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SOCIALCRAZIA

Musk e Ferragni: i due volti di un ego non-distopico

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Musk che aggiusta l'algoritmo di Twitter per essere sempre in cima e la Ferragni che crea un account Instagram ad Amadeus regalando al social una pubblicità enorme sono due fenomemi accomunati da una particolarità: sono le persone ad avere un’ultima responsabilità sul proprio operato. Non serve dare una colpa generica “ai social”: gli imputati hanno un nome e un cognome.

Attualità 25_02_2023

Sono da poco passate le due di notte a San Francisco, sede di Twitter. È il 13 febbraio 2023. A Glendale, allo stadio che ospita le gare casalinghe dei Cardinals, si è conclusa da poco la 57° edizione del Super Bowl che ha visto trionfare i Kansas City Chiefs sui Philadelphia Eagles per 38 a 35. Sul filo del rasoio. E l’indefinitività della vittoria, maturata in rimonta soltanto nel quarto finale della partita, ha aumentato ancor di più il numero degli spettatori che osservano, dal divano, la finale della National Football League. Secondo le stime di Nielsen, la partita ha registrato una media di 113,06 milioni di spettatori. Per avere un paragone: la 73° edizione di Sanremo ne vanta 11,12 milioni. Un decimo.

Dicevamo, sono le due di notte circa, a San Francisco. James Musk, cugino del più celebre Elon Musk, patron di Tesla e di Twitter, chiama a rapporto chiunque possa lavorare sul codice del celebre social network. L’urgenza è tale da smobilitare molti ingegneri per lavorare su “un problema di engagement”, di interazioni tra post, sempre a detta di James Musk. Ma di quale urgenza si tratta?

Ritorniamo al pomeriggio del 12 febbraio e voliamo verso l’altro lato della costa americana. Ci troviamo sulla costa atlantica. Jill Biden, first lady, freme nell’attesa dello scontro serale. È una fervente tifosa dei Philadelphia Eagles, avendo vissuto nell’area metropolitana di Philadelfia, in Pennsylvania. Nell’attesa, Jill decide di twittare un video che la ritrae mentre cammina in corridoio. Dà le spalle alla videocamera e indossa una maglietta degli Eagles su cui campeggia il cognome, Biden, e il numero 46. Nel testo, invece, campeggia l’hashtag #FlyEaglesFly.

Passa qualche minuto e suo marito, Joe Biden, dall’account ufficiale @POTUS su Twitter (che è acronimo di President Of The United States), condivide il tweet e ci aggiunge qualche parola pilatesca: «Come vostro presidente, non ho favoriti. Ma come marito di Jill Biden: “fly Eagles, fly». Il tweet di @POTUS genera 29 milioni di impressions - visualizzazioni totali – e una valanga di commenti, perlopiù incentrati sull’avvistamento di un oggetto non identificato nei cieli nordamericani, di cui si chiede a Biden l’origine, con toni di non velata protesta (secondo la rivista “Aviation Week” era un pallone lanciato per hobby da alcuni appassionati dell’Illinois a ottobre e successivamente sparito, ma poco importa). Il post ha generato un fortissimo engagement, di sicuro, ma forse non di una qualità non proprio sopraffina.

Il tweet di Elon Musk genera “soltanto” 9,1 milioni di impressions. Un supplizio che Elon Musk non può soffrire: essere superato dal presidente Biden. La frustrazione si traduce nell’eliminazione del post incriminato e in una chiamata a suo cugino James. Bisogna fare qualcosa. Elon Musk prende il suo aereo privato, atterra nella Bay Area e indice una riunione con la squadra tecnica del social newtork. Va tutto cambiato. L’algoritmo di Twitter, che decide quali contenuti compaiono nella timeline degli utenti, va cambiato.

E il 14 febbraio è veramente tutto cambiato. Mentre gli utenti sui social si scambiano contenuti per celebrare la festa degli innamorati, iniziano a fare capolino, con una certa insistenza, i contenuti di Elon Musk. Sotto minaccia di licenziamento, gli ingegneri di Twitter hanno costruito un algoritmo che garantisce a Musk una visibilità eccezionale. Alcuni tecnici avevano provato ad avanzare l’ipotesi che la visibilità di Musk si fosse ridotta, negli ultimi mesi, per via di una fisiologica quanto fastidiosa presa di distanze. Difficilmente una celebrità è sempre sulla cresta dell’onda, soprattutto se sei nel gotha degli imprenditori e vittima, come i vari Zuckerberg e Bezos, di backlash di stampo squisitamente progressista. Quell’ingegnere non lavora più in Twitter.

I tecnici hanno creato, per l’account di Musk, un sistema di bypass che permette al suo account di superare ogni regola posta dall’algoritmo per premiare i contenuti più rilevanti. Oggi, le persone su Twitter leggeranno i contenuti per loro più rilevanti e i contenuti di Musk. Musk compare sempre. Musk lo sa bene. Lui stesso lo ha ammesso, e lo ha fatto proprio su Twitter.

Rispetto a questa faccenda l’opinione pubblica si è divisa in due partiti opposti. Chi giustifica Musk con il motto “Twitter è sua, può farci ciò che vuole”, e chi dall’altra parte ne sottolinea l’abuso di potere su una piattaforma che fa parlare 368,4 milioni di utenti attivi.

Io, però, vorrei raccontarvi un’altra storia, che ci è più vicina e che parla la nostra stessa lingua. E che ha molto da dire anche su Elon Musk.

Pochi giorni prima della finale di Super Bowl, in una piccola città della costa ligure di Ponente si celebra la serata finale della kermesse della musica italiana. Siamo a Sanremo. Di questa edizione ci ricorderemo principalmente della slinguazzata tra Rosa Chemical e Fedez (che si sono poi beccati un esposto dall’associazione Pro Vita & Famiglia) e dei millennial che spiegano ai boomer come usare i social come la Gen Z. Per tradurre: ci ricorderemo di quanto in diretta nazionale Chiara Ferragni ha aperto un account su Instagram ad Amadeus: @amadeusonoio.

Chiara Ferragni su Instagram ha 28 milioni di follower. Nel giro di pochi giorni, @amadeusono ha raggiunto quasi 2 milioni di follower, e probabilmente molti di essi sono tra i 28 milioni di follower che seguono, appunto, @chiaraferragni. La notizia potrebbe far sorridere ed essere etichettata come una delle tante stramberie trash che popolano la kermesse. Ma la questione è ben più spinosa. Chiara Ferragni ha sfruttato il palco del teatro Ariston per fare pubblicità all’azienda di Zuckerberg, contravvenendo alle leggi che vietano qualunque tipo di sponsorizzazione, anche implicita, senza una contrattazione regolare. La quale, a detta della stessa Ferragni, non c’è.

Instagram non è presente neppure tra i partner commerciali del festival, dove invece trovano spazio Costa Crociere, Poltrone & Sofà e altre aziende che hanno ben pagato per essere presenti al festival. Mentre Instagram ha avuto uno spazio immenso, molto ampio, senza sborsare un euro. Per comprendere l’impatto di una mobilitazione del genere su Instagram, si può leggere l'«Instagram Money Calculator» di InfluencerMarketingHub.com, secondo il quale, all’attuale ritmo di pubblicazione, Amadeus potrebbe guadagnare oltre 3,5 milioni di euro all'anno soltanto dalla sua attività su Instagram. E su cui Instagram stesso, secondariamente, fattura.

Mentre il Consiglio di amministrazione della Rai chiede di visionare i contratti di Chiara Ferragni e del marito Fedez per indagare sulla pubblicità occulta, dall’altra parte del mondo Musk continua a usare il proprio social network come specchio del proprio ego. Esiste una linea di pensiero che incolpa la struttura dei social network stessi che, costruendo bolle informative e filtri contro il pensiero di nicchia, costruisce la mente dei propri protagonisti fino a far perdere le tracce. È colpa dei social. In molti scomodano il sociologo Marshall McLuhan e le sue parole: “il medium è un messaggio”, la natura stessa del canale costruisce il contenuto della comunicazione.

Eppure, i fenomeni di Musk e Ferragni dicono una cosa diversa. Dicono che, alla fine, sono sempre loro, le persone, ad avere un’ultima responsabilità sul proprio operato. Musk usa Twitter perché è suo. Ferragni usa Instagram perché forse Instagram usa Ferragni. E se si scoprisse che non sono esistite contrattazioni tra la Ferragni e Instagram, come lei stessa afferma, tutta la dinamica degli eventi acquisirebbe un’altra inquietante, ma risaputa, dimensione: i potenti sfruttano i social per fare un po’ quello che vogliono. Non diamo una colpa generica “ai social”: spesso gli imputati hanno un nome e un cognome.