia e le sue sorelle sono state portate a Mosul, più volte violentate dai combattenti barbuti (che non fumano né bevono, si limitano a mutilare e stuprare), messe sotto chiave, brutalizzate, vendute e rivendute. Dopo tre mesi di soprusi, tuttavia, un colpo di fortuna in mezzo a tanta sfortuna: una porta dimenticata aperta, la fuga disperata, una famiglia caritatevole che accoglie Nadia, la nasconde e la aiuta a raggiungere il campo profughi di Duhok.

E le sue sorelle? La cronaca non ci informa, chissà dove sono finite, poverette. Nadia si ritrova finalmente in Germania, a Stoccarda. Le Nazioni Unite si interessano alle sue denunce, perché la giovane donna non si rassegna e oggi è occupata a tempo pieno a far conoscere la sua storia e a sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale su quegli angoli del Medio Oriente ripiombati nell’inferno dell’Alto Medioevo.

Il 16 dicembre 2015 la fiera lottatrice ha esposto la sua tragedia (e quella della sua gente) dalla tribuna dell’Onu e oggi è candidata al Premio Nobel e al Premio Sacharov. L’anno scorso si è fatta avanti l’avvocatessa Amal Clooney (sì, la moglie del famoso attore) e ha preso a cuore la causa di Nadia. La rappresenterà nell’azione legale contro i capi  dell’Isis. Certo meglio che niente, ma ci si può legittimamente chiedere quale paura potrà fare tale iniziativa a quei tagliagole. Non solo. E’ probabile che, adesso, sotto scorta dovrà vivere anche l’avvocatessa. Almeno, Nadia ha potuto avere la consolazione di una carezza di papa Francesco. Non è poco, se si considera che tale consolazione non hanno potuto averla i familiari della pakistana Asia Bibi. Di certo, il papa, in quell’occasione, avrà voluto evitare alla povera donna da nove anni nella cella della morte guai peggiori.