Musulmani salvano cristiani: svolta nella lotta al jihad
Poteva essere una strage. I jihadisti somali al Shabaab hanno fermato in Kenya un pullman di linea, stavolta però i passeggeri musulmani hanno rifiutato di dividersi dai cristiani. «Uccideteci insieme a loro o lasciateci andare tutti», hanno detto sfidando i terroristi che alla fine hanno ceduto, se ne sono andati.
Poteva essere una strage. I jihadisti somali al Shabaab il 21 dicembre hanno fermato in Kenya un pullman di linea proveniente dalla capitale Nairobi e diretto a Mandera, una città del nord est, al confine con la Somalia. Dopo aver fatto scendere i passeggeri, hanno incominciato a separare i musulmani dai cristiani: l’intenzione era risparmiare la vita ai musulmani e uccidere tutti gli altri.
Gli al Shabaab lo fanno da alcuni anni. È successo per la prima volta nel 2013 durante l’attacco a un centro commerciale di Nairobi costato la vita a 67 persone. Asserragliati nell’edificio, i jihadisti individuavano gli “infedeli” ponendo agli ostaggi domande sulla religione islamica e ordinando loro di recitare versetti del Corano. Lo scorso aprile hanno ucciso in questo modo 148 studenti cristiani dell’università di Garissa lasciando liberi quelli di fede islamica e nei mesi precedenti con la stessa modalità avevano attaccato, sempre nel nord est, un pullman che trasportava degli insegnanti, un cantiere, vicino a Mandera, e gli abitanti di un villaggio nell’entroterra dell’arcipelago di Lamu.
Poteva essere una strage, dunque, e invece questa volta è successo qualcosa di inaspettato. I passeggeri musulmani hanno rifiutato di dividersi dai cristiani: «uccideteci insieme a loro o lasciateci andare tutti», hanno detto sfidando i terroristi che alla fine hanno ceduto, se ne sono andati. Si contano comunque due morti e tre feriti: colpiti nei primi minuti, uno mentre tentava di fuggire. «I passeggeri hanno dimostrato patriottismo e un grande senso di unità», ha dichiarato ai giornalisti il governatore di Mandera, Ali Roba, confermando la notizia e fornendo dettagli. Hanno dimostrato un coraggio straordinario, bisogna aggiungere, ben consapevoli del rischio che stavano correndo.
Può anche darsi, come sostiene Bashkas Jugsodaay che per la Bbc da 20 anni segue gli avvenimenti al confine tra Kenya e Somalia, che in loro abbia prevalso un altro sentimento, la frustrazione. I territori del nord est in cui vivono sono quasi interamente abitati da popolazioni di fede islamica. I cristiani sono pochi e quei pochi sono quasi tutti emigranti originari di altre regioni del Paese. Forse nella scelta di difendere i compagni di viaggio cristiani ha contato l’esasperazione per i danni che gli atti di terrorismo da tempo producono e di cui pagano le conseguenze. Uno dei problemi maggiori è il fatto che, da quando sono diventati bersaglio degli al Shabaab, migliaia di immigrati cristiani sono tornati a casa, disposti a perdere il lavoro pur di non rischiare più la vita. Tra questi si contano moltissimi dipendenti pubblici.
Ad esempio, quando nel novembre del 2014 i terroristi hanno ucciso 28 insegnanti cristiani che stavano tornando a Mandera dopo le vacanze scolastiche trascorse in famiglia, altri 700 colleghi hanno rifiutato di riprendere servizio nel nord est al termine delle loro ferie, nonostante le pressioni del governo, e da allora la regione ha perso oltre 2.000 insegnanti. Si sono registrate inoltre centinaia di defezioni da parte di dipendenti del sistema sanitario. Questo ha ulteriormente sguarnito di servizi essenziali popolazioni già trascurate dal governo e che sono tra le più povere del paese: in prevalenza nomadi che praticano la pastorizia e sopravvivono in terre aride, sotto la costante minaccia della carestia. Ma tutte le attività economiche sono penalizzate dall’insicurezza crescente causata dalla presenza degli al Shabaab.
La reazione straordinaria dei passeggeri islamici forse rispecchia quindi un sentimento di ribellione che si sta diffondendo nella popolazione per i danni economici e sociali patiti. Lo confermerebbe un dettaglio. Dalle testimonianze raccolte sembra che i jihadisti, vista la reazione dei passeggeri islamici, abbiano desistito e si siano allontanati in fretta per timore di rappresaglie da parte dei villaggi vicini. Probabilmente erano pochi e, per quanto armati, temevano di poter essere attaccati, ben sapendo che in Kenya circolano moltissime armi anche tra la popolazione. Nella lotta ai jihadisti l’atteggiamento dei civili può fare la differenza, a seconda che subiscano i terroristi passivamente oppure si convertano alla loro causa e li sostengano o ancora decidano di collaborare con le forze dell’ordine per liberarsene.
Gli al Shabaab agiscono in Kenya e vi hanno creato delle cellule. Di recente nel nord est hanno intensificato le attività. Nelle ultime tre settimane oltre 200 miliziani sono entrati in Kenya dalla Somalia. Il governatore di Mandera sostiene che, da informazioni fornite dalle comunità di pastori sparse sul territorio, risulta che i jihadisti hanno attraversato il confine a gruppi di 6-15 combattenti che poi si sono insediati in diversi villaggi nei quali hanno incominciato a predicare il loro islam fondamentalista. Il governatore Roba sostiene di aver informato le autorità centrali e di aver sollecitato azioni di contrasto più efficaci. Occorre, dice, dare la caccia ai terroristi a piedi, battendo le campagne palmo a palmo. Invece l’esercito si limita a mettere dei posti di blocco sulle strade principali da cui ovviamente i jihadisti si tengono alla larga.
Ben altro si rimprovera ai militari: di recente persino di essere complici degli al Shabaab nel contrabbando di zucchero e carbone con cui i jihadisti si finanziano. Sul modo in cui la gente decide di schierarsi incide anche la fiducia nel governo, nelle sue istituzioni e nelle sue iniziative. In Kenya il comportamento delle autorità civili e militari è un punto a favore di al Shabaab.