Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
L’ANNIVERSARIO

Mozart a Roma, il genio incontra la polifonia sacra

L’11 aprile di 250 anni fa, il quattordicenne Wolfgang Amadeus Mozart giunse a Roma con il padre Leopold. L’adolescente poté ascoltare nella Cappella Sistina lo splendido Miserere di Gregorio Allegri, il canto «meraviglia di quei tempi», e appena tornato a casa lo trascrisse a memoria. Avvenne così il suo incontro con la polifonia sacra, di cui conserverà il ricordo e la lezione.

Cultura 11_04_2020

L’11 aprile di 250 anni or sono, Mercoledì Santo, quando la Città eterna è la più affollata di pellegrini e visitatori, attratti dalla liturgia papale della Settimana Santa e della Pasqua, quel genio musicale che fu Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791), quattordicenne, e suo padre Leopold, buon musicista, giungono a Roma.

Il giovane Amadé - come si faceva chiamare - intraprenderà tre viaggi in Italia (nella foto, un suo ritratto a Verona) tra il dicembre 1769 e il marzo 1773, raggiungendo così il culmine del Grand Tour europeo, che nel Settecento e ancora nellOttocento era ritenuto quasi obbligatorio per leducazione e la formazione culturale di un «gentiluomo».

In particolare, «la meraviglia di quei tempi» era il Miserere di Gregorio Allegri (c. 1584-1652), il celebre canto a nove voci, in due cori, composto dal musicista e sacerdote romano sul testo del Salmo 50, in cui il penitente piange i suoi peccati e implora la divina Misericordia.

Secondo Giuseppe Gioachino Belli (1791-1863), il maggior poeta romanesco, tutti gli inglesi, che alloggiano nell’albergo Londra in piazza di Spagna, non hanno altro da dire quale piacere provino quando sentono il Miserere, cantato in San Pietro senza accompagnamento strumentale dai Cantori Pontifici. E infatti il «cantore di Roma» si domanda chi nella Gran Bretagna e nelle altre cappelle allestero sappia cantare come a Roma in queste tre sere di Mercoledì, Giovedì e Venerdì Santo: Miserere mei, Deus, secundum magnam misericordiam tuam.

Il poeta ricorda che sul magnam ci sono stati unora e, cantata così, quel magnam è una parola che fa innamorare. Prima lha detta un cantore, poi due, poi tre, poi quattro; e tutto il coro, allora, ha accompagnato con calore: misericordiam tuam. Eccolo, nello spassoso sonetto Er miserere de la sittimana santa del 31 marzo 1836, il racconto di quell’«oggetto di venerazione»: «Tutti lIngresi de Piazza de Spaggna / Nun hanno antro che ddi’ ssi cche ppiascere / È de senti’ a Ssan Pietro er miserere / Che ggnisun istrumento laccompaggna. // De fatti, dico, in ne la gran Bertaggna / E in nellantre cappelle furistiere / Chi ssa ddi’ ccoma Roma in ste tre ssere: / Miserere mei Deo secunnum maggna? // Oggi sur maggna sce so’ stati unora; / E ccantata accusì, ssangue dellua!, [sangue dell’uva! (il vino), ndr] / Quer maggna è una parola che innamora. // Prima lha ddetta un musico, poi dua, / Poi tre, ppoi quattro; e ttutter coro allora / Jha ddato ggiù: mmisericordiam tua» (G. G. Belli, Duecento sonetti in dialetto romanesco, Barbèra, Firenze 1870, p. 257).

Da una lettera di Leopold scritta alla moglie il 14 aprile 1770 si ricava il giorno del loro arrivo a Roma: «L’11 siamo felicemente giunti qui. Mi pareva quasi di essere in viaggio per Salisburgo piuttosto che per Roma, perché da Firenze a Roma abbiamo dovuto viaggiare per 5 giorni sotto una pioggia terribile e con un vento gelido. A Roma ho appreso che da 4 mesi piove sempre, e ne abbiamo avuto la prova: mercoledì e giovedì [sic], che faceva bello, siamo andati a S. Pietro, nella Cappella Sistina, per ascoltare il Miserere durante il mattutino e, tornando a casa, siamo stati sorpresi da un acquazzone così tremendo che i nostri mantelli si sono inzuppati come non mai. […] Probabilmente avrai sentito spesso del famoso Miserere di Roma, tenuto in così gran pregio che ai Musici della cappella è vietato, pena la scomunica, portarne fuori dalla cappella anche una sola parte, copiarlo o darlo ad alcuno. Ebbene, noi ce l’abbiamo già. Il Wolfgang l’ha già trascritto, e l’avremmo già spedito a Salisburgo con questa lettera, se per farlo non fosse stata necessaria la nostra presenza; ma il modo in cui viene eseguito fa un effetto maggiore della composizione in sé, quindi lo porteremo a casa con noi, e, dal momento che è uno dei segreti di Roma, non lo lasceremo arrivare nelle mani di nessuno, ut non incorremus mediate vel immediate in Censuram Ecclesiæ [per non incorrere direttamente o indirettamente nella censura della Chiesa]. Abbiamo già visitato a fondo la chiesa di S. Pietro e non tralasceremo certo di visitare tutto quello che c'è da vedere qui. Domani (se Dio lo vorrà) vedremo pontificare Sua Santità».

Che cosa è successo? Nonostante il tempo piovoso, padre e figlio arrivano a Roma da Porta del Popolo e vanno ad abitare in un palazzo che si trovava nell’odierna Piazza Nicosia, come ricorda dal 1996 una lapide: «WOLFGANG AMADEUS MOZART / NELLA CASA CHE QUI SORGEVA / TRASCORSE IL SUO SOGGIORNO ROMANO / QUATTORDICENNE VI COMPOSE / SINFONIA OP. 81 IN RE MAGGIORE, ARIE OP. 82, 83 / QUI TRASCRISSE IL MISERERE DI G. ALLEGRI / PER QUESTO FU INSIGNITO DELLO SPERON D’ORO».

Nel pomeriggio i due possono ascoltare il Miserere di Allegri, cantato dalla Cappella Musicale Pontificia, diretta da Giuseppe Santi Santarelli, maestro pro tempore nel 1770. Composto nel 1638, quel Miserere si eseguiva due volte l’anno, durante l’Officio delle Tenebre, che oggi si chiama Ufficio delle Letture del Giovedì e del Sabato Santo (il Venerdì Santo si cantava quello di Felice Anerio o di Sante Naldini), dopo i Vespri del giorno precedente ognuno di questi giorni - ossia dopo il tramonto di Mercoledì e Venerdì Santo - esclusivamente nella Cappella Sistina in Vaticano.

Ebbene, l’adolescente Mozart, appena giunto a casa, lo trascrive a memoria; tornato ad ascoltarlo il Venerdì Santo, si porta di nascosto la trascrizione e la corregge durante l’esecuzione.  E per questo «furto» musicale, nonché per gli altri suoi meriti artistici, il giovane compositore non solo eviterà la scomunica ma verrà fatto Cavaliere della Milizia Aurata da Papa Clemente XIV, per onorare Te, quem in suavissimo cymbali sonitu a prima adolescentia tua excellentem esse intelleximus, «te, che abbiamo saputo essere fin dalla prima adolescenza bravissimo nel suono del soavissimo cembalo», come si legge nel breve pontificio del 4 luglio 1770 (A. Cametti, Mozart a Roma, in Rivista d’Italia, Roma, aprile 1907).

Così accadde che Mozart, nel «bel paese là dove l sì suona» (Dante Alighieri, Inferno, XXXIII, 80), componesse poca musica sacra ma ne ascoltasse moltissima; e che «il miracolo che Dio ha fatto nascere a Salisburgo» - come Leopold presentava suo figlio agli italiani e, tramite loro, al mondo intero - si incontrasse con il miracolo della polifonia sacra, in cui più voci si rincorrono, armonie si intrecciano, gli strumenti musicali tacciono e le volte delle basiliche echeggiano.

Il genio salisburghese ne conserverà a lungo la memoria e la lezione, tanto da scrivere il 4 settembre 1776 al celebre musicista e teorico bolognese padre Giovanni Battista Martini (1706-1784), suo maestro nel soggiorno italiano: «La nostra Musica di chiesa è assai differente di quella d’Italia […]. Ci vuole uno Studio particolare per questa Sorte di Composizione» (The Letters of Wolfgang Amadeus Mozart, I, New York 1866, p. 53).